2018-08-30
Finiamola di dare soldi pubblici ai Benetton
L'amministratore delegato di Autostrade per l'Italia, Giovanni Castellucci, non chiude la porta alla Cdp: «Ipotesi da discutere». Ma sarebbe una colpa mortale se il disastro di Genova non rimettesse radicalmente in discussione il sistema delle concessioni.E dunque sì: i Benetton, se proprio lo Stato vorrà dare loro altri soldi, li potrebbero anche accettare. Poi dicono che non sono generosi. Non è che li rifiutano a priori, non si ritirano sdegnosamente sullo yacht, in segno di protesta. E nemmeno dentro una festa con grigliata in quel di Cortina: macché. Potrebbero anche accettare i soldi. Con un po' di sforzo, certo. «L'ipotesi è da discutere», dice infatti l'amministratore delegato di Autostrade per l'Italia, Giovanni Castellucci, in una ampia intervista a Repubblica. Da discutere? Ma certo: forse vogliono vedere prima quanti sono quei soldi. O forse come vengono offerti: con o senza guanti bianchi? Con o senza lettera di ringraziamento? E l'inchino? E la riverenza? Il baciamano nel salotto di Treviso? Insomma, ci sono un po' di particolari da mettere a punto: ma se la Cassa depositi e prestiti volesse portare denaro fresco nelle casse della famiglia, senza mettere ovviamente in discussione la concessione, loro sarebbero anche disposti a dire di sì. Perché la «cooperazione con fondi pubblici fa parte del nostro Dna». Chi l'avrebbe mai detto, eh? Nel Dna dei Benetton c'è la cooperazione con i fondi pubblici, ecco il punto. Ora, però, bisognerebbe capire se nel Dna dei fondi pubblici ci dev'essere per forza la cooperazione con i Benetton. Ma cos'è? Una malattia genetica? Un cromosoma immodificabile? Oppure è una moderna forma di servitù feudale? Un imperativo morale? Davvero non capisco: a leggere il dibattito di queste ore, a due settimane dalla tragedia, nel quale si inserisce perfettamente la prima intervista di Castellucci a un quotidiano (ovviamente il quotidiano non poteva che essere Repubblica), ogni tanto si ha l'impressione che siano gli italiani a dover chiedere scusa a chi ha fatto crollare un ponte provocando 43 morti e ferendo a morte una città. Dovremmo genufletterci e cospargerci il capo di cenere: scusate se vi abbiamo dato da gestire questo bene prezioso. Scusate se voi l'avete fatto piuttosto male. Scusate se, facendolo male e mettendo a rischio la nostra vita, vi siete arricchiti all'ombra del mercato protetto, mentre i vostri maglioncini restavano invenduti. E scusate se ora, davanti al disastro, abbiamo pensato che ci potesse essere un'alternativa. In effetti: il solo pensare di modificare la gestione della gallina dalle uova d'oro pare configurarsi come un reato di leso Benetton, uno dei più gravi del codice politico-giornalistico, e perciò scatena le reazioni inconsulte dell'United colors of commentatore. Del resto, che bisogno c'è di intervenire nell'attuale situazione? «Autostrade è una società migliore di quella pubblica, da qualunque parte la si guardi: investimenti, qualità dei servizi, sicurezza, efficienza e viabilità», come spiega Castellucci. I pedaggi? «Crescono meno dell'inflazione». Gli accordi segreti? «Non erano segreti». La remunerazione del capitale al 10 per cento (oltre ogni logica di mercato)? Solo un «fraintendimento». Anzi, un «grande fraintendimento». E allora che problema c'è? Nessuno, ovviamente. A parte i 43 morti, che forse avrebbero qualcosa di dire su «investimenti, qualità dei servizi, sicurezza, efficienza e viabilità» della società Autostrade. Ma loro, purtroppo, non possono più parlare. Per l'amor del cielo, è evidente a tutti che le leggi sono leggi, i contratti sono contratti, che adesso bisogna ricostruire il ponte e che i Benetton devono, per prima cosa, mettere mano al portafoglio per permettere a Genova di tornare a vivere, almeno lei che può. Ma se tutto questo disastro non servirà a rimettere radicalmente in discussione il sistema delle concessioni autostradali, io penso che ci macchieremmo di una colpa mortale. Castellucci, ovviamente, dice «no alla statalizzazione». Ed è abbastanza ovvio. Ma anche abbastanza spiacevole che siano loro, quelli che hanno gestito il disastro, a pronunciarsi su quello che deve accadere ora. Riparino i danni che hanno fatto e tacciano, visto che finora hanno saputo solo usare parole sbagliate. Che poi non so se la statalizzazione tout court sia davvero la soluzione migliore. La gestione dello Stato sulle strade non è che abbia dato finora prova di assoluta efficienza. Anzi. Di ponti crollati sulle vie dell'Anas ne abbiamo visti fin troppi. Di sprechi e mancati investimenti pure. Quello che è certo, però, è che l'attuale meccanismo delle concessioni autostradali, per cui metà della nostra rete è stata affidata a un unico operatore e con condizioni capestro per lo Stato, è malato e va sradicato. Nei tempi giusti, nei modi giusti, per carità. Senza commettere errori. Senza dover fare ulteriori regali. Ma va fatto. Perché credo che sia per tutti noi insopportabile pensare nei prossimi decenni di passare ancora al casello per lasciare l'obolo alla famiglia che si faceva le grigliate all'ombra dei morti. Ieri La Verità vi ha anticipato una notizia: il prolungamento al 2042 della concessione ad Autostrade per l'Italia, approvato dall'Unione europea, in realtà non è mai stata ratificato. Dunque non è effettivo. La notizia è stata confermata da Castellucci.Al momento, perciò, la concessione scade nel 2038, fra vent'anni. Che sono un po' meno di ventiquattro, ma sono comunque troppi. Secondo la tabella pubblicata ieri dal Sole 24 Ore, infatti, il piano finanziario di Autostrade per l'Italia prevede utili per 22 miliardi di euro fra il 2008 e il 2038: di qui in avanti ne incasseranno almeno un'altra dozzina. E la domanda è: dobbiamo proprio lasciarglieli tutti? E magari offrirgliene altri su un piatto d'argento con la Cassa depositi e prestiti? Ma perché? Con tutto il rispetto dei contratti, delle leggi, dei vincoli, dei parametri X e K, dei coefficienti di rivalutazione e dei tassi di remunerazione, come si fa a spiegare a una persona normale che l'Italia è legata per i prossimi vent'anni a quelli che si arricchivano mentre i ponti crollavano? E che forse dovremmo dare loro altri soldi pubblici, perché hanno i «fondi pubblici nel Dna»? E noi che cos'abbiamo nel Dna? La pirlaggine?
Giorgia Meloni al Forum della Guardia Costiera (Ansa)
«Il lavoro della Guardia Costiera consiste anche nel combattere le molteplici forme di illegalità in campo marittimo, a partire da quelle che si ramificano su base internazionale e si stanno caratterizzando come fenomeni globali. Uno di questi è il traffico di migranti, attività criminale tra le più redditizie al mondo che rapporti Onu certificano aver eguagliato per volume di affari il traffico di droga dopo aver superato il traffico di armi. Una intollerabile forma moderna di schiavitù che nel 2024 ha condotto alla morte oltre 9000 persone sulle rotte migratorie e il governo intende combattere. Di fronte a questo fenomeno possiamo rassegnarci o agire, e noi abbiamo scelto di agire e serve il coraggio di trovare insieme soluzioni innovative». Ha dichiarato la Presidente del Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni durante l'intervento al Forum della Guardia Costiera 2025 al centro congresso la Nuvola a Roma.
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