2019-07-10
«Farò cambiare idea a Salvini sulle scorte»
Il regista Claudio Bonivento di «A mano disarmata» invita il vicepremier a vedere il suo film: «Lo rispetto, ma sul tema non è stato bene informato Ho prodotto pellicole famose come “Sapore di mare". Ma devo tutto alla musica: da Mogol e Lucio Battisti ho imparato a stare al mondo».Claudio Bonivento, comasco di nascita (di Faggeto Lario), milanese per formazione e vocazione, romano di adozione, 68 anni, anzi, come ci tiene a sottolineare, «34 anni per due», ché, se volessimo, potremmo suddividere la sua vita non solo in due parti, ma almeno in quattro. Discografico con Charles Aznavour e Léo Ferré, Mogol e Battisti, factotum de I Gatti dei Vicoli Miracoli, direttore di produzione di Telemontecarlo al fianco di Indro Montanelli, che nella metà degli anni Settanta aveva portato sul piccolo schermo la sua rubrica giornalistica Controcorrente, produttore di successo (Mery per sempre, Ragazzi fuori, Ultrà, Una storia semplice) e regista di tre film, l'ultimo dei quali A mano disarmata, la storia della giornalista sotto scorta Federica Angeli, è dai primi di giugno nei cinema. Bonivento non ama le interviste: la sua gloria personale, più dei tanti David di Donatello e premi vinti, sono le persone che ha conosciuto in queste vite parallele, in cui si è sempre trovato al posto giusto nel momento giusto. «Sono un uomo privilegiato. Mi dissero che Bob Altman, il regista di Mash e Nashville, era a Roma. Sapevo che era un appassionato di liquori, allora lasciai un messaggio nell'hotel dove alloggiava, presentandomi come il più grande collezionista di alcolici di Roma. Accettò il mio invito e passai molte ore a conversare con lui nel mio studio nella speranza di convincerlo a girare un film per me. Alla fine mi disse che aveva uno scrigno nel quale conservava tre piccole storie che avrebbe realizzato: il quarto film sarebbe stato il mio. Di lì a poco Altman avrebbe diretto I protagonisti e America oggi, due capolavori! Avevo appena ultimato Il proiezionista, una produzione internazionale diretta da Andrej Končalovskij, e Altman mi lusingò dicendomi che sarei potuto andare a Hollywood a fare il produttore. Io gli risposi: «La vedo già difficile qui, si figuri a Hollywood!». La stessa domanda, «perché vuole fare un film con me?», me l'aveva fatta anche Billy Wilder. Il più grande di tutti...«Proprio lui! Il mio agente americano Martin Baum, che era anche l'agente di Koncalovskij, mi disse, il giorno in cui compivo 40 anni, il 14 novembre 1990, “ti faccio un bel regalo. Trovati alle 6 e mezzo al ristorante Spago". Io mi presento puntualissimo e alle 6 e 31 sento una mano sulle spalle. “Good evening". Mi giro e vedo Billy Wilder. A me ormai non fa più effetto più niente, sono vaccinato, non ho mitomanie, però quando mi sono accorto di avere davanti Billy Wilder, mi sono emozionato. Mi ha fatto la stessa domanda: “Perché lei vuole fare un film con me?". “Perché è dal 1981 che non fa più un film - Buddy Buddy - io sono cresciuto con i suoi film. Lei è Billy Wilder, non le devo spiegare perché, la vorrei nel mio curriculum vitae!». E lui: «Lasci perdere: se lei va in uno studio di Hollywood a fare il mio nome, la guarderanno male e le diranno: “Billy Wilder? Ma non è morto?˃». Siamo stati insieme due ore e mezza e mi ha raccontato delle cose meravigliose. Alla fine mi ha detto: «Porti i mie saluti a Rodolfo Sonego, Luciano Vincenzoni...» e a un terzo sceneggiatore che poteva essere Leo Benvenuti o Furio Scarpelli».E lei ha portato i saluti di Billy Wilder...«Quando l'ho riferito a Sonego, è come se lo avesse mandato a salutare il suo fruttivendolo! “Mi ha detto di salutarti Billy Wilder..." e lui, fumando, “bene, bene", poi ha chiamato sua moglie: “Allegra, il minestrone!"».Com'è nato A mano disarmata?«Paolo Butturini, giornalista che ha fondato l'associazione contro le mafie A mano disarmata, mi ha detto: “Claudio, devi incontrare Federica Angeli". Ho pensato subito che occorresse una sceneggiatrice. Io che vengo scambiato per misogeno perché faccio film tutti di uomini, amo moltissimo le donne e ho chiamato Domitilla Di Pietro, che ha scritto la sceneggiatura con la collaborazione di Federica. Al primo incontro ho capito subito la vita di una persona scortata. Federica mi ha detto una cosa molto bella: “Io sono onorata che lei abbia pensato a me". Alla presentazione del film le ho confidato: “Adesso sono io onorato di averlo fatto e spero di essere stato all'altezza, anche se essere all'altezza di quello che hai fatto tu, sarà molto difficile!". Claudia Gerini è stata sensazionale, così disponibile che le ho detto: “Non sembri neanche un'attrice!"».Avrebbe piacere che Salvini vedesse il film?“Lo invito a vedere il film vicino a me. Io ho rispetto per Salvini, pur non condividendo delle volte quello che dice, perché è il mio ministro dell'Interno, ma secondo me su questo tema è male informato. Ci vorrebbero persone competenti nello specifico che gli spiegassero cosa vuol dire essere messi sotto scorta e gli ricordassero che un suo collega, un giorno, disse: “Quel rompicoglioni di Biagi"».Lei è stato il primo a raccontare la vita degli uomini di scorta...«Sì, nel film intitolato proprio La scorta. Ho girato la macchina da presa e ho inquadrato per la prima volta non il magistrato di turno, ma gli uomini della scorta».Come le è venuto in mente di fare un film su di loro?«Da un episodio che mi è accaduto. Ero fermo a un semaforo a piazzale delle Belle Arti e mi si è piazzata davanti una macchina. Era rosso e io ho fatto un gesto, come a dire: “Ma n'do vai?". Da questa macchina è sceso uno con gli occhi infuocati, sotto stress, che mi ha avvicinato e coperto di insulti. Mi è scappato l'occhio e ho visto che in macchina aveva la paletta. Da quel momento ho cercato di capire. Sono andato al reparto scorte a Trapani e Palermo con Ricky Tognazzi, che avrebbe diretto il film. Con gli sceneggiatori Simona Izzo e Graziano Diana abbiamo creato un prototipo che ha ispirato 15 anni di televisione: abbiamo visto storie di questo tipo in tutte le salse». Come produttore è partito dalla commedia: I fichissimi, Vado a vivere da solo, Eccezzziunale... veramente, Sapore di mare, Un ragazzo e una ragazza. «Non essendo figlio d'arte, a 14 anni sono entrato al Derby di Milano, dove trovavi Fo, Jannacci, Piero Ciampi, solo per fare alcuni nomi. Lì, negli anni Settanta, ho incontrato i Gatti di Vicolo Miracoli e con Abatantuono abbiamo fatto una congrega che si è poi propagata nel cinema».È stato il loro agente?«Facevo di tutto, non era come oggi. Ero il quinto dei Gatti! Io venivo dalla musica, dove avevo fatto il manager di artisti come Umberto Tozzi. Ho passato momenti bellissimi con Bigazzi, Cerruti, gli Squallor ma, soprattutto, cinque o sei anni con Battisti e Mogol, che mi hanno insegnato a stare al mondo. A 17-18 anni ho avuto la fortuna di incontrare Charles Aznavour. Il mio principale, capo dell'etichetta discografica, mi ha detto: “Vai a fare l'autista...". “Ma io ho solo il foglio rosa!" e lui: “Ma la patente ce l'avrà lui!"».Cosa le raccontava Aznavour?«Si sedeva dietro, sulla Fiat 130 blu con l'interno grigio. Girato l'angolo, mi diceva: “Fermati", scendeva e veniva davanti perché il pubblico voleva così. Una sera dedicò La mamma a mia madre. Gli dissi: “Scusi, Charles, stasera c'è mia mamma in prima fila, le può dedicare una canzone?". La riconosce subito perché ha un vestito che luccica da tutte le parti: un albero di Natale, verde, tutto lustrini. Era il 1970. Lui fece una cosa meravigliosa. Si fermò e disse: “Scusate, ognuno di noi ogni recital lo fa per una persona. Questa sera lo faccio per una persona che sta qui davanti a me", senza dire la “mamma di", ma mia madre capii subito. Ha cantato tutta la canzone davanti a lei».Com'è entrato nel cinema?«Sono entrato nel cinema grazie al programma televisivo Non stop, dove c'erano Verdone, Troisi, Arena, Decaro, Nuti, I Gatti di Vicolo Miracoli e si è creato questo coacervo di menti. Un nostro amico ci ha trovato il Teatro Tenda, a Roma, ma solo per una settimana perché dopo ci sarebbe stato Proietti... invece siamo rimasti sei settimane perché erano esauriti su esauriti! E io cosa ho fatto? Ho invitato tutto il cinema italiano, da Dino De Laurentiis al mio amico Nando Cicero. A quel punto il nostro destino si è incrociato con i produttori Pio Angeletti e Adriano De Micheli e con Carlo ed Enrico Vanzina».Arrivano i gatti e Una vacanza bestiale furono diretti da Carlo Vanzina.«Io e Umberto Smaila siamo andati da Steno e lui ci ha detto: “Ma voi non dovete parlare con me, dovete parlare con i miei figli che sono vostri coetanei"! Per noi Steno era Guardie e ladri, Un americano a Roma... Così ho conosciuto due persone di qualità come Enrico e Carlo Vanzina. Carlo non c'è più: mi vengono in mente la sua competenza, la sua eleganza e la sua amicizia». Nella prima fase della sua carriera il film più importante è stato Sapore di mare.«Nasce dalla mia esperienza musicale perché ho portato ad Angeletti e De Micheli una cassetta che mi aveva dato Caterina Caselli. Si chiamava 30 60 90: 30 canzoni degli anni Sessanta per 90 minuti. “Ma questo è un film!", ho detto io. I Vanzina hanno scritto la sceneggiatura del film, che è l'antesignano dei cinepanettoni, di lì a poco sarebbe venuto Vacanze di Natale».Quando ha deciso di fare il regista?«La prima volta con La scorta. Diedi a Ricky Tognazzi l'ultimatum di decidere in 24 ore se fare il film o no. Lui decise di farlo, altrimenti l'avrei fatto io. Ho esordito con Altri uomini nel 1997, tratto dal libro autobiografico di Angelo Epaminonda Io, il Tebano. Volevo chiamare il film Professione criminale, ma un signore della Columbia, uno spagnolo, mi ha detto: “No, no, la parola criminale non va bene" e poi hanno fatto Romanzo criminale! Professione criminale era perfetto. Altri uomini era un titolo generico. Altri uomini de che? Sono extraterrestri?!».Ha prodotto un altro film atipico, Poliziotti di Giulio Base, tratto da un fatto di cronaca del 1975 legato a Pasolini.«C'era un soggettino nell'agendina trovata nel cruscotto della Giulia di Pasolini quando venne ammazzato. Franco Ferrini, lo sceneggiatore, è risalito al fatto di cronaca e abbiamo fatto il film».Ha prodotto anche il film sulla morte di Pasolini, diretto da Marco Tullio Giordana.«Devo ringraziare Mario e Vittorio Cecchi Gori perché non riuscivo a montare il film: fare un film su Pasolini è sempre difficile. Un giorno mi ha chiamato Vittorio e mi ha chiesto di produrlo a metà. “È importante, Vittorio, che metti tutti i soldi te, poi dividiamo a metà quello che vuoi!"».
Giancarlo Tancredi (Ansa)
Ecco #DimmiLaVerità del 17 settembre 2025. Il nostro Giorgio Gandola commenta le trattative nel centrodestra per la candidatura a presidente in Veneto, Campania e Puglia.
Francesco Nicodemo (Imagoeconomica)