2021-09-18
Quant’è fico il frutto del peccato originale
Secondo molti biblisti non fu la mela a far cacciare Adamo ed Eva dall'Eden. Ipotesi avvalorata da testi e opere d'arte medioevali Simbolo di prosperità, di fertilità e salvezza, la pianta asiatica fu una delle prime coltivate dall'uomo, millenni prima del grano.Bentrovati in settembre, il dolce mese dei fichi. Un proverbio sui mesi tratto da un antico lunario contadino, identificando ogni mese dell'anno con la sua tipica produzione (...aprile carciofaio, maggio ciliegiaio... agosto pescaio...) lega settembre al frutto con la lacrima zuccherina: settembre ficaio. Agosto pescaio, settembre ficaio era il titolo della manifestazione voluta nel 2019 da Vittorio Sgarbi, sindaco di Sutri, nella cittadina in provincia di Viterbo. In realtà i primi fichi a maturare sulla pianta, in giugno e luglio, sono i fioroni. In agosto e settembre ecco pronti i forniti (finiti), a fine settembre e autunno inoltrato i tardivi. Tra le varietà biancoverdi si distinguono il brianzolo, il pizzalutto, il bigiorro, il cilentano. Tra i neri il fico di San Pietro, il portoghese. C'è da dire che quello che consideriamo frutto del fico, in realtà è un'infiorescenza. I veri frutti sono quei semini interni. Ci sembra di mangiare un solo frutto, ma ne mangiamo tantissimi.Il fico fresco ha poche calorie, solo 47, e neanche l'ombra di colesterolo, ma è ricco di zucchero. Il che deve mettere in guardia chi soffre di diabete. In compenso ha vitamine e minerali, soprattutto potassio e calcio. Con i fichi si fanno confetture, torte, gelati, liquori. Si usano anche per accompagnare antipasti o carni. Il fico va mangiato molto maturo, quando, suggerisce un detto popolare, «ha il collo di impiccato e la camicia di furfante». Un altro detto ne conferma la bontà: «Uva, fichi, persici e meloni sono i quattro migliori bocconi».Il fico è il primo stilista nella storia dell'umanità, l'Armani dell'Eden, il Dolce&Gabbana del Paradiso Terrestre. Fu lui a fornire prima il frutto del peccato e poi l'abito, taglia unica e unisex, ad Adamo ed Eva quando s'accorsero di avere le pudenda on plein air. Ma non fu la mela il frutto del peccato? Molti biblisti dicono di no. Fu il fico. L'ipotesi viene avvalorata da testi e opere d'arte medioevali. Vedi, uno per tutti, il bassorilievo di Lorenzo Maitani riguardante il peccato dei progenitori sulla facciata del duomo di Orvieto. L'iconografica del rilievo marmoreo, molto realistica, è di facile lettura: il frutto che Eva porge al marito è un fico; i frutti e le foglie sull'albero sono di fico. La Genesi non precisa quale tipo di pianta fosse l'albero della conoscenza, ma parla genericamente di frutto. La versione favorevole alla mela pare che venga dall'interpretazione della parola «pomo» che indica qualsiasi frutto tondeggiante (pera, cotogna, nespola...), quando in realtà l'albero piantato al centro del paradiso terrestre era un fico ritenuto la pianta che nutre, oltre al corpo, anche la mente. Albero, in più, venerato da molti popoli come sacro.Quale sia il luogo d'origine del fico non è certo. Sicuramente è una pianta asiatica, probabilmente viene dal Medio Oriente. Alcune recenti scoperte archeologiche dimostrano che il fico è una delle prime piante coltivate dall'uomo, qualche millennio prima del grano, dell'orzo e di altri cereali. La scoperta è stata fatta da archeologi israeliani poco lontano da Gerico, considerata la più antica città al mondo. In un sito nella valle del Giordano, abitato più di 11.000 anni fa, sono stati trovati alcuni fichi.La storia, le civiltà, le religioni, l'arte e i miti sono ricchi di riferimenti al fico. Nel Vecchio Testamento, a parte la sventurata disobbedienza di Adamo ed Eva, il fico è citato molte volte come simbolo di prosperità, di fertilità e salvezza. Il giusto re Ezechia, colpito da un morbo mortale, viene curato da Isaia con un impiastro di fichi. Nel libro dei Giudici, capitolo IX, il fico rifiuta di essere il re degli alberi per non rinunziare alla sua dolcezza e al frutto squisito. In India è l'albero sacro che cresce dal cielo ed è simbolo del mondo. È sotto un fico che Budda ricevette l'illuminazione. Per questo in quella dottrina il fico è il simbolo della conoscenza (come nell'Eden).Nell'antica Grecia il fico è protagonista di molti miti. Gea, la dea Terra, sfugge ai fulmini di Giove nascondendosi in un fico, da allora ritenuto una pianta che respinge i fulmini. Albero sacro a Dioniso, birichino dio del vino e dell'euforia erotica, genera frutti che sono creduti afrodisiaci. La credenza che il fico fosse una sorta di viagra arriva fino al medioevo consolidata dalla prestigiosa Scuola medica salernitana: «Provoca lo stimolo venereo anche a chi vi si oppone». E arriva fino a noi: Isabel Allende in Afrodita lo inserisce nell'elenco dei frutti proibiti.Ma torniamo alla Grecia classica dove, al di là dei rendimenti amorosi, i frutti del fico venivano considerati degni di oratori e filosofi. C'era la convinzione che i bambini balbuzienti guarissero sotto un fico acquistando un eloquio fluente. Platone, era talmente ghiotto di questi frutti da essere soprannominato «Mangiafichi». Il filosofo era convinto che facessero bene all'intelligenza e li raccomandava ai suoi discepoli per sviluppare l'intelletto proprio come adesso i genitori raccomandano il pesce ricco di omega 3 ai figli studenti. Fin dal V secolo avanti Cristo, i casari Greci usavano il «latte» dei fichi per cagliare il latte e fabbricare ottimi caci.I fichi facevano parte dell'alimentazione abituale di Fenici, Etruschi e di molti altri popoli dell'area mediterranea. Se Roma esiste deve ringraziare il fico sotto il quale approdò la cesta affidata alle acque del Tevere con a bordo Romolo e Remo. I vagiti dei due gemelli affamati attirarono l'attenzione della lupa che li allattò. Il resto è storia ab urbe condita: Roma cresce, si espande e diventa caput mundi grazie anche a questo delizioso e pacifico frutto e a quel guerrafondaio di Marco Porcio Catone che a forza di ripetere «Carthago delenda est» convinse il Senato a scatenare la terza guerra punica mostrando un cesto di sugosi fichi e dimostrando quanto era vicina Cartagine: «Questi sono stati raccolti questa mattina».Plinio il Vecchio, scienziato, consigliava nella Naturalis Historia di mangiar fichi: «Rende più forti i giovani, aiuta la salute degli anziani e attenua le rughe». Publio Ovidio Nasone racconta che in occasione del capodanno era usanza offrire, ad amici e parenti, frutti di fico e del miele come augurio per il nuovo anno. I ricchi trimalcioni romani d'età imperiale adoravano il ficatum, fegato d'oca ingrassata con i fichi.Possiamo dirlo: il fico è davvero fico. Talmente fico che è diventato una delle metafore umane più usate. Un uomo affascinante? È un fico. Richard Gere, ad esempio. Un uomo gentile? È dolce come un fico. Vittorio De Sica lo cantava nel 1931 nella rivista Za Bum: «Lodovico sei dolce come un fico, sei un vero amico». Un Fico (con la F maiuscola) importante nelle cariche di Stato? Roberto Fico, presidente della Camera dei deputati. Un buono a nulla? Non vale un fico secco. Un avaro? Vuol fare le nozze con i fichi secchi. Un politico sbugiardato? Si era nascosto inutilmente dietro una foglia di fico. Attenzione, però. Scherza con i fanti, ma lascia stare i santi. Ne sa qualcosa Antonello Venditti che nel 1974 diede del fico con intenzioni innocenti, ma un po' troppo audacemente a Gesù («Ammàzzete Gesù Cri' quanto sei fico») in una canzone in dialetto romanesco contro la guerra. Il cantautore si beccò una condanna a sei mesi per vilipendio alla religione di Stato e fu costretto a modificare il testo. Più cauti due suoi colleghi che si limitarono a cantare la dolcezza del frutto: Lucio Battisti, criptico, in Per nome: «Ha un nome molto bello, molto illeso/ che se me lo ricordo si apre un fico/ golosamente arreso se lo dico». Solare Francesco Guccini: «Ma quando è maturo e sugoso/ allora è il momento del fico/ ch'è buono sì che non vi dico./ Oh rabbia, che ormai l'ho già dett!».
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La consulenza super partes parla chiaro: il profilo genetico è compatibile con la linea paterna di Andrea Sempio. Un dato che restringe il cerchio, mette sotto pressione la difesa e apre un nuovo capitolo nell’indagine sul delitto Poggi.
La Casina delle Civette nel parco di Villa Torlonia a Roma. Nel riquadro, il principe Giovanni Torlonia (IStock)
Dalle sue finestre vedeva il Duce e la sua famiglia, il principe Giovanni Torlonia. Dal 1925 fu lui ad affittare il casino nobile (la villa padronale della nobile casata) per la cifra simbolica di una lira all’anno al capo del Governo, che ne fece la sua residenza romana. Il proprietario, uomo schivo e riservato ma amante delle arti, della cultura e dell’esoterismo, si era trasferito a poca distanza nel parco della villa, nella «Casina delle Civette». Nata nel 1840 come «capanna svizzera» sui modelli del Trianon e Rambouillet con tanto di stalla, fu trasformata in un capolavoro Art Nouveau dal principe Giovanni a partire dal 1908, su progetto dell’architetto Enrico Gennari. Pensata inizialmente come riproduzione di un villaggio medievale (tipico dell’eclettismo liberty di quegli anni) fu trasformata dal 1916 nella sua veste definitiva di «Casina delle civette». Il nome derivò dal tema ricorrente dell’animale notturno nelle splendide vetrate a piombo disegnate da uno dei maestri del liberty italiano, Duilio Cambellotti. Gli interni e gli arredi riprendevano il tema, includendo molti simboli esoterici. Una torretta nascondeva una minuscola stanza, detta «dei satiri», dove Torlonia amava ritirarsi in meditazione.
Mussolini e Giovanni Torlonia vissero fianco a fianco fino al 1938, alla morte di quest’ultimo all’età di 65 anni. Dopo la sua scomparsa, per la casina delle Civette, luogo magico appoggiato alla via Nomentana, finì la pace. E due anni dopo fu la guerra, con villa Torlonia nel mirino dei bombardieri (il Duce aveva fatto costruire rifugi antiaerei nei sotterranei della casa padronale) fino al 1943, quando l’illustre inquilino la lasciò per sempre. Ma l’arrivo degli Alleati a Roma nel giugno del 1944 non significò la salvezza per la Casina delle Civette, anzi fu il contrario. Villa Torlonia fu occupata dal comando americano, che utilizzò gli spazi verdi del parco come parcheggio e per il transito di mezzi pesanti, anche carri armati, di fatto devastandoli. La Casina di Giovanni Torlonia fu saccheggiata di molti dei preziosi arredi artistici e in seguito abbandonata. Gli americani lasceranno villa Torlonia soltanto nel 1947 ma per il parco e le strutture al suo interno iniziarono trent’anni di abbandono. Per Roma e per i suoi cittadini vedere crollare un capolavoro come la casina liberty generò scandalo e rabbia. Solo nel 1977 il Comune di Roma acquisì il parco e le strutture in esso contenute. Iniziò un lungo iter burocratico che avrebbe dovuto dare nuova vita alle magioni dei Torlonia, mentre la casina andava incontro rapidamente alla rovina. Il 12 maggio 1989 una bimba di 11 anni morì mentre giocava tra le rovine della Serra Moresca, altra struttura Liberty coeva della casina delle Civette all’interno del parco. Due anni più tardi, proprio quando sembrava che i fondi per fare della casina il museo del Liberty fossero sbloccati, la maledizione toccò la residenza di Giovanni Torlonia. Per cause non accertate, il 22 luglio 1991 un incendio, alimentato dalle sterpaglie cresciute per l’incuria, mandò definitivamente in fumo i progetti di restauro.
Ma la civetta seppe trasformarsi in fenice, rinascendo dalle ceneri che l’incendio aveva generato. Dopo 8 miliardi di finanziamenti, sotto la guida della Soprintendenza capitolina per i Beni culturali, iniziò la lunga e complessa opera di restauro, durata dal 1992 al 1997. Per la seconda vita della Casina delle Civette, oggi aperta al pubblico come parte dei Musei di Villa Torlonia.
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Oltre quaranta parlamentari, tra cui i deputati di Forza Italia Paolo Formentini e Antonio Giordano, sostengono l’iniziativa per rafforzare la diplomazia parlamentare sul corridoio India-Middle East-Europe. Trieste indicata come hub europeo, focus su commercio e cooperazione internazionale.
È stato ufficialmente lanciato al Parlamento italiano il gruppo di amicizia dedicato all’India-Middle East-Europe Economic Corridor (IMEC), sotto la guida di Paolo Formentini, vicepresidente della Commissione Affari esteri, e di Antonio Giordano. Oltre quaranta parlamentari hanno già aderito all’iniziativa, volta a rafforzare la diplomazia parlamentare in un progetto considerato strategico per consolidare i rapporti commerciali e politici tra India, Paesi del Golfo ed Europa. L’Italia figura tra i firmatari originari dell’IMEC, presentato ufficialmente al G20 ospitato dall’India nel settembre 2023 sotto la presidenza del Consiglio Giorgia Meloni.
Formentini e Giordano sono sostenitori di lunga data del corridoio IMEC. Sotto la presidenza di Formentini, la Commissione Esteri ha istituito una struttura permanente dedicata all’Indo-Pacifico, che ha prodotto raccomandazioni per l’orientamento della politica italiana nella regione, sottolineando la necessità di legami più stretti con l’India.
«La nascita di questo intergruppo IMEC dimostra l’efficacia della diplomazia parlamentare. È un terreno di incontro e coesione e, con una iniziativa internazionale come IMEC, assume un ruolo di primissimo piano. Da Presidente del gruppo interparlamentare di amicizia Italia-India non posso che confermare l’importanza di rafforzare i rapporti Roma-Nuova Delhi», ha dichiarato il senatore Giulio Terzi di Sant’Agata, presidente della Commissione Politiche dell’Unione europea.
Il senatore ha spiegato che il corridoio parte dall’India e attraversa il Golfo fino a entrare nel Mediterraneo attraverso Israele, potenziando le connessioni tra i Paesi coinvolti e favorendo economia, cooperazione scientifica e tecnologica e scambi culturali. Terzi ha richiamato la visione di Shinzo Abe sulla «confluenza dei due mari», oggi ampliata dalle interconnessioni della Global Gateway europea e dal Piano Mattei.
«Come parlamentari italiani sentiamo la responsabilità di sostenere questo percorso attraverso una diplomazia forte e credibile. L’attività del ministro degli Esteri Antonio Tajani, impegnato a Riad sul dossier IMEC e pronto a guidare una missione in India il 10 e 11 dicembre, conferma l’impegno dell’Italia, che intende accompagnare lo sviluppo del progetto con iniziative concrete, tra cui un grande evento a Trieste previsto per la primavera 2026», ha aggiunto Deborah Bergamini, responsabile relazioni internazionali di Forza Italia.
All’iniziativa hanno partecipato ambasciatori di India, Israele, Egitto e Cipro, insieme ai rappresentanti diplomatici di Germania, Francia, Stati Uniti e Giordania. L’ambasciatore cipriota ha confermato che durante la presidenza semestrale del suo Paese sarà dedicata particolare attenzione all’IMEC, considerato strategico per il rapporto con l’India e il Medio Oriente e fondamentale per l’Unione europea.
La presenza trasversale dei parlamentari testimonia un sostegno bipartisan al rapporto Italia-India. Tra i partecipanti anche la senatrice Tiziana Rojc del Partito democratico e il senatore Marco Dreosto della Lega. Trieste, grazie alla sua rete ferroviaria merci che collega dodici Paesi europei, è indicata come principale hub europeo del corridoio.
Il lancio del gruppo parlamentare segue l’incontro tra il presidente Meloni e il primo ministro Modi al G20 in Sudafrica, che ha consolidato il partenariato strategico, rilanciato gli investimenti bilaterali e discusso la cooperazione per la stabilità in Indo-Pacifico e Africa. A breve è prevista una nuova missione economica guidata dal vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri Tajani.
«L’IMEC rappresenta un passaggio strategico per rafforzare il ruolo del Mediterraneo nelle grandi rotte globali, proponendosi come alternativa competitiva alla Belt and Road e alle rotte artiche. Attraverso la rete di connessioni, potrà garantire la centralità economica del nostro mare», hanno dichiarato Formentini e Giordano, auspicando che altri parlamenti possano costituire gruppi analoghi per sostenere il progetto.
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