2020-05-21
Fesso chi lavora, parola del ministro Dadone
La pandemia ha mostrato l'impreparazione della nostra burocrazia. Ma la responsabile della Pubblica amministrazione pensa a una riforma fantascientifica, con 4 statali su 10 occupati da casa. Perché il cartellino è un «feticcio» e gli assenteisti non esistono.Il cartellino? Un feticcio. Timbrare? Inutile. I furbetti? Non esistono. Il ministro Fabiana Dadone ha trovato finalmente il modo di riformare la Pubblica amministrazione: con la fantascienza. Come il mitico dottor Spock, infatti, va all'esplorazione di nuove galassie, che a prima vista sembrano bellissime, almeno per come le descrive in una intervista a bordo della Stampa-Entreprise. Peccato che esistano solo nella sua fervida immaginazioneQui il futuro degli statali ap. pare come un'oasi di pace e di laboriosità domestica, ovviamente «flessibile, dinamica, digitalizzata», dove tutti lavorano alacremente, da casa ma con strumenti ad alta tecnologia, e tutto funziona a meraviglia. Nessuno che s'imboschi nemmeno per prendere un caffè o andare a trovare l'amante. Niente di niente. E quelli che fino a ieri disertavano l'ufficio per andare al mare? E gli assenteisti cronici che si facevano vedere giusto un paio di volte al mese? E i vigili in mutande, quelli con il cartone in testa, quelli fotografati a fare shopping o al tennis in orario di lavoro? Non ci sono più, è ovvio. Del resto questo non è mica un programma qualsiasi. Questo è (Five) Star Trek. Così il ministro della Pubblica amministrazione, volando sulla sua navicella spaziale, può permettersi di immaginare che, anche finita l'emergenza coronavirus, il 30-40 per cento degli statali potrà continuare a lavorare tranquillamente da casa. Perché rientrare in ufficio? Non ce n'è bisogno. Basta con questa storia del cartellino che è un «feticcio» (lo chiama proprio così). Basta con gli assenteisti su cui si fanno «polemiche inutili». Bisogna «lavorare per obiettivi», con «scadenza giornaliere» (addirittura), oppure «settimanali» (ecco un po' meglio), oppure «mensili» (quasi ci siamo. Ma se facessimo decennali? Non staremmo più tranquilli?). Ovviamente in «postazioni di co working», con la semplificazione (e non può mancare: la semplificazione è come il prezzemolo), con gli alti dirigenti che «rinunciano a un po' del loro potere» (ma sicuro) e tutti gli altri che «cambiano mentalità» (e magari nel frattempo si laureano ad Harvard, perché no?). Un progetto fantastico. Più che vulcanico, vulcaniano. Cioè, per l'appunto, elaborato nel pianeta immaginario del dottor Spock. Non so dove sia stata fino all'altro ieri il ministro Dadone. Noi possiamo anche capire che a differenza dei suoi colleghi, da Renato Brunetta a Giulia Bongiorno, passando financo per Marianna Madia, voglia rinunciare a lottare contro la piaga endemica dell'assenteismo nel settore pubblico che è, chissà perché, sempre più elevato che nel settore privato. Possiamo anche capire che voglia rinunciare a tornelli, impronte digitali, sospensioni, minacce di licenziamento e tutto quello che in questi anni è stato pensato per cercare di evitare il reato di chi bigia il lavoro perché lei magari è più interessata a evitare la protesta di qualche sindacato. Possiamo anche capire che, a differenza della maggioranza degli italiani, non sia disturbata nel vedere gli spettacoli indecenti di persone pagate per andare dal parrucchiere o in canoa, ma anzi si faccia proiettare sul televisore privato le immagini degli assenteisti a zonzo perché ciò le provoca un perverso piacere. Resta però un dubbio atroce. E cioè: il ministro della Pubblica amministrazione ha una minima idea di che cosa sia in Italia la pubblica amministrazione? Di lavoratori onestissimi fra gli statali ce ne sono tanti, è chiaro. La stragrande maggioranza. Ma saranno proprio loro i primi a pagare il «liberi tutti» annunciato. O davvero si pensa che quei 40 statali su 100 che continueranno a lavorare a casa, finita l'emergenza sanitaria, saranno tutti impeccabili militanti del dio dovere? Prussiani del protocollo? Stakanovisti della certificazione? Integerrimi soldati della puntualità amministrativa? Davvero si pensa che l'efficienza che fino a ieri non c'era, nonostante controlli accurati e severe procedure, ci sarà domani per magia, soltanto perché si lasciano le stesse persone tra le mura domestiche? E davvero si pensa che ci possono essere dei controlli seri? A casa? Sul serio? Un'amministrazione pubblica che è andata in tilt per pagare 600 euro alle partita Iva potrà controllare 3 milioni di dipendenti giornalmente? E come? Con quali strumenti? Con le pistole a fase di Star Trek? O con le lame rotanti di Goldrake? Ah no, scusate. Dice Fabiana Dadone che chiederà aiuto al ministro dell'Innovazione Paola Pisano. E così ci sentiamo subito tutti più tranquilli. La persona che non è riuscita in due mesi e mezzo ad elaborare uno straccio di app per tracciare i malati di coronavirus, dovrebbe essere in grado di fornire subito gli strumenti digitali per verificare il lavoro di tre milioni di statali. Verifiche giornaliere. Ma sicuro. Magari anche ora per ora, perché no? Minuto per minuto. Io ci credo. Del resto ho appena visto un elefante che volava e la Fata Turchina in bikini che cercava di sedurre Flash Gordon. Figurarsi, dunque, se non posso credere alla meravigliosa tecnologia del ministro Pisano a servizio del ministro Dadone. Scusate solo se, in mezzo a tutta questa piacevole fantasia, restiamo ancorati alla realtà. Che ci appare un po' diversa. Oserei dire, più terrena. Purtroppo, infatti, l'emergenza coronavirus ci ha mostrato la totale impreparazione della nostra macchina burocratica. E pensare di risolvere questi immensi problemi lasciando a casa quattro statali su dieci è un po' come pensare di eliminare la calvizie andando a fare una gita al lago. Inutile. O peggio: dannoso. I furbetti (meglio: i delinquenti) del cartellino, purtroppo, esistono e danneggiano in primo luogo coloro che lavorano seriamente. Questi ultimi, se il geniale piano verrà attuato davvero, si sentiranno fessi due volte. Proprio così: se il ministro anziché eliminare i furbetti (meglio: i delinquenti) del cartellino, eliminerà direttamente il cartellino, otterrà solo un risultato: stabilire per la pubblica amministrazione il principio del «fesso chi lavora». Forse avrà un problema in meno per lei. Ma darà un sacco di problemi in più a noi. Per cui ci permettiamo, caro Dadone -Spock, di rivolgerle una umile preghiera. Torni sulla terra, grazie.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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