Ecr, che si alleerà con Fidesz, si annette il partito di Éric Zemmour. Ciò complica l’intesa con Marine Le Pen. Resta aperto il dialogo col Ppe.
Ecr, che si alleerà con Fidesz, si annette il partito di Éric Zemmour. Ciò complica l’intesa con Marine Le Pen. Resta aperto il dialogo col Ppe.Serendipità: cercare una cosa e trovarne un’altra. Sembra sia successo qualcosa di simile al gruppo dei conservatori al Parlamento europeo: loro cercavano Marine Le Pen e hanno trovato Éric Zemmour.Ieri, il partito di destra francese Reconquête, fondato a fine 2021 dall’editorialista di Le Figaro, ha deciso di entrare in Ecr. Lo hanno annunciato, in conferenza stampa a Strasburgo, l’altra leader del movimento, Marion Maréchal, l’eurodeputato Nicolas Bay, che era fuoriuscito dal Front national per confluire nella formazione della nipote della Le Pen, e il presidente del raggruppamento politico in cui milita Fratelli d’Italia, Nicola Procaccini. È il secondo acquisto nel giro di pochi giorni, dopo che il premier ungherese, Viktor Orbán, ha fatto sapere che si alleerà con Giorgia Meloni subito dopo le Europee di giugno. Alla Verità, un esponente di spicco di Ecr ha spiegato che i tentativi di avvicinarsi agli eredi del Front national, oggi guidati dal ventottenne Jordan Bardella, in realtà non sono mai stati concreti. Appena tre giorni fa, «fonti leghiste» hanno smentito al Corriere della Sera che lo schieramento della Le Pen avrebbe lasciato Identità e democrazia, il gruppo all’Eurocamera di cui fa parte anche il Carroccio, per aderire a Ecr. Di sicuro, l’arrivo di Zemmour e Maréchal - la quale, abbandonando il cognome Le Pen e iniziando a militare per Reconquête, ha reciso il cordone con la famiglia politica della zia e del nonno - complica ulteriormente ogni prospettiva di accordo.È vero che le nuove nozze non contribuiscono a spostare al centro il fulcro degli euroconservatori. Anzi, il partito battezzato dal giornalista, dato dai sondaggi intorno al 5% in patria, rientra nel novero degli «impresentabili», quelli che fanno inorridire la stampa per bene. Ieri, da via Solferino a largo Fochetti, hanno avuto buon gioco nel ricordare le sortite controverse di Zemmour. Ad esempio, nel luglio 2021, andò in tv a dire che «l’Italia del Nord avrebbe dovuto essere francese», al fine di realizzare una «grande Francia». L’appeasement, evidentemente, non va interpretato come il prodromo di cessioni territoriali ai transalpini. Semmai, a quelle ci stava pensando l’ex premier piddino, Paolo Gentiloni, che nel 2015, con il Trattato di Caen, voleva concedere ai «cugini» tratti marittimi in Sardegna, Toscana e Liguria, acque peraltro molto pescose. Prima ancora che il patto venisse ratificato in Parlamento, il governo francese aveva già pubblicato delle mappe con i confini ridisegnati. Ma questa è un’altra storia. Quella delle trattative in vista delle elezioni guarda alle geometrie che si potrebbero delineare a urne chiuse, quando si tratterà di nominare la prossima Commissione.I gruppi Ecr e Identità e democrazia aspirano a contendersi il terzo e quarto posto, alle spalle dei Popolari, che dovrebbero mantenere il primato, e dei Socialisti, che dovrebbero arrivare secondi. Con l’incognita sui risultati di Renew Europe, la formazione di Emmanuel Macron. La più recente stima di Europe elects assegna ai meloniani 80 seggi, a Lega e soci 91. Politico fornisce proiezioni più generose: 98 scranni per Id, 85 per i conservatori, ai quali, però, andranno aggiunte le poltrone occupate dai candidati di Orbán, probabilmente una dozzina. Un bel bottino. Dopodiché, il nodo è sia aritmetico sia politico. Se il Ppe ottenesse 180 seggi, per superare il cartello S&D, Verdi e macroniani, dovrebbe sperare che la destra si attesti sul margine più elevato della forchetta. Banalmente: 180 più 85 più 12 (Ppe più Ecr più Fidesz) fa 277. Una manciata di scranni in più dei 273 che Europe elects attribuisce ai progressisti, ipotizzando che gli eletti di Emmanuel Marcon e quelli dell’estrema sinistra non vogliano coabitare. È la questione dei veti incrociati. Come quelli del numero uno dei Popolari, il tedesco Manfred Weber, nei confronti di Id, fronte nel quale figura Alternative für Deutschland. In Italia, l’alt dell’esponente cristianodemocratico si è tradotto nell’ultimatum di Antonio Tajani a Matteo Salvini: il Carroccio è benvenuto, purché molli gli euroscettici.Al contrario, non esistono preclusioni nei confronti della Meloni, la quale, col vento in poppa, fa gola. Specie a Ursula von der Leyen, in cerca del secondo mandato. Avvicinarsi al nostro presidente del Consiglio pare possa fungere da salvacondotto per i «cattivi»: è così che il linguacciuto Zemmour e soprattutto il premier magiaro, detestati dalla classe dirigente Ue, potrebbero entrare nella stanza dei bottoni. Anche perché, pure se non ci fossero i numeri per monopolizzare la prossima Commissione, una destra tanto in crescita difficilmente sarà neutralizzata dalla classica conventio ad excludendum. Il passaggio è cruciale e l’inquilina di Palazzo Chigi ne è consapevole: una Commissione non diciamo sua diretta espressione, ma almeno bendisposta nei suoi confronti, le darebbe un margine di respiro per interventi economici più incisivi e per allentare la morsa del pilota automatico austero e green, preoccupandosi meno di Patto di stabilità e Mes. Certo, uniti si potrebbe cambiare l’Europa. Ma anche divisi si darà parecchio fastidio.
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