2024-01-17
Ecotalebani a Davos: vogliono i bollettini coi morti per il clima
Il World economic forum di Davos edizione 2024 (Ansa)
Sparata del Wef: il «global warming» ucciderà 14,5 milioni di persone. «Gli ospedali pubblichino i dati come con il Covid».«Nel lungo periodo saremo tutti morti», diceva John Maynard Keynes. Quelli del World economic forum hanno calcolato a quanto ammonterebbe quel periodo: più o meno 26 anni. Entro il 2050, infatti, la crisi climatica provocherà 14,5 milioni di decessi e 12,5 trilioni di dollari di perdite economiche. Ad affermarlo è un report diffuso dal gruppo di Davos, Quantifying the impact of climate change on human health, che basa le sue proiezioni sui dati dell’Ipcc. Ossia, il panel intergovernativo dell’Onu che si è autoproclamato custode dell’unica vera scienza sull’ambiente.È lecito dubitare dell’accuratezza delle stime. Ma anche volendole prendere per buone, esse non rappresenterebbero comunque un argomento conclusivo in favore del nuovo comunismo verde - Unione europea più elettrificazione.Ogni anno, nel mondo muoiono intorno ai 52 milioni di persone. Se quello che scrive il Wef è vero, l’extramortalità dovuta alle catastrofi ecologiche mieterebbe più o meno 500.000 vittime in 365 giorni. L’1% del totale. Per carità: ogni vita è preziosa. Nessun uomo dovrebbe pagare un prezzo così alto per l’attaccamento pervicace a politiche insostenibili. Il discorso, però, non riguarda soltanto quelle basate sulle fonti energetiche fossili. Applicando l’agenda green nelle sue versioni radicali, con l’obiettivo di arrivare a emissioni nette zero nel 2050, il destino di chi sopravvive e dei nuovi nati sarebbe segnato: diventare più poveri. Godere di meno agi, vedere minacciata persino la proprietà della casa, persino nei Paesi sviluppati. Con una riduzione della stessa aspettativa di vita. Se fosse intellettualmente onesti, i «competenti», la storia, dovrebbero raccontarcela per intero.Ma il peggio del documento preparato a Davos non è il maquillage catastrofista. Sono le indicazioni su come fronteggiare le conseguenze del climate change su salute e sistemi sanitari. Anche in questo caso, i milionari che modellano il nostro futuro si aggrappano alla strategia dell’apprensione. E dimostrano di aver studiato per bene il precedente del Covid. Anzi, meritano quasi una lode per la loro trasparenza: si sentiranno talmente a proprio agio nel loro ritiro montano in Svizzera, da non usare giri di parole. Così, propongono di adottare «più requisiti di divulgazione sull’impatto del clima sulla salute». Un fattore «che spesso conduce a una pressione pubblica per far agire il governo e il settore privato». E l’esempio al quale dichiarano di ispirarsi è, appunto, quello della pandemia, «quando i crescenti tassi di mortalità, annunciati pubblicamente, hanno alimentato la domanda di vaccini e incentivato le persone a vaccinarsi».L’idea è cristallina: «Agli ospedali si potrebbe chiedere di registrare la mortalità causata da certe malattie legate al clima, a scopi di tracciamento». È la logica terroristica del bollettino Covid: quanti contagi, quanti decessi - sempre troppi. Il ragionamento del Wef ha una sua linearità: se spaventare le persone ha funzionato una volta, perché non dovrebbe funzionare una seconda? Convincere le società che il coronavirus stesse mettendo ugualmente in pericolo tutti, giovani e anziani, sani e malati, le ha indotte ad accettare misure draconiane, privazioni inaudite della libertà e persecuzioni ai danni dei dissidenti: lockdown, inoculazioni di massa obbligatorie, oppure imposte tramite il ricatto del green pass. Si riuscirebbe a ottenere, con un metodo analogo, altrettanta dedizione alla causa del pauperismo verde - fermo restando che in miseria non ci finiranno quelli di Davos, bensì la gente comune?Mostrando un buon grado di scaltrezza, il report suggerisce di combinare i macabri bollettini con il meccanismo dell’impronta di carbonio, sviluppato dall’Ue. I sillogismi si ripetono ogni volta quasi identici: non ti vaccini, ti ammali, muori e fai morire. Non riduci le emissioni, ti ammali, muori e fai morire. In fin dei conti, la congrega riunita alla conferenza elvetica persegue obiettivi banali: potere e soldi. Specie se sono i nostri. Guarda caso, con il pretesto dell’emergenza sanitaria provocata dai cambiamenti climatici, il Wef avverte che «le compagnie farmaceutiche, quelle di dispositivi medici e quelle tecnologiche avranno bisogno di adeguati incentivi economici e finanziamenti stabili». Di nuovo: la pandemia insegna. Pertanto, sarà necessario arrivare a «rapidi processi di approvazione» dei medicinali, com’è avvenuto con quelli a mRna. Dopodiché, sarà opportuno consolidare lo schema grazie al quale «la Fondazione Bill & Melinda Gates e Ong simili spesso assumono il ruolo di allocare i fondi, aggregando risorse da fonti differenti e dirigendole in modo strategico a progetti del settore privato, considerati efficaci e prudenti». Considerati tali dai Gates. I quali non sono stati eletti da nessuno, non sono controllati da nessuno, non rispondono ai cittadini e, nel nome dei quattrini di cui dispongono, coltivano la pretesa di decidere per tutti. Insieme all’agenzia del creatore di Microsoft, poi, gli ideologi di Davos hanno il desiderio ardente di coinvolgere nelle scelte cruciali altri nomi noti: il Wellcome Trust, la Rockefeller foundation, addirittura i Fridays for future, l’organizzazione fondata da Greta Thunberg. Peccato restino fuori gli ecoteppisti di Ultima generazione. In compenso, sono innumerevoli le lodi per altri modelli fallimentari, tipo quello della piattaforma Covax, che ai Paesi del Terzo mondo ha consegnato una manciata di dosi di vaccini, spesso in scadenza o rimaste inutilizzate. Non c’è che dire. L’aria di montagna stimola l’intelletto. Lo spinge a partorire progetti ambiziosi, remunerativi, di ampio respiro e di lungo periodo. Quando, cioè, saremo tutti morti. Noi...
Ecco #DimmiLaVerità del 9 settembre 2025. Il deputato di Azione Fabrizio Benzinai commenta l'attacco di Israele a Doha, la vicenda di Flotilla e chiede sanzioni nei confronti dei ministri di Israele.
Nel riquadro il professor Andrea Fiorillo, presidente dell’Ente Europeo di Psichiatria e testimonial scientifico della giornata palermitana (iStock)
Il 10 ottobre Palermo celebra la Giornata Mondiale della Salute Mentale con eventi artistici, scientifici e culturali per denunciare abbandono e stigma e promuovere inclusione e cura, su iniziativa della Fondazione Tommaso Dragotto.
Il 10 ottobre, Palermo non sfila: agisce. In occasione della Giornata Mondiale della Salute Mentale, la città lancerà per il secondo anno consecutivo un messaggio inequivocabile: basta con l’abbandono, basta con i tagli, basta con lo stigma. Agire, tutti insieme, con la forza dei fatti e non l’ipocrisia delle parole. Sul palco dell’evento – reale e simbolico – si alterneranno concerti di musica classica, teatro militante, spettacoli di attori provenienti dal mondo della salute mentale, insieme con tavoli scientifici di livello internazionale e momenti di riflessione pubblica.
Di nuovo «capitale della salute mentale» in un Paese che troppo spesso lascia soli i più fragili, a Palermo si costruirà un racconto, fatto di inclusione reale, solidarietà vera, e cultura della comunità come cura. Organizzato dalla Fondazione Tommaso Dragotto e realizzato da Big Mama Production, non sarà solo un evento, ma una denuncia trasformata in proposta concreta. E forse, anche una lezione per tutta l’Italia che alla voce sceglie il silenzio, tra parole come quelle del professor Andrea Fiorillo, presidente dell’Ente Europeo di Psichiatria e testimonial scientifico della giornata palermitana che ha detto: «I trattamenti farmacologici e psicoterapici che abbiamo oggi a disposizione sono tra i più efficaci tra quelli disponibili in tutta la medicina. È vero che in molti casi si parla di trattamenti sintomatici e non curativi, ma molto spesso l’eliminazione del sintomo è di per sé stesso curativo. È bene - continua Fiorillo - diffondere il messaggio che oggi si può guarire dai disturbi mentali, anche dai più gravi, ma solo con un approccio globale che miri alla persona e non alla malattia».
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