2024-05-11
Emiliano nel pallone sulla visita ai Capriati
Il governatore dem sentito in Commissione antimafia prova a giustificarsi: «Nessuna trattativa con la sorella del boss, forse ha ragione Decaro a dire che non c’era». Sulla soffiata ad Alfonsino Pisicchio gli saltano i nervi: «Parlerò solo con la Procura di Bari».Un po’ politico, un po’ testimone smemorato, un po’ pubblico ministero, un po’ sbirro e un po’ sceriffo. In Commissione parlamentare antimafia Michele Emiliano ha sfoggiato almeno cinque personalità per tentare di giustificare (autoassolvendosi) i due punti sui quali la presidente Chiara Colosimo aveva chiesto di sentirlo: l’aneddoto raccontato durante la manifestazione di piazza del 24 marzo scorso sull’incontro a casa della sorella del boss Capriati con il sindaco Antonio Decaro (che l’aveva smentito) e l’ipotizzata fuga di notizie del 10 aprile, in occasione dell’arresto (ai domiciliari) di Alfonsino Pisicchio, ex assessore regionale e commissario dell’Agenzia regionale per la tecnologia e l’innovazione disarcionato dal governatore pugliese via Whatsapp con un «dimettiti o ti caccio» poche ore prima che scattasse il blitz. Dopo i rinvii, a causa di un’asserita abbondanza di impegni istituzionali, Emiliano ieri ha finalmente messo piede nell’aula di Palazzo San Macuto, dove si è trattenuto per circa quattro ore. Prima, con a tratti il tono dell’arringa e a tratti quello di una requisitoria, ha letto una relazione, poi si è sottoposto alle domande dei commissari. L’incontro con la sorella del boss Tonino Capriati, secondo Emiliano, sarebbe servito a mandare un messaggio al clan barese egemone nella Città vecchia: «L’aria era cambiata e non comandavano più loro». Il governatore ha riconosciuto che «quell’episodio» avrebbe «potuto raccontarlo meglio» e un po’ se l’è rimangiato. Prima però si è messo la stella da sceriffo: «Bari vecchia aveva il soprannome di scippolandia», ha affermato Emiliano ricordando la sua esperienza da sindaco del capoluogo pugliese. «La chiusura al traffico con la Ztl provocò una rivoluzione». E l’assessore era Decaro. «Vietammo il parcheggio abusivo e cambiammo completamente la vita di queste persone». Mano pesante, a sentire Emiliano. Poi, per far digerire quelle decisioni, ha ammesso di aver dovuto parlare vis à vis «con le donne dei quartieri». Ed ecco la sua versione: «Quindi io sono andato a casa di donne non meglio identificate, alcune le conoscevo altre no, non sto dicendo che erano tutte donne prive di contraddizioni rispetto ai loro parenti, gli andavamo a dire che facevamo la Ztl per consentire ai loro bambini di giocare in sicurezza per le strade». E arriva al dunque: «L’incontro da me citato dal palco (quello con la sorella del boss, ndr) servì a far capire che l’aria era cambiata, che dovevano comportarsi bene, mai per chiedere protezione come qualcuno ha detto. Fu per imporre il rispetto delle regole anche a chi non aveva capito il significato politico e sociale dell’amministrazione che io guidavo. Certo ci sono stati momenti di conflitto». Poi ha aggiunto: «Sono andato dalla sorella di Antonio Capriati per ribadire con grande serenità e molta determinazione che le regole non le facevano più loro ma le facevamo noi. Devo anche dire che anche il rilascio degli immobili confiscati alla famiglia fu oggetto di questa discussione. Io precisai che se non se ne fossero andati avremmo comunque liberato gli immobili». Tutti particolari che fin qui sembrava ricordare benissimo. Finché non è arrivato al cuore dell’episodio: «È chiaro che è un episodio di 15 o 16 anni fa, non escludo di aver dato dettagli sbagliati». A questo punto ha innescato la retromarcia: «Se come ho sentito il sindaco di Bari attuale ricorda di non essere stato con me, probabilmente ha ragione lui». Ed è andato avanti con giustificazioni e autoassoluzioni: «Qualcuno mi dice: perché non siete andati alla polizia? Il racconto non conteneva fatti decisivi, se lo avessimo riportato al maresciallo. Non era una notizia di reato, ma un evento di colluttazioni dialettiche che voi forse non riuscite a immaginare. Non ritenni di fare denuncia, la responsabilità è solo mia». Non pago, ha cominciato a descrivere scene che ricordano i vecchi film di Mario Merola: «Io ero uno sbirro che aveva fatto condannare all’ergastolo il fratello (della signora Capriati, ndr). Anche dire che la signora mi aveva fatto entrare in casa era una cosa inconfessabile. Ma in questo modo abbiamo ripristinato il controllo del territorio senza operazioni militari, senza il battaglione dei carabinieri, senza la celere». Infine ha cercato di mandare in archivio il caso: «Sulla Regione Puglia non è in corso nessuna indagine. So che per alcuni sarà una sorpresa. Abbiamo subito una campagna tale che un assessore della mia giunta era convinto che la mia assessora che si è dimessa era stata arrestata (Anita Maurodinoia, lady preferenze, indagata in un procedimento per corruzione elettorale, ndr). Quindi io vi chiedo di raccontare a tutta l’Italia che il presidente della Regione Puglia non è oggetto di nessuna indagine». Lui no. Ma gli uomini del suo cerchio magico sono caduti sotto le macerie delle inchieste giudiziarie. Pisicchio compreso. È stata la presidente Colosimo a chiedergli conto dei messaggini. E c’è stato un parapiglia. Emiliano, stizzito, come se fosse in un’aula di Tribunale si è rimesso la toga: «La domanda è incongrua rispetto all’oggetto dell’audizione». La questione ha provato a liquidarla così: «Mi risulta leggendo la stampa che i messaggini sarebbero stati acquisiti dalla Procura, quindi l’unico soggetto che possa dare risposte è il procuratore della Repubblica che avete ascoltato». Ritiene comunque di non aver «realizzato condotte men che trasparenti» e ha ribadito che «per qualunque chiarimento» è «a disposizione della Procura di Bari». Che probabilmente ha già in canna la sua convocazione.
«The Iris Affair» (Sky Atlantic)
La nuova serie The Iris Affair, in onda su Sky Atlantic, intreccia azione e riflessione sul potere dell’Intelligenza Artificiale. Niamh Algar interpreta Iris Nixon, una programmatrice in fuga dopo aver scoperto i pericoli nascosti del suo stesso lavoro.