2021-11-30
Ecco l’emendamento «salva Napoli». Manfredi può costarci già 1 miliardo
I giallorossi puntano a ritoccare la manovra per rifilare allo Stato il debito del capoluogo campano. Le norme beneficiano varie città (tutte «rosse»), ma sembrano dettate alla sinistra dal neo sindaco partenopeo.Napoli detta legge. Non solo sui campi da calcio, ma anche nella gestione delle finanze pubbliche. Partito democratico, Leu e Movimento 5 stelle stanno cercando d’inserire nelle legge di bilancio, in discussione al Senato, una norma che consenta al Comune più indebitato d’Italia di non fallire e di accollare debiti e mutui allo Stato, con somma gioia delle banche creditrici. Ancora da vedere se questo gioco di prestigio, senza il quale il sindaco Gaetano Manfredi aveva già minacciato di dimettersi a neppure due mesi dalla trionfale investitura, sarà totalmente a costo zero per i cittadini del capoluogo campano, oppure se il governo del severissimo e rigoroso Mario Draghi chiuderà un occhio. Delle norme in arrivo, va detto, potrebbero beneficiare in piccola parte anche Torino e Firenze, anch’esse guidate dal centrosinistra e gravate dai debiti. Anche se qui, almeno, i soldi sembrano esser stati spesi un po’ meglio che a Napoli.Che qualcosa bollisse in pentola per Napoli era aria da qualche settimana. Passato l’entusiasmo di Pd, sinistra e M5s per il 62,9% raccolto dall’ex ministro della Ricerca, già ai primi di novembre si era piombati nella tragedia. Manfredi aveva rivelato che «già oggi lo stato del bilancio di Napoli è da dissesto» e il 4 novembre aveva minacciato di dimettersi se il governo non avesse trovato una soluzione per salvare la città, schiacciata da un debito che è arrivato a quasi cinque miliardi. Da allora ci sono state trattative serrate tra il ministro tecnico Daniele Franco, la viceministra torinese Laura Castelli e l’assessore al bilancio di Napoli, il veneziano Pier Paolo Baretta, una vecchia volpe piddina che dopo aver fatto carriera nella Cisl è stato al Tesoro come sottosegretario nei governi Letta, Renzi, Gentiloni e Conte bis, occupandosi di partite delicate come i rapporti con le lobby del gioco legale e del tabacco. Ieri pomeriggio, Manfredi è salito a Roma per discutere con la Castelli, proprio mentre in Senato venivano depositati gli ultimi emendamenti alla Manovra 2021. La fortuna di Napoli è che è uno dei pochi grandi comuni italiani che si è affidato a un’alleanza tra centrosinistra e 5 stelle. Tanto è vero che le due preoccupazioni che hanno in questi giorni Manfredi e Baretta sono la caccia al consenso dei deputati campani del centrodestra e il timore che il Mef chieda contropartite più o meno pesanti, come un commissario al debito o delle addizionali Irpef. Gli emendamenti dei deputati del Pd, guidati dalla campana Valeria Valente, mirano a fare in modo che lo Stato carichi sulle proprie spalle parte del debito accumulato dalle grandi città in crisi attraverso l’emissione di obbligazioni. Del medesimo tenore sono anche le richieste di modifica ideate da una serie di deputati grillini, come Mariolina Castellone, Sergio Puglia, Vincenzo Presutto e Sergio Vaccaro. A favore dell’emendamento Pd c’è anche Vasco Errani di Leu, che è il relatore di maggioranza della Finanziaria e già questo è un segnale politicamente importante per il sindaco Manfredi. L’aiutino per Napoli dovrebbe valere un miliardo, ma bisognerà vedere che cosa ne pensano Lega, Forza Italia e i renziani. Negli emendamenti di Pd e M5s, lo Stato non avrebbe nulla in cambio, ma è ancora presto per capire se questa impostazione benefica sia sposata davvero anche dal ministro Daniele Franco e dal premier Draghi. Lo schema degli emendamenti prevede che il Mef sia autorizzato a procedere o alla ristrutturazione del debito, accollandosi i mutui bancari e i derivati connessi, o a caricarsi i bond emessi dai comuni che sono anche «città metropolitane». I comuni in rosso possono accedere a questo regalo di Natale se hanno già deliberato il ricorso alle procedure di rientro finanziario pluriennale, o se hanno affidato alla Corte dei conti locale il controllo dei piani di risanamento. In questo caso, lo Stato può anche emettere nuovi strumenti obbligazionari a proprio nome, in sostituzione secca di quelli comunali. Decisamente tagliati sulle esigenze del sindaco Manfredi anche i tempi di questi salvataggi. Le operazioni di accollo e sostituzione a spese di tutti i contribuenti italiani possono partire dal primo gennaio e il Comune salvato ha quattro mesi in più per chiudere il bilancio. Una boccata d’ossigeno finanziario che serve proprio a Napoli. In cambio di questa sollecitudine, il Comune dovrà, come si legge nell’emendamento del Pd, «dare evidenza degli effetti dell’accollo da parte dello Stato, nella nota integrativa allegata al bilancio di previsione 2022-2024 e nella relazione sulla gestione allegata al rendiconto 2021». Davvero notevole che un elementare obbligo di trasparenza nei confronti dei cittadini sia contrabbandato come una severa condizione statale. Alla voce contropartite, comunque, qualcosa è presumibile che arrivi, su richiesta di via XX Settembre o del centrodestra. A parte la scontata nomina di un commissario di governo alla gestione del debito «accollato», il campionario è vario, nella recente storia finanziaria. Ma per ora sembra vietato parlarne. Per esempio, a fronte di un’operazione che su Napoli varrebbe un miliardo, si potrebbero chiedere a Manfredi impegni stringenti sulla riorganizzazione delle municipalizzate, sulla dismissione del patrimonio immobiliare (o quantomeno su una sua gestione più sana), o sulla lotta all’evasione dei tributi locali. Comunque vada a finire questo «salva Napoli» più o meno mascherato, resta il sospetto che Palazzo San Giacomo forse andasse commissariato ai tempi di Luigi De Magistris, anziché messo all’asta elettorale tra chi poteva vantare più entrature nel «governo dei Migliori».
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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