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2023-09-16
L’Italia del volley potenza planetaria. Ode agli azzurri che nessuno calcola
(Getty Images)
Una puntura di zanzara prude meno, quando sei riuscito a schiacciare la zanzara. Ora, il pallone da volley non somiglia affatto a una zanzara, ma i nostri azzurri in semifinale lo schiacciavano con una facilità tale da far credere al pubblico romano che strapazzare la Francia fosse molto più semplice di spappolare l’insolente insetto sotto le lenzuola in una notte d’estate. E si badi bene: la finale conquistata dall’Italia maschile in questi Europei contro gli eterni rivali polacchi, già battuti nella finale dei Mondiali l’anno scorso, è di per sé una vittoria, indipendentemente da come andrà la partita stasera (ore 21, diretta tv su Rai1 e Sky). Il motivo è presto detto: il sestetto allenato da Fefè De Giorgi si è già accaparrato lo scorso torneo europeo, i mondiali, e oggi torna in finale nella manifestazione continentale. Trovate voi, negli ultimi anni, un’Italia così vincente in qualsiasi altra disciplina sportiva. Ci sarebbe il calcio con il suo potenziale per sfoggiare discrete prestazioni come accaduto nel trionfo a Euro 2020, ma veniamo da due Mondiali mancati, siamo nel bel mezzo di una qualificazione a Euro 2024 ancora traballante, un ex Ct, inebriato dal profumo dei datteri e dei soldi, è fuggito riparandosi sotto i dishdasha sauditi, il presidente federale fino a oggi non ha brillato per scelte lungimiranti. Insomma, il pallone nostrano deve riconquistare una reputazione. L’Italbasket del buon Gianmarco Pozzecco ha sputato l’anima ai Mondiali nelle Filippine, ha persino superato la Serbia, risultata poi finalista, ma contro la corazzata americana ha imitato una batteria durante un concerto rock: martellata tutto il tempo con sinfonie in quattro quarti. A dirla tutta ci sarebbe il volley femminile, celebrato dai media a la page un po’ per statuto introiettato che vede nell’appartenenza al genere rosa un motivo per occupare le prime pagine dei giornali, un po’ per le intemperanze very vip di Paola Egonu, negli ultimi tempi nota più per le sue esternazioni che per le prodezze sotto rete: alla prova dei fatti le ragazze potevano giocare meglio. Qualcuno potrebbe sottolineare come il tennis ci stia garantendo soddisfazioni dorate. È vero, Jannik Sinner, oggi numero 5 del mondo, ha i numeri per diventare plurivittorioso della racchetta nazionale, ma la Coppa Davis, con l’altoatesino a casa a riposarsi in attesa dei prossimi tornei, si è rivelata un massacro nonostante di fronte a noi campeggiassero gli abbordabili canadesi. Non c’è bisogno di dare la croce addosso al povero Jannik che si è defilato: ha scelto di tutelarsi in vista del finale di stagione Atp, e poi giocatori come Lorenzo Musetti (che in giornata favorevole era già riuscito a superare, per lo meno sulla sua adorata terra battuta, i blasonati Alcaraz e Djokovic) erano all’altezza della sfida. Dunque Dio salvi la pallavolo maschile. Sembra di essere tornati nei tempi gloriosi in cui il Ct era Julio Velasco. L’era di Zorro san Zorzi, di Giani (il formidabile Andrea sedeva proprio sulla panchina della Francia sconfitta dall’Italia due giorni fa in semifinale), di Lucchetta, di Bernardi. Di De Giorgi, per l’appunto, oggi custode in panchina di un tesoro collettivo. Il 3-0 rifilato ai transalpini è stato frutto di arguzia tattica, umiltà nel non sentirsi già con un piede in finale, veemenza all’occorrenza. De Giorgi è cristallino: «Abbiamo giocato con grande intensità, la Francia le ha provate tutte, ma i ragazzi si sono rivelati tosti e battaglieri. L’approccio era quello di rispondere colpo su colpo e così è stato. Ci siamo ripromessi di mettere in campo tutto quanto costruito in questo percorso e lo abbiamo fatto contro una squadra coriacea e tecnica, brava a difendere». Giannelli al palleggio, Yuri Romanò alla diagonale, Michieletto e Lavia a schiacciare, non scordando Balaso, Mosca, Galassi, hanno regolato una Francia guidata dal servizio dell’ottimo Brizard, con un Earvin Ngapeth non del tutto tirato a lucido. Adesso tocca affrontare gli eterni rivali della Polonia, che hanno eliminato 3-1 la Slovenia in rimonta, dopo aver perso il primo set. I polacchi sono allenati dall’ex palleggiatore serbo Nikola Grbic, classe 1973, vecchia conoscenza della Serie A1 italiana con le sue storiche presenze a Montichiari, a Cuneo, a Treviso. I biancorossi dell’est Europa sono reduci da un trionfo nella Nations League, vantano due edizioni sulle tre più recenti dei Mondiali vinte, e una finale nella scorsa edizione di settembre in cui furono fermati 3-1 proprio dagli italiani. Il giocatore più temibile è Wilfredo Leon, schiacciatore di origini cubane in forza a Perugia, nel nostro campionato. Le vittorie sulla Serbia nei quarti e sugli sloveni sono merito del suo braccio poderoso, da martello, Carlo, se ci trovassimo a Poitiers. Il suo servizio è incisivo e alla schiacciata è capace di penetrare anche i muri più solidi. Leon è coadiuvato da Aleksander Sliwka, tuttofare con spiccate doti pure difensive. Marcin Janusz è un buon palleggiatore, un atleta ombra perché, come si dice, non lo si sente arrivare e talvolta è vittima di una certa qual sottovalutazione. Attenzione pure al nuovo opposto titolare, Lukasz Kaczmarek. Il tifo romano potrebbe rivelarsi il settimo uomo in campo per gli azzurri. Lo conferma lo schiacciatore Alessandro Michieletto: «Contro la Francia il palazzetto ci ha dato una spinta incredibile. Ci siamo meritati questa finale. Ho cercato di spingere il più possibile nelle battute conclusive, prima di me lo avevano fatto Romanò e Lavia. Contro i polacchi daremo il 110%». Ma, come si diceva prima, la vittoria per il morale tricolore è già stata messa in bacheca.
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Le delusioni del calcio, i veleni del tennis e perfino i capricci di Paola Egonu: i grandi media trascurano la nazionale di Fefé De Giorgi, che stasera contro la Polonia si gioca (da campione del mondo) il titolo europeo. Una puntura di zanzara prude meno, quando sei riuscito a schiacciare la zanzara. Ora, il pallone da volley non somiglia affatto a una zanzara, ma i nostri azzurri in semifinale lo schiacciavano con una facilità tale da far credere al pubblico romano che strapazzare la Francia fosse molto più semplice di spappolare l’insolente insetto sotto le lenzuola in una notte d’estate. E si badi bene: la finale conquistata dall’Italia maschile in questi Europei contro gli eterni rivali polacchi, già battuti nella finale dei Mondiali l’anno scorso, è di per sé una vittoria, indipendentemente da come andrà la partita stasera (ore 21, diretta tv su Rai1 e Sky). Il motivo è presto detto: il sestetto allenato da Fefè De Giorgi si è già accaparrato lo scorso torneo europeo, i mondiali, e oggi torna in finale nella manifestazione continentale. Trovate voi, negli ultimi anni, un’Italia così vincente in qualsiasi altra disciplina sportiva. Ci sarebbe il calcio con il suo potenziale per sfoggiare discrete prestazioni come accaduto nel trionfo a Euro 2020, ma veniamo da due Mondiali mancati, siamo nel bel mezzo di una qualificazione a Euro 2024 ancora traballante, un ex Ct, inebriato dal profumo dei datteri e dei soldi, è fuggito riparandosi sotto i dishdasha sauditi, il presidente federale fino a oggi non ha brillato per scelte lungimiranti. Insomma, il pallone nostrano deve riconquistare una reputazione. L’Italbasket del buon Gianmarco Pozzecco ha sputato l’anima ai Mondiali nelle Filippine, ha persino superato la Serbia, risultata poi finalista, ma contro la corazzata americana ha imitato una batteria durante un concerto rock: martellata tutto il tempo con sinfonie in quattro quarti. A dirla tutta ci sarebbe il volley femminile, celebrato dai media a la page un po’ per statuto introiettato che vede nell’appartenenza al genere rosa un motivo per occupare le prime pagine dei giornali, un po’ per le intemperanze very vip di Paola Egonu, negli ultimi tempi nota più per le sue esternazioni che per le prodezze sotto rete: alla prova dei fatti le ragazze potevano giocare meglio. Qualcuno potrebbe sottolineare come il tennis ci stia garantendo soddisfazioni dorate. È vero, Jannik Sinner, oggi numero 5 del mondo, ha i numeri per diventare plurivittorioso della racchetta nazionale, ma la Coppa Davis, con l’altoatesino a casa a riposarsi in attesa dei prossimi tornei, si è rivelata un massacro nonostante di fronte a noi campeggiassero gli abbordabili canadesi. Non c’è bisogno di dare la croce addosso al povero Jannik che si è defilato: ha scelto di tutelarsi in vista del finale di stagione Atp, e poi giocatori come Lorenzo Musetti (che in giornata favorevole era già riuscito a superare, per lo meno sulla sua adorata terra battuta, i blasonati Alcaraz e Djokovic) erano all’altezza della sfida. Dunque Dio salvi la pallavolo maschile. Sembra di essere tornati nei tempi gloriosi in cui il Ct era Julio Velasco. L’era di Zorro san Zorzi, di Giani (il formidabile Andrea sedeva proprio sulla panchina della Francia sconfitta dall’Italia due giorni fa in semifinale), di Lucchetta, di Bernardi. Di De Giorgi, per l’appunto, oggi custode in panchina di un tesoro collettivo. Il 3-0 rifilato ai transalpini è stato frutto di arguzia tattica, umiltà nel non sentirsi già con un piede in finale, veemenza all’occorrenza. De Giorgi è cristallino: «Abbiamo giocato con grande intensità, la Francia le ha provate tutte, ma i ragazzi si sono rivelati tosti e battaglieri. L’approccio era quello di rispondere colpo su colpo e così è stato. Ci siamo ripromessi di mettere in campo tutto quanto costruito in questo percorso e lo abbiamo fatto contro una squadra coriacea e tecnica, brava a difendere». Giannelli al palleggio, Yuri Romanò alla diagonale, Michieletto e Lavia a schiacciare, non scordando Balaso, Mosca, Galassi, hanno regolato una Francia guidata dal servizio dell’ottimo Brizard, con un Earvin Ngapeth non del tutto tirato a lucido. Adesso tocca affrontare gli eterni rivali della Polonia, che hanno eliminato 3-1 la Slovenia in rimonta, dopo aver perso il primo set. I polacchi sono allenati dall’ex palleggiatore serbo Nikola Grbic, classe 1973, vecchia conoscenza della Serie A1 italiana con le sue storiche presenze a Montichiari, a Cuneo, a Treviso. I biancorossi dell’est Europa sono reduci da un trionfo nella Nations League, vantano due edizioni sulle tre più recenti dei Mondiali vinte, e una finale nella scorsa edizione di settembre in cui furono fermati 3-1 proprio dagli italiani. Il giocatore più temibile è Wilfredo Leon, schiacciatore di origini cubane in forza a Perugia, nel nostro campionato. Le vittorie sulla Serbia nei quarti e sugli sloveni sono merito del suo braccio poderoso, da martello, Carlo, se ci trovassimo a Poitiers. Il suo servizio è incisivo e alla schiacciata è capace di penetrare anche i muri più solidi. Leon è coadiuvato da Aleksander Sliwka, tuttofare con spiccate doti pure difensive. Marcin Janusz è un buon palleggiatore, un atleta ombra perché, come si dice, non lo si sente arrivare e talvolta è vittima di una certa qual sottovalutazione. Attenzione pure al nuovo opposto titolare, Lukasz Kaczmarek. Il tifo romano potrebbe rivelarsi il settimo uomo in campo per gli azzurri. Lo conferma lo schiacciatore Alessandro Michieletto: «Contro la Francia il palazzetto ci ha dato una spinta incredibile. Ci siamo meritati questa finale. Ho cercato di spingere il più possibile nelle battute conclusive, prima di me lo avevano fatto Romanò e Lavia. Contro i polacchi daremo il 110%». Ma, come si diceva prima, la vittoria per il morale tricolore è già stata messa in bacheca.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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