
Per l’ex sottosegretario alla Giustizia il magistrato si sentiva «vittima di un’ingiustizia» dopo aver saputo dell’indagine a suo carico.«Luca Palamara si sentiva una vittima. Aveva saputo di un’indagine a suo carico e viveva questa situazione come un’ingiustizia». Secondo Cosimo Maria Ferri, ex sottosegretario al ministero di Giustizia e magistrato in aspettativa, era questo lo stato d’animo dell’ex pm romano quando venne a sapere dell’inchiesta perugina a suo carico.Ferri, nel capoluogo umbro, ha testimoniato nel processo in corso nei confronti di Palamara e dell’ex collega Stefano Fava, accusati a vario titolo di rivelazione di segreto, abuso di ufficio e accesso abusivo. In particolare i due sono considerati i registi della pubblicazione sulla Verità e sul Fatto quotidiano della notizia riguardante l’esposto presentato da Fava nei confronti dell’ex capo della Procura di Roma Giuseppe Pignatone e dell’aggiunto Paolo Ielo per un presunto conflitto di interesse.A far deprimere Palamara sarebbe stato l’improvvisa perdita di prestigio all’interno della magistratura: «Era stato a capo dell’Anm, componente del Csm dove si decideva il futuro dei magistrati, e poi si era trovato dalla mattina alla sera spogliato di questo prestigio, da super magistrato a indagato» ha continuato il testimone. Ma nella contentezza per l’esposto, Ferri vedeva «più che l’esigenza di attaccare qualcuno la soddisfazione nel vedere che non era il solo a sentirsi in difficoltà».Dell’esposto ha parlato anche l’ex parlamentare ed ex ministro Luca Lotti, pure lui chiamato a deporre. La sua posizione ieri non era certamente semplice: in aula era infatti presente Ielo, come parte civile e presunta vittima di una campagna diffamatoria. Lo stesso Ielo è il magistrato che ha firmato la richiesta di rinvio a giudizio per Lotti, imputato a Roma nel processo Consip.«Palamara mi parlò, all’inizio del 2019, di un esposto che avrebbe presentato Fava contro l’allora procuratore Pignatone e Ielo. Mi fu spiegato che l’esposto riguardava la mancata astensione di Ielo e Pignatone, in relazione a rapporti lavorativi che avevano i loro fratelli» ha detto l’ex sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. «Palamara era particolarmente interessato alla pubblicazione della notizia dell’esposto» e a suo giudizio ciò era collegato «con vicende interne alla Procura di Roma e alla nomina del procuratore». L’ex consigliere del Csm avrebbe fatto riferimento anche «ai suoi rapporti con Pignatone che non erano più buoni come una volta», senza però specificarne i motivi.Lotti non ha saputo spiegare perché in un primo tempo avesse dichiarato ai pubblici ministeri di Perugia che Palamara nulla sapeva degli articoli in uscita sui giornali, mentre in un successivo interrogatorio ha sostenuto l’interesse dell’ex pm per quella pubblicazione.In realtà in un’intercettazione del 27 maggio 2019 lo stesso Lotti fa riferimento a una sua possibile interrogazione parlamentare sulla vicenda dei fratelli di Pignatone e Ielo e sulla possibilità che questa potesse essere ripresa sul Messaggero.Di fronte alle domande dell’avvocato Luigi Castaldi, difensore di Fava, l’ex ministro ha dovuto ammettere che nel conversare con Ferri e Palamara aveva millantato rapporti con il numero due dell’Eni Claudio Granata che, in realtà, non aveva e di aver ricevuto dal manager documenti che, però, l’uomo non gli aveva mai dato. Le carte in questione riguardavano gli incarichi professionali conferiti dal Cane a sei zampe all’avvocato Domenico Ielo, fratello del procuratore aggiunto.Rispondendo alle domande dei pm Gemma Miliani e Mario Formisano sia Ferri che Lotti hanno dichiarato di non aver mai conosciuto Fava perché non faceva vita associativa, né mondana.
Vincenzo De Luca (Ansa)
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