2023-04-29
«Dalla farina d’insetti agli ecovandali, la sinistra oggi sbaglia tutti i ritornelli»
Enrico Rava (Getty Images)
Il Gandalf del jazz italiano Enrico Rava: «Negli anni caldi ho visto i picchetti contro Chet Baker. E dare del “servo della Cia” a Count Basie».Per il jazz italiano Enrico Rava è una sorta di Gandalf. Saggio e ironico, come lo stregone tolkieniano, e con la custodia della tromba piena di aneddoti sui mondi e le ere per le quali ha girovagato.Negli anni della Dolce vita, Marcello Mastroianni e Anita Ekberg (salvo impegni nella Fontana di Trevi) vanno ad ascoltarlo al Purgatorio. E, secondo la leggenda, è proprio Rava ad avere l’idea di creare un club nel ristorante preferito della crème capitolina: il Meo Patacca, a Trastevere. Qui i posteggiatori si travestono da antichi romani e montano cavalli bianchi. Il proprietario, il californiano Remington Olmsted, ha infatti il pallino del cinema. È lui il decurione di Ben Hur che resta disarmato dallo sguardo di Cristo… Dall’altra parte del mondo, a Buenos Aires, c’è fermento per l’inaugurazione di un nuovo locale: il Gotan. Ci sarà un certo Astor Piazzolla, il musicista (ancora sconosciuto in Italia) che sta rivoluzionando il tango. Suonerà dopo il quartetto di Steve Lacy, che a breve sfornerà il live The forest and the zoo (1967), un album di free jazz che farà molto parlare di sé. Alla tromba c’è un jazzista italiano, triestino di nascita e torinese d’adozione, arrivato da Roma con l’inseparabile Gato Barbieri. Poco dopo, Musica Jazz riporta notizie entusiastiche dalla Grande Mela: «Il nostro rappresentante si batte vittoriosamente nella tana del lupo». Nonostante i toni da Istituto Luce, la rivista italiana parla proprio di Enrico Rava, che nel frattempo si fa strada nella scena newyorchese. Tra una prova e l’altra, vede le Torri gemelle scalare rapidamente il cielo. E un giorno incontra anche il «Principe delle tenebre», in Upper West Side. «Stasera vengo a controllarti», lo avverte Miles Davis. Rava non si lascia intimidire - il Valium alle volte fa miracoli - e si guadagna la stima del suo eroe. Mezzo secolo dopo, l’unico jazzista italiano che può vantare un’imitazione di Fiorello (imperdibile nelle vesti di Paolo Fava) è ancora in viaggio. E domani sera, a Russi (Ravenna) per il festival Crossroads, dedicherà un concerto speciale a uno dei suoi tanti compagni d’avventure, che oggi non c’è più: Lester Bowie. Una chicca, in occasione della Giornata internazionale Unesco del jazz.Fare l’artista «non è un mestiere per vecchi», si legge nella sua autobiografia (Incontri con musicisti straordinari, Feltrinelli). Per fortuna questa frase l’ha scritta 13 anni fa e nessuno, forse nemmeno lei, l’ha presa sul serio.«La voglia di salire sul palco non l’ho mai persa e, a 83 anni, la musica mi regala ancora dei momenti sublimi. Si suona per quegli attimi lì, il giorno che non dovessi più viverli smetterei. Le energie invece vanno gestite: ai viaggi massacranti ho già rinunciato e non vado oltre i tre o quattro concerti al mese». Al Piacenza jazz festival, di recente, ha ripreso l’avventura del duo con il pianista statunitense Fred Hersch. E i momenti sublimi non sono mancati…«Ho amato quel concerto e ho potuto rivederlo su Arte.tv. Riascoltandoci, devo dire che è stato uno dei più belli della nostra collaborazione. L’intesa tra di noi si è creata fin dal primo incontro. Ci ascoltiamo tantissimo, ognuno dà all’altro ciò di cui ha bisogno. Fred inizia a suonare ed è come salire sul tappeto volante. Pensi che per la nostra prima data, a Pescara, arrivammo all’ora sbagliata e non riuscimmo nemmeno a provare. Per cui è nato tutto direttamente davanti al pubblico...».Il vostro incontro artistico è diventato un album, The song is you (Ecm), «Disco dell’anno» per il premio Top Jazz 2022, indetto dalla rivista Musica Jazz.«La notte prima di presentarmi in sala di registrazione però l’ho passata a preparare un discorso di scuse…».Come mai?«Dopo la rimozione di un tumore ai polmoni, che mi aveva costretto a interrompere il tour, ho dovuto stare un po’ a riposo. La data dell’incisione non si poteva spostare e quindi sono arrivato al mio “debutto” dopo la malattia con molti dubbi. Anche perché la tromba è uno strumento che non perdona chi la trascura. Dopo un paio di note in un auditorium spettacolare ho capito però che ero tornato, come mi ha detto Fred. E poi c’era Manfred (Eicher, il patron della Ecm, ndr). A differenza di molti produttori - che quando dicono “buona la prima” mi fanno capire che il pezzo è da rifare - lui è un vero musicista. I suoi spunti sono sempre stimolanti».Che effetto le fa invece riprendere in mano le composizioni di Lester Bowie?«Tengo molto a questo progetto (Lester’s fantasy, ndr), curato da Mauro Ottolini, trombonista e arrangiatore strepitoso. Bowie sapeva coniugare tradizione e avanguardia, con un equilibrio molto raro tra cuore, creatività e ironia. Domani sentirete come riesce a reinterpretare la banda d’ottoni in una chiave modernissima… E poi, passare del tempo con Lester era veramente divertente, devo dire che mi manca…».Uno come lei, che ha vissuto moltissime stagioni del jazz, di amici ne ha dovuti salutare parecchi. Wayne Shorter e Ahmad Jamal sono solo gli ultimi grandi che se ne sono andati. Spera mai di poter ritrovare, un giorno, qualche suo vecchio compagno?«Purtroppo temo che dopo la morte non ci sia nulla… Shorter però mi ha dato una mano a essere ottimista. È pazzesco che la musica più interessante e moderna degli ultimi anni l’abbia fatta un over 80…». (ride).E quando sente suonare le nuove leve, cosa pensa?«Se parliamo di casa nostra, a livello di giovani musicisti c’è una qualità e una quantità da far spavento. Tenga presente che all’inizio, in Italia, eravamo in tre a vivere di jazz: Nunzio Rotondo, Franco D’Andrea e il sottoscritto. C’erano ovviamente molti altri musicisti pazzeschi, ma principalmente campavano d’altro. Oggi invece i jazzisti italiani in erba saranno migliaia e spesso molto preparati. Quando d’estate insegno a Siena Jazz, ogni due per tre mi tocca dire: “Questo qui è troppo forte, andava ammazzato da piccolo…”».Come se lo spiega?«C’è stata sicuramente un’evoluzione tecnica, anche se con la sola tecnica ci fai poco. La preparazione media si è alzata tantissimo. L’importante è non dimenticare che bastano due note di Chet Baker o di Miles (Davis, ndr) per trafiggerti il cuore. E valgono più dell’opera omnia dei virtuosi alla Wynton Marsalis e di quella dei suoi epigoni. Vede, dall’America sento arrivare tantissime idee complicate e difficili da eseguire, che però non mi dicono molto. Ma la musica non è matematica, è magia. Se diventa matematica non mi interessa più… Tanto è vero che quando poi nasce un “mago” segna un prima e un dopo».Cosa intende dire?«Che il genio è in grado di spazzare via tutte le cose inutili, comprese le discussioni sui generi. Mi interessa poco dibattere di bebop o di dixieland: parliamo direttamente di Charlie Parker o di Bix Beiderbecke. Discutiamo pure di free jazz, perché è vero che all’epoca giravano molti “pacchi” che non sapevano neanche suonare, ma allo stesso tempo c’erano dei giganti come Don Cherry, Ornette Coleman e Cecil Taylor…».A proposito di quelli che suonano senza sapere cosa stanno combinando, sempre nella sua autobiografia ci sono delle pagine esilaranti su quello che può succedere quando l’ideologia si impossessa della musica. Da chi negli anni Settanta teorizzava che bisognasse far suonare solo chi non aveva mai toccato uno strumento, per arrivare a un suono «puro», agli assalti dell’estrema sinistra ai concerti, al grido «La musica è nostra!». «L’episodio più folle a cui io abbia assistito avvenne a Umbria Jazz, quando un gruppetto “antagonista” che si chiamava Senza tregua impedì al grande Count Basie di salire sul palco, in quanto “servo della Cia”. E lo stesso accadde a Chet Baker, apostrofato come “Uomo bianco, sfruttatore dei neri”. Una vergogna inaccettabile! Ci volle l’intervento di Elvin Jones per rimettere le cose a posto. Erano anni folli: potevi vedere dei tizi proclamare l’“esproprio proletario” e poi giocare a calcio per strada con i prosciutti. Bel controsenso! Un po’ come quelli che oggi imbrattano i monumenti in nome dell’ambiente…».Da ragazzo si dichiarava comunista e cantava Bandiera rossa per far arrabbiare suo padre, legionario fiumano. Oggi, a livello politico, come la vede?«Vedo una sinistra che si affanna a sposare tutto ciò che ci può rovinare la vita. Dalla carne sintetica all’ambientalismo apocalittico, dall’Intelligenza artificiale alla farina d’insetti. E non dimentico come ha gestito l’emergenza Covid. Penso a mia moglie, che adesso se la deve vedere con gli effetti avversi del vaccino, e ai musicisti a cui è stato impedito di lavorare, ai teatri e ai circoli che hanno chiuso. E poi la sinistra sbaglia ritornello: “Ce lo chiede l’Europa”. Ma quale Europa? Quella delle mazzette del Qatargate?».Diranno che Rava si butta a destra...«Mi interessa poco. Innanzitutto perché non è vero e poi perché non è colpa mia se oggi la sinistra sceglie tutte le battaglie sbagliate. Mentre perdiamo tempo a litigare su destra e sinistra, comunque, il rischio di una dittatura tecnofinanziaria, che invada ogni aspetto della vita, si avvicina sempre di più. Tra gli applausi di Bruxelles…».
Jose Mourinho (Getty Images)