2023-06-13
Nell’eredità miliardaria da spartire c’è Mediaset che fa gola ai francesi
Silvio Berlusconi e Vincent Bolloré (Getty Images)
Al centro dell’impero berlusconiano c’è Fininvest, con le tre controllate: Mondadori, Mediolanum e Mfe. Il Biscione con l’europrogetto ha un futuro meno stabile. Nonostante la pace fatta, restano le mire di Vivendi.A breve sarà aperto il testamento di Silvio Berlusconi. Non ci riferiamo all’eredità che lascia al Paese e all’importanza che ha avuto la sua discesa in campo nel 1994. In pochi giorni è entrato in politica e ha fermato l’ascesa dell’ex Pci e con essa la strada del comunismo. Ci riferiamo all’atto notarile che ripartirà l’impero di Silvio tra i figli e gli altri eredi. Il primo capitolo riguarda Forza Italia. Il partito al momento ha un debito, garantito tramite fidejussioni della famiglia, superiore ai 100 milioni di euro. Capire chi, assieme al simbolo, si farà carico legalmente del fardello sarà fondamentale per il futuro del partito. Potrebbe essere Marina fino alle Europee? È anche vero che si sta già cercando di organizzare un mini cordata tra imprenditori vicini agli azzurri per garantire continuità e stabilità finanziaria. Il secondo capitolo del testamento riguarderà tutte le società non quotate. Gli immobili, i business secondari e il Monza calcio. Un fetta del mattone è in capo alla cassaforte Fininvest, ma il grosso è custodito dentro la Dolcedrago e la sua controllata Immobiliare Idra. Villa Certosa è dentro questa scatola che nel complesso potrebbe valere qualcosa come 3,5 miliardi. Poi, sfogliando le pagine, si arriverà al terzo capitolo, quello assai più corposo e delicato. Qui c’è il resto della cassaforte Fininvest con le tre principali controllate, tutte con la iniziale «M», che assieme valgono in Borsa poco più di tre miliardi. La holding della famiglia possiede infatti il 30% di Mediolanum, la banca fondata dall’amico Ennio Doris. Mediolanum vale circa 6 miliardi, garantisce dividendi e una plusvalenza a libro di oltre 1,7 miliardi. A seguire c’è la partecipazione in Mondadori: oltre il 53%. L’azienda di Segrate adesso è tornata a essere un tesoretto. Abbandonata la stampa periodica e ceduto la propria fetta del Giornale agli Angelucci, la casa editrice è diventata leader del comparto libri e si appresta a chiudere il 2023 con un miliardo di ricavi, margini superiori al 15% e utili che viaggiano sul 5%. Gli anni Novanta, quando imperversò lo scontro con i De Benedetti, sono ormai un lontano ricordo. Diverso è invece il discorso per la ex Mediaset, ora Mfe con sede in Olanda da che ha incorporato la controllata spagnola. Quando in Italia fu introdotto l’euro, il Biscione capitalizzava circa 18 miliardi. L’ultimo dato rasenta il decimo di quel valore. Nel frattempo c’è stato il digitale terrestre, l’arrivo dello streaming e della concorrenza delle piattaforme pay come Netflix. Non solo. Nell’ultimo decennio si è assistito alla frammentazione dei veicoli di diffusione dei contenuti e all’invecchiamento - lento ma inesorabile - del pubblico della tv generalista. Per questo, Pier Silvio, dopo aver tentato importanti rilanci con Endemol, ha pensato di incamminarsi verso le strada paneuropea. L’idea è quella di evitare la saturazione del mercato locale consolidando il business e soprattutto scommettendo su una Ue più ampia e aperta in grado di fare concorrenza ai contenuti importati dagli Usa. Da qui il progetto di scalare i tedeschi di Prosiebensat, di cui a oggi Mfe possiede il 29%. La scelta sulla carta funziona, ma finanziariamente non altrettanto. «Nel 2022 la tv tedesca», si legge in su Milano Finanza, «ha chiuso con un calo dei ricavi del 7% e il margine lordo si è contratto di quasi il 20%. E il debito finanziario netto vale 2,4 volte il margine lordo. Il titolo ha perso il 16,12% nell’ultimo anno e ben il 74% negli ultimi 5 anni». Tradotto in altre parole, la quota a scalare di Fininvest è già stata svalutata, mentre quella di Mfe riporta a un valore prossimo al miliardo, che se però dovesse essere consolidato a fine anno difficilmente supererebbe i 700 milioni. La posizione porterebbe, dunque, a una perdita secca e all’interessamento di terzi. Perché se è chiaro che il timone è saldo nelle mani di Marina e che Mediolanum e Mondadori viaggiano su binari ben saldi, il futuro di Mfe potrebbe riservare qualche sorpresa. Due anni fa Vivendi, guidata dal finanziere bretone, Vincent Bolloré, e il Biscione hanno siglato una difficile pace, arrivata dopo ben cinque anni di battaglie legali. I francesi erano arrivati ad avere quasi il 30% di Mediaset, minacciando una quasi scalata. L’accordo ha previsto una lenta discesa e un diluimento in vista delle successive operazioni europee. Sotto la cenere sono però rimaste alcune braci. Innanzitutto, Bolloré non ha mai del tutto abbandonato l’idea di realizzare la sua campagna italiana, che per forza comprende Tim. Sempre due anni fa, la holding in capo al finanziere ha ceduto il 60% di Universal Music e ha fatto cassa per investire nel mercato spagnolo con una quota di rilievo del celebre El Pais. Era il 2006 quando alcuni advisor si dilettavano a studiare la fusione tra Mediaset e l’allora Telecom. I report sono sempre stati smentiti dalle rispettive parti. Replica avvenuta nel 2020. Resta comunqnue un tema caldo sul tavolo. Vivendi e la rete unica si sono ingarbugliate. C’è il tema delle torri e la necessità di capire quale possa essere il futuro dei contenuti video. Entro il 2030 sparirà anche il digitale terrestre e, prima di quella data, o Mfe porterà avanti con un nuovo partner il progetto europeo, o sarà lo stesso Bolloré a imporsi sullo scenario del Sud Europa. La possibilità che salti fuori un terzo, magari un cavaliere bianco come Urbano Cairo, al momento è fanta finanza.
Pedro Sánchez (Getty Images)
Alpini e Legionari francesi si addestrano all'uso di un drone (Esercito Italiano)
Oltre 100 militari si sono addestrati per 72 ore continuative nell'area montana compresa tra Artesina, Prato Nevoso e Frabosa, nel Cuneese.
Obiettivo dell'esercitazione l'accrescimento della capacità di operare congiuntamente e di svolgere attività tattiche specifiche dell'arma Genio in ambiente montano e in contesto di combattimento.
In particolare, i guastatori alpini del 32° e i genieri della Legione hanno operato per tre giorni in quota, sul filo dei 2000 metri, a temperature sotto lo zero termico, mettendo alla prova le proprie capacità di vivere, muoversi e combattere in montagna.
La «Joint Sapper» ha dato la possibilità ai militari italiani e francesi di condividere tecniche, tattiche e procedure, incrementando il livello di interoperabilità nel quadro della cooperazione internazionale, nella quale si inserisce la brigata da montagna italo-francese designata con l'acronimo inglese NSBNBC (Not Standing Bi-National Brigade Command).
La NSBNBC è un'unità multinazionale, non permanente ma subito impiegabile, basata sulla Brigata alpina Taurinense e sulla 27^ Brigata di fanteria da montagna francese, le cui componenti dell'arma Genio sono rispettivamente costituite dal 32° Reggimento di Fossano e dal 2° Régiment étranger du Génie.
È uno strumento flessibile, mobile, modulare ed espandibile, che può svolgere missioni in ambito Nazioni Unite, NATO e Unione Europea, potendo costituire anche la forza di schieramento iniziale di un contingente più ampio.
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