La sinistra ha venduto la vittoria di Donald Tusk come un ribaltone sui conservatori. Ma il leader centrista, per prevalere alle urne, ha dovuto sfoderare un’agenda di destra su immigrazione ed economia. La partita per le europee è ancora tutta da giocare.
La sinistra ha venduto la vittoria di Donald Tusk come un ribaltone sui conservatori. Ma il leader centrista, per prevalere alle urne, ha dovuto sfoderare un’agenda di destra su immigrazione ed economia. La partita per le europee è ancora tutta da giocare.Un trionfo europeista? Nel commentare le elezioni in Polonia, l’informazione nostrana è combattuta tra la celebrazione del redivivo Donald Tusk («Un uomo, un programma, una coalizione», ha gongolato Marcello Sorgi sulla Stampa) e una prudente attesa delle contromosse di Diritto e giustizia (Pis). Ossia, il partito del premier uscente, Mateusz Morawiecki, che con il 35,38% dei voti ha conservato il primato, ma ha dilapidato il 9% dei consensi rispetto al 2019 ed è stato soverchiato dal raggruppamento delle opposizioni. Il movimento oggi al governo, sulla carta, non ha stampelle, poiché gli estremisti anti Ucraina di Confederazione, che recherebbero in dote un insufficiente 7,16%, rifiutano il dialogo. Tuttavia, gode del fattore tempo: il presidente della Repubblica, Andrzej Duda, non conferirebbe l’incarico a Tusk prima di Natale; ciò offre ai conservatori una finestra d’opportunità, per arruolare parlamentari eletti con le altre formazioni. Così, Repubblica saluta la «nuova era» di Varsavia, ospitando nondimeno le osservazioni dell’esperto britannico Timothy Garton Ash. Costui parla di fine dell’«incubo populista», ma ammette che il compito delle forze europeiste sarà tutt’altro che semplice. Nel medesimo gruppo editoriale, il quotidiano di Torino è più entusiasta. Evoca la «rivincita» di Tusk e si butta in avanti: «Fdi», scrive, «pensa di cambiare alleati» in Europa. Sì, l’addio di Morawiecki picconerebbe il blocco di destra in seno al Consiglio Ue. Dopodiché, delle due l’una: la vulgata voleva che la Polonia, per non parlare dell’Ungheria di Viktor Orbán, si fingessero amiche di Giorgia Meloni e poi agissero sistematicamente contro gli interessi italiani, a cominciare dal dossier immigrazione. A rigor di logica, per Roma, un cambio della guardia è una buona notizia. È presto anche per recitare il de profundis dell’Ecr, lo schieramento all’Eurocamera in cui primeggia Fratelli d’Italia. Il presidente del Consiglio può ancora trattare con i popolari da una posizione privilegiata, tenendo a mente che l’esortazione a «cambiare alleati» risponde a una logica precisa: schiacciare la Meloni nel tritacarne del Ppe e isolare Matteo Salvini, rendendo irrilevante Identità e democrazia, in cui la Lega milita insieme a Marine Le Pen. La verità è che alle europee mancano più di sette mesi: di qui a giugno può succedere di tutto. Non è scontato un secondo, peggiore tonfo dei conservatori polacchi e degli spagnoli di Vox. D’altro canto, le percentuali su cui viaggiano questi partiti rimangono ragguardevoli. Gli iberici ripartono da un dignitoso 12,39%. Rispetto alle elezioni del 2022, la Meloni ha guadagnato punti nei sondaggi. E il Pis ha scavalcato di cinque lunghezze la Coalizione civica di Tusk, ferma al 30,70%. L’ex numero uno del Ppe, per guidare la nazione, dovrà puntare sull’ammucchiata. Se non siamo ai livelli dei due esecutivi di Giuseppe Conte, poco di manca. Il leader vicino a Bruxelles è costretto ad appoggiarsi al centrodestra di Terza via (14,40%) - una cui frangia, quella dei rappresentanti della Polonia rurale, è già corteggiata da Diritto e giustizia - e ai socialdemocratici della Sinistra (8,61%). Impresa complicata. Non a caso, il Corriere, con realismo, invita a «maneggiare con cura» la svolta.Al netto delle complesse geometrie parlamentari, c’è un ulteriore dato politico che induce a smitizzare l’epopea dell’aspirante premier centrista. Come ha fatto notare Euractiv, in campagna elettorale, Tusk e i suoi sono stati più falchi che colombe. Incalzato dalle accuse di Pis, il portavoce di Coalizione civica, Jan Grabiec, ha assicurato: «Non ci accorderemo su alcuna soluzione che porti all’aumento del numero dei migranti in Polonia». Tusk stesso ha promesso che si batterà contro gli ingressi illegali di islamici, considerati un’autentica minaccia. Tanto che un suo potenziale alleato di sinistra, Maciek Konieczny, lo ha punzecchiato: «È ancora Donald Tusk, o magari è Donald Trump?». Sono questioni che i partner diffidenti dovranno affrontare, se intendono blindare una piattaforma di governo.L’adesione ai desiderata della Commissione è dubbia finanche nel campo economico. Il capo dell’opposizione polacca fu il fautore dell’innalzamento dell’età pensionabile a 67 anni, poi riabbassata da Diritto e giustizia a 65 anni per gli uomini e 60 anni per le donne. Il Fornero di Varsavia, tuttavia, pare esser addivenuto a più miti consigli. Nelle settimane scorse, Tusk ha finito per prendere le distanze dal suo ex guru, Boguslaw Grabowski. E ha giurato che le proposte di costui, tipo la spinta per un piano di privatizzazioni e la richiesta di un incremento dell’orario lavorativo, erano «visioni personali», che «non hanno nulla che fare con il programma» del partito. Se Tusk è un europeista, qualche volta si vergogna di ammetterlo. Gli analisti più accorti notano che, sullo sfondo del voto polacco, si stagliano le trattative per la riforma del Patto di stabilità. Può ben darsi che il presunto vincitore alle urne si comporti da agente di Berlino. Ma se veramente il populismo è morto, il montismo, come minimo, non si sente molto bene.
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.