2019-10-09
Elton John pubblica l’autobiografia e mostra il dramma dell’utero in affitto
Nel libro autocelebrativo del cantante inquietanti passaggi sulla surrogata. «Parto programmato lontano dai tour».Non ci sono solo i ricordi sull'infezione contratta nel 2017 durante un tour in Sudamerica o su quando Sylester Stallone e Richard Gere vennero alle mani per Lady D, in Me, l'autobiografia di Elton John in uscita per Mondadori. Le oltre 350 pagine del volume grondano di aneddoti e gustosi retroscena della storia della superstar che, avendo venduto oltre 400 milioni di dischi, è a tutti gli effetti il solista britannico più affermato di tutti i tempi. Una leggenda vivente, dunque.Nel libro non mancano però passaggi delicati scorrendo i quali è difficile non porsi delle domande. A colpire, su tutti, è il racconto di come il cantante e il «marito», il regista canadese David Furnish, si siano messi in testa di metter su famiglia. Infatti, come noto, la coppia ha oggi due bambini, Elijah e Zachary, ma c'è stato un momento in cui tutto ciò era solo un progetto. Una fase a cui son dedicate pagine dense e sconvolgenti sulle quali, c'è da scommettere, la grancassa mediatica non mancherà di sorvolare: proprio per questo vale la pena ripercorrerle.Dunque, in principio, nel 2009, fu l'Africa, anzi il Sudafrica. Laggiù, a Soweto, in un centro d'accoglienza per minori alle prese con l'Hiv, un «bambino che indossava una di quelle camicie a disegni vivaci rese famose da Nelson Mandela» regalò a Elton John «un piccolo cucchiaio, simbolo dell'industria saccarifera sudafricana». Da quel gesto scattò nel cantante una scintilla: «Non ne avevo idea, ma qualcosa era successo, in maniera del tutto indipendente dalla mia volontà. Fu come se dopo i sessant'anni si fosse finalmente attivato un vero istinto paterno».Successivamente, in compagnia di Furnish, la star britannica volò in Ucraina, all'orfanotrofio di Donec'k. L'incontro con un altro bambino, stavolta di appena quattordici mesi, fece vincere definitivamente a John ogni titubanza: «Qualunque cosa fosse successa a Soweto si verificò ancora, solo con più intensità: ci fu un legame immediato, una connessione molto potente». Di qui l'idea di procedere con l'adozione, presto naufragata per difficoltà legate al fatto che l'Ucraina non è nell'Ue. Criticità che però non fermarono la coppia. «Avevamo tentato di diventare genitori adottivi senza riuscirci», ricorda John, «fu scoraggiante, ma stavolta il sentimento paterno non svanì. Era come se qualcuno avesse bloccato un interruttore su “on"».Il cantante ha condiviso così con il «marito» la volontà di ricorrere all'utero in affitto, strada anche questa non semplice dato che nel Regno Unito la maternità surrogata commerciale è illegale. Un divieto che, quando ti chiami Elton John e hai un patrimonio di 350 milioni di euro, appare irragionevole. Così, il cantante è volato in California rivolgendosi all'agenzia Fertility Partners. La cosa interessante, qui, è il disorientamento che la stessa star prova quando gli viene spiegato che cosa comporti la procedura della maternità surrogata.«Più ci informavamo, più ci sembrava complicato», scrive, «dopo un po', avevo la testa piena di terapie ormonali e blastocisti, trasferimenti di embrioni, assistenti sociali e donatrici di ovuli». Inconsapevolmente, è quindi lo come se stesso cantante avesse riconosciuto, almeno per un momento, l'utero in affitto come una pratica tortuosa, complicata. Un tentennamento durato poco. Dopo una prima esitazione Furnish e il marito son tornati alla carica desiderosi non solo di diventare genitori, ma di farlo senza complicazioni.«Ci consigliarono di trovare una madre surrogata nubile», riporta John, «dato che in passato c'erano stati casi di mariti di madri surrogate che avevano rivendicato legalmente la paternità del bambino». Presa questa decisione, hanno pensato di risolvere alla radice la contesa sulla paternità effettiva («decidemmo di fornire entrambi un campione di sperma, in modo da non sapere chi di noi fosse il padre biologico») e di tenere i media all'oscuro di tutto. Scelta tattica: «Quando i media scoprirono l'identità della madre surrogata di Matthew Broderick e Sarah Jessica Parker, la poveretta fu costretta a nascondersi: l'ultima cosa che volevamo era che una madre in attesa venisse assillata dalla stampa».Così, grazie anche all'aiuto di Guy Ringler, un gay specializzato in fertilità per genitori Lgbt, John e Furnish hanno potuto coronare il loro sogno, con l'individuazione di una gestante conto terzi gradita ad entrambi («trovammo la più fantastica delle madri surrogate»). L'aspetto che qui colpisce è che, nonostante il cantante spieghi di essere diventato amico della donna, del fidanzato e perfino della sua famiglia, non si sforzi mai di darle un nome: neppure uno di fantasia. Quasi che la la donna non fosse una persona ma solo, appunto, «una madre surrogata», come viene freddamente chiamata quattro volte in due pagine.L'autobiografia inoltre svela come la stessa nascita del piccolo, Zachary Jackson Levon, sia stata calendarizzata nel dicembre 2010 non a caso ma compatibilmente con l'agenda di John: «Avevamo cercato deliberatamente di programmare la nascita in modo che avvenisse quando non stavo lavorando o ero in tour». Così la distinzione tra paternità e compravendita appare alla fine davvero sottile. Come le pagine di un libro.