2023-01-14
Faremo i conti non con le accise ma con l’embargo
Sui giornali e in tv si discute molto di prezzo della benzina. Dal primo di gennaio, lo sconto sulle accise non è più in vigore e dall’1,6-1,7 euro al litro praticato fino al 31 dicembre si è perciò passati a 1,8-1,9. Un rincaro che farebbe costare un pieno anche nove euro in più, con un aggravio mensile per chi usa spesso la macchina che sfiora i 100-150 euro.Ovviamente, in una famiglia già provata da un’inflazione crescente, che lo scorso anno ha raggiunto quota 11 per cento, il rialzo dei carburanti non è una buona notizia e dunque capisco che sulle prime pagine e nei talk show il tema tenga banco. Del resto, il clamore suscitato dai nuovi listini alla pompa ha spinto perfino Giorgia Meloni a intervenire, prima con un video e poi con alcune interviste in cui spiegava le decisioni del governo.Tuttavia, ho la sensazione che non si sia capito il problema. Intendiamoci: non ho intenzione di sostenere che nove euro in più per un pieno non siano tanti. E men che meno penso che 100 o 150 euro di spesa che si aggiungono al bilancio domestico non siano per molte famiglie un aggravio importante. No, dico che le forze politiche si dividono sulle accise senza rendersi conto che non sono le tasse la questione con cui dovremo fare i conti. Infatti, mi pare che tutti, maggioranza e opposizione, abbiano perso di vista che il 5 febbraio si rischia un calo delle forniture di benzina e gasolio e, dunque, inevitabilmente potrebbe capitare che i prezzi dei rifornimenti salgano e non di poco, cioè molto di più di quelli attuali. A richiamare l’attenzione sulla fatidica data del prossimo mese ci ha pensato Bloomberg, ossia una delle più importanti agenzie di informazione finanziaria del mondo. In una breve nota, il sito americano si è chiesto dove l’Europa troverà nelle prossime settimane il gasolio che le servirà per consentire ad auto e mezzi di trasporto di circolare. Se vi state chiedendo che cosa potrebbe accadere il 5 febbraio, lo spiego in un attimo: fra tre settimane entrerà in vigore l’embargo nei confronti del petrolio russo deciso dalla Ue. Ricordate? Nella scorsa primavera a Bruxelles si cominciò a capire che continuando a comprare idrocarburi di Mosca si finanziava la macchina da guerra di Putin. Paradossalmente, mentre i governi occidentali dichiaravano la loro solidarietà nei confronti dell’Ucraina e la rifornivano di materiale bellico per resistere all’invasione russa, comprando gas e greggio l’Europa consentiva al Cremlino di accumulare risorse per continuare a bombardare Kiev e il suo territorio. A sostenere la necessità di darci un taglio, cioè di interrompere il flusso di denaro che finiva nelle casse russe, fu per primo Mario Draghi, il quale invocò un tetto al prezzo del gas e sollecitò l’embargo al petrolio di Putin. Ma anche altri leader europei seguirono e infatti, mentre sul metano per mesi non si riuscì a trovare una quadra a causa dell’opposizione di Berlino, già alla fine di maggio la Ue decretò lo stop alle importazioni. O meglio: annunciò il blocco degli acquisti, salvo rimandare l’operatività dell’intesa all’inizio del prossimo anno. L’allora premier lo definì un «successo completo», spiegando che riuscire a mettere d’accordo tutti i Paesi europei sulla sospensione delle importazioni del petrolio russo non era un’operazione banale. Ovviamente, sia Draghi che gli altri leader speravano di sostituire il greggio di Mosca con quello proveniente da Nord Africa, Medioriente, Azerbaigian e Kazakistan, confidando in un aumento della produzione. In realtà l’Opec si era detta disponibile ad alzare i volumi di barili quotidiani, ma poi sul finire dell’anno, invece di un incremento della produzione è arrivato un taglio. Risultato, oggi più che discutere delle accise sarebbe ora di capire dove l’Europa (il problema non è soltanto italiano) troverà i prodotti petroliferi che servono per alimentare la sua industria e i suoi trasporti. Alberto Clò, ex ministro dell’Industria nel governo Dini e direttore della rivista Energia, poche settimane fa scriveva che l’embargo del petrolio rischiava di diventare un boomerang per la Ue. «L’Europa dovrà rimpiazzare le importazioni russe che nel 2021 hanno coperto circa un terzo di tutte le sue importazioni petrolifere, specie diesel (40 per cento delle importazioni) con un sistema interno di raffinazione incapace di porvi rimedio». Infatti, il deficit di offerta sul mercato rischia di far salire i prezzi e per questo Clò citava le previsioni per il primo trimestre 2023 delle banche d’affari americane. Da Goldman Sachs a Citicorp, tutte davano le quotazioni del petrolio in rialzo. Per dirla con un altro esperto, Francesco Sassi, potremmo accorgerci a caro prezzo di cosa comportano le turbolenze internazionali.Capisco che le accise, tolte e reintrodotte, siano un argomento che infiamma la polemica politica. Ma forse è del possibile rincaro degli idrocarburi come conseguenza dell’embargo che dovremmo parlare, prima di arrivare impreparati al 5 febbraio. Come si chiede Bloomberg: chi altri ci darà il gasolio che ci rifiutiamo di comprare dalla Russia?
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Robert F.Kennedy Jr. durante l'udienza del 4 settembre al Senato degli Stati Uniti (Ansa)