2024-06-02
Il Canada lo dimostra. L’eutanasia serve per ridurre il costo dei sistemi sanitari
La testimonianza di due malati nel Paese di Trudeau conferma la deriva: offrire il suicidio è più economico che curare i pazienti.Tra i nuovi diritti che vengono sponsorizzati con sempre maggiore insistenza c’è, manco a dirlo, quello di morire. Di eutanasia - mascherata sotto gli appena più dolci termini «fine vita» o «suicidio assistito» - si discute in Italia e pure nel Regno Unito, dove il leader laburista Keir Starmer ha promesso una consultazione popolare sul tema qualora dovesse vincere le elezioni. Di solito, quando si affronta l’argomento, si raccontano casi estremi di persone straziate dal dolore, le cui scelte sono in effetti molto, forse troppo difficili da giudicare: come si fa a stabilire quanta sofferenza debba sopportare un essere umano? Concentrandosi su queste particolari vicende - che pure esistono - ci si dimentica però una parte piuttosto rilevante del dibattito. È una parte oscura che convive con il desiderio - trasparente e spesso serio - nutrito da alcuni di alleviare gli insopportabili tormenti del prossimo. Nella cosiddetta morte assistita, infatti, esiste una ineliminabile componente che potremmo definire economica, la quale rischia di diventare il fulcro del problema. Per spiegare di che si tratti vale la pena raccontare due storie ambientate in Canada, una nazione che nel corso degli anni si è trasformata in una sorta di distopia liberal sotto la guida di Justin Trudeau. La prima ha per protagonista Jody Lance, un cinquantenne che soffre da anni di cefalea a grappolo, devastante forma di mal di testa. Dopo aver provato di tutto, Lance ha richiesto al sistema sanitario nazionale di poter ricorrere all’uso della psilocibina (i funghi magici, come vengono chiamati dai fan della psichedelia). La sua richiesta, tuttavia, è stata respinta: a Lance è stato detto che nel suo caso l’efficacia dei funghi non era provata e che avrebbe dovuto tentare terapie alternative (che in effetti aveva utilizzato ma senza trarne giovamento). Nel frattempo, il poveretto è divenuto sostanzialmente uno zombie: non riusciva a lavorare e a socializzare, ha perso persino la casa. A distanza di circa un anno dal responso del sistema sanitario, però, l’uomo ha ottenuto giustizia presso la Corte federale canadese: un giudice ha stabilito che il rifiuto di concedere a Lance l’accesso alla psilocibina era «irragionevole e privo del grado richiesto di giustificazione, intelligibilità e trasparenza». Ed eccoci al punto: a Lance, per lunghi mesi, è stato negato da un tribunale il ricorso a un farmaco, per quanto particolare; ma la stessa autorità medica che gli negava la cura lo ha anche ritenuto idoneo per la morte assistita. Capito? La terapia no, l’eutanasia sì. Eppure, almeno in teoria, prima di concedere a qualcuno di uccidersi bisognerebbe per lo meno tentare tutte le strade possibili. Ancora più spaventosa è la vicenda di Allison Ducluzeau. Qualche anno fa le è stato diagnosticato un cancro addominale. Vari medici canadesi le hanno detto che non esistevano cure possibili, e per ben due volte le hanno offerto la possibilità di ricorrere alla morte assistita. Una delle quali addirittura al telefono, con una leggerezza che fa spavento. Il punto è che la povera Allison non si è data per vinta, si è rivolta ad altri medici negli Stati Uniti i quali le hanno spiegato che il suo cancro era operabile e persino guaribile. Così si è di nuovo rivolta al sistema sanitario canadese per cercare un oncologo che potesse seguire le indicazioni dei dottori statunitensi. Prima di ottenere un colloquio ha dovuto aspettare due mesi. Per salvarsi la vita ha dovuto sottoporsi privatamente a un intervento da circa 200.000 dollari, che si è finanziata tramite crowfunding. Ora che sta bene e il suo male è in remissione, Allison ha scelto di raccontare la sua odissea alla rivista Unherd allo scopo di aprire un dibattito sulla morte assistita. Parlando con il giornale si è detta «profondamente preoccupata per la morte assistita offerta dai medici in un sistema sanitario che sta collassando, soprattutto per quanto riguarda i servizi oncologici inadeguati e sovraffollati». In Canada, scrive Unherd, i malati di cancro costituiscono quasi i due terzi del totale di coloro che hanno fatto ricorso all’eutanasia. «Non abbiamo un buono standard di cura qui, soprattutto per il cancro», ha detto Allison a Unherd. «Ed è per questo che è così pericoloso avere la morte assistita: può essere utilizzata per togliere un po’ di pressione sui medici». Lei stessa afferma di aver conosciuto almeno tre persone malate di cancro che avrebbero potuto salvarsi e che invece, mal consigliate, hanno scelto la morte. Il fatto è che curare alcuni pazienti richiede grande dispendio di energie, tempo e denaro. Un sistema sanitario che deve contenere le spese e non ha personale a sufficienza fatica a reggere l’impatto, dunque è possibile che sorga la tentazione di ricorrere alla via più facile e meno costosa: l’eutanasia. Questo è il motivo che ha spinto Allison Ducluzeau a parlare con la stampa criticando - lei che non è cristiana e non avrebbe obiezioni di principio - il sistema della (presunta) dolce morte. Esperienze come la sua rappresentano il lato in ombra del discorso sui diritti, il lato spietatamente utilitaristico di quelle che vengono presentate come conquiste di civiltà, il ghigno brutale nascosto dietro la maschera compassionevole.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)