2023-07-03
Edoardo Sylos Labini: «Senza identità non c’è confronto»
Edoardo Sylos Labini (Imagoeconomica)
Il regista e scrittore: «Per la sinistra la parola patria era una parolaccia: l’orgoglio di pronunciarla è un segno della sua sconfitta. Con il mio festival valorizzo chi non si accoda al mainstream come Giancarlo Giannini».Appena chiuso il sipario della prima tappa 2023 del festival delle Città Identitarie (prossimi appuntamenti dal 21 al 23 luglio a Torino e dopo un mese a Loano dal 22 al 24 agosto) Edoardo Sylos Labini accenna un soddisfatto sorriso. Qui a Potenza è andata alla grande. Un’ovazione per Giancarlo Giannini che è stato il simbolo del Festival, incontri, seminari e spettacoli sempre pieni, la cultura di destra che riesce a diventare pop. Come Edoardo che divenne famoso per quello spot: Antò fa caldo! Attore, regista, scrittore, giornalista, nipote adottivo di Silvio Berlusconi per aver spostato Luna, la figlia di Paolo Berlusconi – si sono lasciati, hanno una figlia: Luce – esattamente 5 anni fa decise di fondare Cultura e Identità il cenacolo della nuova cultura del centrodestra dove, si potrebbe dire, si riconosce chiunque abbia rifiutato Karl Marx e seguaci. E chiunque non indulga nell’obbedienza al mainstream. Un anno dopo uscì il mensile CulturaIdentità e successivamente nacque l’associazione delle Città Identitarie. Si parte da qui per ragionare della cultura di destra con un uomo che aveva una carriera facile facile e ricca e ha rinunciato alla comfort zone del luogocomunismo per esplorare il mondo delle idee.Identità: sembra un tormentone, ma cos’è davvero l’identità?«Sono le nostre radici, i luoghi della nostra nascita, dove i nostri genitori sono venuti al mondo; è vitale tornare nei luoghi dove si nasce. Dove è custodito in fondo ciò che siamo: il cibo, i dialetti, le tradizioni, le storie. Soprattutto per chi è del Sud ed è costretto ad abbandonare quei territori l’identità è un legame fortissimo; i veri patrioti sono gli italiani all’estero che continuano a desiderare, a mantenere un contatto con la patria».Patria, una parola desueta e che ora resuscita: perché?«Patria nel suo significato più alto e profondo è tornata in auge con questo governo; la sinistra l’aveva ghettizzata, era una parolaccia per loro. Per la sinistra – e non è un gioco di parole – nel dopoguerra Patria era una parola sinistra. L’orgoglio oggi di pronunciarla e di viverla è un segno evidente della sconfitta di chi per decenni si è insediato nei gangli del potere ideologizzandoli. Hanno preso una bella botta, sono come un pugile suonato e ci metteranno del tempo per riaversi. Li vedi avvolti nelle loro bandiere arcobaleno orfani di una qualsiasi proposta; da trent’anni non conoscono più i bisogni reali delle persone e non hanno più proposto un loro progetto di società. Si sono limitati e ingegnati a stare contro il centrodestra. Agitano continui demoni perché sanno essere solo contro e mai per».L’Europa però è antinomica al concetto di Patria, vuole sostituirlo con l’europeismo; sovranista per la sinistra è un epiteto di disprezzo…«Questa Europa così com’è stata costruita e com’è adesso ha la stessa direzione della nostra sinistra che copia la sinistra europea che a sua volta è influenzata dalla sinistra dem americana. Loro lavorano alla globalizzazione che ci ha impoveriti. Per questo le elezioni europee del 2024 sono decisive. Si prospetta una vittoria di popolari e conservatori che insieme possono cambiare l’Europa. Lasciamo da parte le questioni di schieramento geopolitico, di politica internazionale o di funzionamento della macchina europea, ciò che deve emergere è l’Europa come luogo delle identità. Penso alla bellezza delle Olimpiadi quando le Nazioni sfilano con i loro colori, con le loro bandiere eppure si ritrovano insieme; l’identità è il contrario della chiusura: è rispetto di se stessi per rispettare gli altri».La Francia in fiamme è il più evidente fallimento della mancata integrazione?«Certo, perché se rinunci all’identità non hai confronto. Un esempio che l’identità diventa valore nell’incontro te lo dà la Sicilia: hanno avuto invasioni degli arabi, dei normanni, ma dal rispetto e dall’incontro è nata una civiltà immensa. In Francia invece hanno fintamente accolto e hanno costruito quei quartieri dove il globalismo ha creato steccati e ghetti. Il globalismo è una finta accoglienza che crea disuguaglianza».Pensa che Giorgia Meloni come leader dei conservatori europei cambierà l’Europa?«Lei in caso di vittoria del Ppe e dei Conservatori diventa il nuovo asse europeo e già si vede nei suoi viaggi; da ovunque torna con un risultato positivo. La vera vittoria di Giorgia Meloni è e sarà sul piano internazionale».Lei è stato anche responsabile culturale di Forza Italia e «nipote» di Silvio Berlusconi. Esiste un erede del Cavaliere? Forza Italia resisterà al dopo Berlusconi?«Un giorno Berlusconi mi chiamò e mi disse: entra in Forza Italia e occupati della cultura. Ma lui sapeva che avevo sempre votato a destra. Glielo dissi e lui rispose: sei capace e mi fido di te, fallo. Era fatto così, era unico e per questo non ha mai né cercato davvero un erede né lo ha costruito. Lui è stato il fondatore del centrodestra e attraverso Forza Italia ha portato al governo la destra che altrimenti non ci sarebbe mai arrivata, lui ha dato spazio alle diverse anime del centrodestra e non so dire se oggi Forza Italia abbia un futuro e quale senza di lui. So che lui in qualsiasi condizione ci ha sempre messo la faccia; anche nelle ultime elezioni: non stava bene eppure ha lottato e il consenso si è accentrato su di lui. Dicono che Matteo Renzi possa essere il suo erede, mi pare la favola di Fedro della rana che voleva diventare bue. Anche se forse non l’erede, ma l’eredità politica di Berlusconi c’è già chi l’ha raccolta».Chi?«Giorgia Meloni, che fu da giovanissima ministro del governo Berlusconi. Lei sta garantendo la continuità del centrodestra ed è una donna di mediazione e contemporaneamente di azione, col suo pragmatismo sta allargando l’orizzonte del centrodestra e sa perfettamente interpretare il cambio di passo che c’è tra stare all’opposizione e governare. Lei è la vera erede di Berlusconi. Un esempio concreto sono le politiche culturali».A lei piace la cultura di questo governo?«Giorgia Meloni l’ha messo in mano a due persone molto abili: Gennaro Sangiuliano al ministero e Giampaolo Rossi alla Rai stanno facendo un ottimo lavoro. La Rai tornerà ad essere ciò che deve essere: la prima impresa culturale del paese. Prima delle elezioni alla Sala Umberto di Roma con Giampaolo Rossi avevamo fatto un importante convegno sul nuovo immaginario per dire cosa avremmo voluto fare. Tra questi obbiettivi c’è di fare attraverso la Rai un servizio pubblico pluralista, ma patriota e nazionalista che metta in luce e divulghi la bellezza della cultura italiana e dell’Italia, della cultura di tutti. La diversità tra noi è la sinistra è che la sinistra usa la cultura per farsi propaganda, la destra per produrre consapevolezza. Se un teatro è diretto da uno di destra vedrai che la programmazione è pluralista, se un assessore alla cultura è di sinistra chiama solo i suoi. Abbiamo il compito di liberare la cultura da queste incrostazioni pluiridecennali della sinistra partendo dal principio guida della destra: se uno è bravo non importa come vota, importa che sia bravo».Lei si prepara dunque a tornare in televisione…«C’è un progetto per un programma che parli e valorizzi i territori, di più non dico».E dell’attacco al cibo, alla cultura alimentare che pensa?«Che è l’ennesima dimostrazione che vogliono distruggere le identità. Ma il cibo, la cucina italiana, anzi dei territori italiani è uno dei costituenti primi dell’identità. Molti si stupiscono del successo all’esportazione dei nostri prodotti: è il fascino della cultura italiana che si fa nutrimento! Aver creato il ministero della Sovranità alimentare dà il senso del lavoro profondo che si sta facendo sull’identità».Eppure sembra che la sinistra eserciti ancora la sua egemonia culturale, non trova?«Ci vuole tempo: loro l’egemonia culturale l’hanno costruita nei decenni e l’hanno imposta occupando tutti i posti di comando e di scelta. Io mi sento un po’ un pioniere: ho portato sul palco da D’Annunzio a Marinetti, da Mazzini a Italo Balbo e ho riunito un gruppo di amici in Cultura e Identità che va da Giampaolo Rossi a Federico Mollicone, da Guido Castelli al sindaco di Norcia Alemanno, da Crespi ad Alessandro Giuli a Giusi Versace. Da lì siamo partiti mettendo insieme varie anime di un mondo che mai si era ritrovato. La sinistra quando va al governo abbatte tutto ciò che non gli appartiene, noi invece vogliamo esser pluralisti».Lei ha pagato pegno?«Sì, ho immolato la mia carriera a questa idea per dare speranza a tutti coloro i quali non si accodavano al mainstream. Ma c’è chi ha pagato anche di più. Penso proprio a Giancarlo Giannini: gli dedicano una stella sulla Walk of fame a Hollywood e l’Italia non lo ha mai premiato. Lo abbiamo portato qui al festival delle Città Identitarie dove ha avuto un successo strepitoso. Un attore non deve dire per chi vota, ma non deve essere giudicato a seconda di chi vota».Per finire: Antò fa ancora caldo?«Mi dispiace che se ne sia andato Alessandro D’Alatri il regista di quello spot geniale perché riassumeva la commedia all’italiana e raccontava un tratto assoluto di italianità. Per questo dopo oltre vent’anni è ancora popolarissimo. L’accoppiata con Luisa Ranieri fu vincente e nessuno di noi due era consapevole allora di cosa quello spot avrebbe significato. Luisa ha fatto nel cinema una straordinaria carriera. Io ho ricavato da quell’esperienza consapevolezza».I veri attori però snobbano la pubblicità e anche la commedia all’italiana, o no?«Tutti i grandi hanno fatto pubblicità. La commedia all’italiana tornerà: se cambiano i presupposti gli sceneggiatori, i registi sono portati a raccontare l’epoca in cui vivono. Se Canale 5 fa L’Isola dei famosi tu Rai non devi andargli dietro: devi raccontare il costume dell’epoca, devi comunicare l’anima della tua gente, lo spirito del tempo. Ce la faremo: promesso».
Giorgia Meloni e Donald Trump (Ansa)
Il valico di Rafah (Getty Images)