2018-05-26
Tra fuoriclasse blancos e formiche reds è resa dei conti su tutto
Stasera a Kiev la finale di Champions si trasforma nel confronto fra due opposte filosofie del calcio: dallo stile al gioco, dai «mister» al tipo di tifo.Da una parte c'è un domatore di leoni berbero, dall'altra uno scienziato pazzo tedesco; di qua il candore della nobiltà e di là l'ardore degli hooligan. Neve e sangue, freddo e caldo. Prima che fra squadre di calcio, Real Madrid-Liverpool è una sfida fra anime. Gli spagnoli sono arrivati in Ucraina in carrozza, la stessa su cui da un triennio attraversano il continente a passo di Marcia trionfale, sfoggiando completi sartoriali e orologi-gioiello, e con lo sguardo dritto, da dive consumate, contro i flash dei fotografi. Gli inglesi, sbarcati in tuta, sono scivolati in hotel col fare guardingo di chi sa d'essere a un metro dall'occasione della vita ma cerca di passare inosservato, per preservare il fattore sorpresa. La coppa dalle grandi orecchie è lì, poggiata nella tinozza postsovietica dell'Olimpico di Kiev, un Colosseo d'acciaio che s'è fatto rifare il look dalle archistar ma riflette ancora - monolitico e spianato com'è - l'estetica dei nomi che ha portato nei decenni: Stadio Rosso, Repubblicano Stalin e infine Kruščëv. Stasera alle 20.45 andrà in scena l'ultimo atto della Champions league ed è una di quelle occasioni in cui il confronto esonda dagli argini del prato verde. Anzitutto per la filosofia. Il Real, sulla cresta del triennio divino griffato Zinédine Zidane (tre finali di Champions in due anni mezzo di panchina), si presenta senza grossi cambiamenti in organico. Anzi si è cristallizzato, rigettando gli innesti anche piccoli, come a voler perpetuare il ciclo attraverso i singoli, portatori sani di mentalità vincente. In un calcio sempre più stratificato, complesso, ossessionato da percentuali e statistica, i Blancos dominano guidati da un istinto principale, mettere in campo gli undici più forti del pianeta e lasciare all'avversario la soluzione del problema: e ora battici, se ne sei capace. Nell'anno domini 2018, il Real Madrid, la squadra più forte del mondo, è la più anacronistica. Ha portato l'orologio del pallone indietro di 60 anni, il Grande squalo bianco, seppellendo libri di tattica e allenamenti con i droni sotto una valanga di fuoriclasse. Fedele alla propria genetica, la stessa del grande Real Madrid di Ferenc Puskàs e Alfredo Di Stefano che sollevò cinque Coppe Campioni di fila dal 1955 al 1960, facendo la sola fatica di presentarsi in campo. I Blancos schierano il top di gamma ruolo per ruolo, dal difensore centrale (capitan Sergio Ramos, capace di 70 gol in carriera) al terzino sinistro (Marcelo, un 10 brasiliano reincarnato nel corpo di un esterno difensivo), dalla coppia di centrocampo (Luka Modric-Toni Kroos, lampi balcanici e pulizia teutonica) al goleador (di Cristiano Ronaldo basta il nome), perfino i panchinari sono i migliori del mondo: Isco, Kovacic, Asensio e Bale, tutta gente che al Bernabeu gioca e non gioca. Un allenatore, con le sue pretese di somministrare ordini e stabilire gerarchie, sarebbe finito sbranato in mezzo a tante belve. Per questo Florentino Perez ha scelto Zidane, un loro simile, un fuoriclasse eterno che a Valdebebas le gare di punizioni all'incrocio le vince ancora lui. Il branco l'ha fiutato e riconosciuto come leader. Zizou non allena, indica solo la preda.Jürgen Klopp vede cose che gli altri neanche immaginano. Il Liverpool è una squadra senza compromessi, come si è ben visto anche nella doppia sfida di semifinale contro la Roma: due partite mai in discussione, stravinte nel gioco e nel punteggio, che però i Reds hanno lasciato riaprire sia all'andata sia al ritorno perché il kloppismo non contempla né melina né gestione del risultato. Tutti sanno fare tutto, al Liverpool. Il Vangelo secondo Jürgen prevede poliedricità, attenzione al dettaglio e corsa a perdifiato. Le formiche rosse sciamano lungo direttrici invisibili al di fuori delle loro testoline: ogni scenario richiede una posizione, ogni posizione richiede un compito. Le superstar qui sono meno predominanti: c'è il faraone d'Egitto, Momo Salah, che nelle praterie spalancate da Klopp alla sua corsa di ghepardo ha trovato la miglior annata in carriera, e si spera che anche stasera abbia il giusto sprint sebbene stia osservando il digiuno del Ramadan. C'è Roberto Firmino, che prima di diventare gioiello della corona in Premier league era un incostante trequartista brasiliano disperso in Germania: con la mano del mister è diventato un maghetto incontrollabile. C'è Sadio Mané, troppo impreciso per essere un super attaccante ma troppo muscolare per smettere di attaccare. E poi una serie di scommesse - vinte, altrimenti il Liverpool non sarebbe a Kiev - tipo Trent Alexander-Arnold, che giocherà terzino e verosimilmente incrocerà Cr7 ma i suoi 19 anni, e relativi errori di gioventù nel corso di tutta la stagione, non sono un problema agli occhi dell'allenatore (capito, colleghi italiani?); c'è Georginio Wijnaldum, omaggiato a 27 anni con l'ultima chance di stabilirsi al livello dei grandi; ci sono marpioni di lungo corso, Jordan Henderson (capitano) e James Milner, alfieri del british style; c'è lo juventino in divenire Emre Can. Nessuno è primattore ma tutti sanno bene la parte. Anche sugli spalti il contrasto sarà netto: mezzo stadio, quello rosso, canterà You'll never walk alone senza tregua, a prescindere dal punteggio, esattamente come quella notte a Istanbul, quando il Milan chiuse avanti 3-0 il primo tempo ma la tigna dei Reds trascinò infine la coppa Oltremanica. L'altra metà, quella bianca, è abituata ad andare a teatro e inizia a mugugnare se il Real Madrid dopo 20 minuti sta ancora zero a zero, perché la vittoria ormai è una propaggine del madridismo. Chiunque vinca, l'avrà meritato.