2024-03-18
Ecco i maestri di censura anti destra in pensiero per la libertà
Vladimiro Zagrebelsky si sveglia: «Non zittire chi dissente sulla guerra». Gianni Riotta scorda la caccia ai filorussi e critica gli atenei intolleranti.In questi tempi tristi tocca persino di esser d’accordo con Vladimiro Zagrebelsky, guarda te. L’illustre editorialista della Stampa notava ieri con dolore che sta crescendo «l’insofferenza per le opinioni altrui. Si vuole zittire, non si vuole ascoltare, si pretende di impedire l’esposizione delle idee altrui e quindi a tutti gli altri di ascoltarle. A chi vorrebbe ascoltarle non viene permesso». Niente di più vero. Secondo il giurista «tira una brutta aria per la libertà di espressione, pilastro della democrazia: essa riguarda soprattutto le idee, le valutazioni, fatti che infastidiscono o offendono questa o quella parte dell’opinione pubblica, della società o delle forze di governo. Una libertà che non è solo di chi vuole esprimersi, ma anche di coloro che vogliono ascoltare. Chi zittisce l’avversario dimostra non solo arroganza, ma anche una singolare mancanza di curiosità, insieme all’impermeabilità a ogni dubbio: paura, anzi, del dubbio che gli argomenti altrui possono far nascere. Perché sentire cosa hanno da dire gli altri, anche se ritenuti avversari, può rafforzare le proprie idee, ma può invece indurre a cambiarle o, più probabilmente, può arricchirle nutrendole di sfumature o dubbi». Di nuovo, sono parole sacrosante. E sono persino più incredibili quelle che Zagrebelsky scrive subito dopo, riconoscendo che «sempre più spesso, chi non si schiera anche militarmente a fianco dell’Ucraina è insultato come putiniano; chi trova intollerabile ciò che si commette a Gaza è, per ciò solo, insultato come antisemita». È quasi commovente trovare frasi simili su un giornale che ha tolto dal proprio archivio gli articoli più critici sul governo ucraino e che ogni due per tre si diletta a pubblicare liste di proscrizione di servi di putiniani molto presunti e pochissimo veri. Ma non è certo meno stupefacente scorrere i corposi commenti squadernati ieri da Repubblica a proposito dell’attacco subito da Maurizio Molinari all’Università Federico II di Napoli, dove al direttore del giornale progressista è stato impedito di parlare in quanto «sionista». Giovanna Iannantuoni, capo della Conferenza dei rettori italiani, ha condannato le prevaricazioni in accademia, ma anche fatto intendere che non si dovrebbe usare la forza pubblica per arginarle (chissà che direbbe se a interrompere una conferenza fossero studenti di destra). Corrado Augias ha scomodato la celebre definizione pasoliniana di «fascismo degli antifascisti» (figurarsi se non si deve ricondurre al fascismo e alla destra anche l’intolleranza di chiara impostazione progressista). Gianni Riotta ha fatto anche di meglio. Si è improvvisamente reso conto che negli atenei americani qualcosa non torna. «Secondo un sondaggio della Foundation for individual rights Harvard e Pennsylvania sono agli ultimi posti nelle classifiche per la libertà di parola», ha scritto col batticuore. «Nelle cinque migliori università Usa, la metà degli studenti ritiene lecito azzittire le voci di chi dissente, mentre un preoccupante 30% giudica lecito, in alcuni casi, perfino il ricorso alla violenza contro assemblee di oppositori». Per chi non lo ricordasse, Riotta è uno dei fenomeni che hanno più attivamente contributo alla demonizzazione dei presunti putiniani italici. Tra i suoi mirabili articoli ricordiamo quello intitolato: «Guerra in Ucraina. Destra, sinistra e no green pass: identikit dei putiniani d’Italia». In quel fenomenale pezzo, Gianni non temeva di fare nomi. Leggiamo ancora, giusto per rinfrescare la memoria, qualche accorato passaggio dello scritto: «Uno studio della Columbia University analizza il fenomeno dei Putinversteher nostrani, per i quali il presidente russo fa solo “gli interessi nazionali”. Da Savoini a Fusaro, da Spinelli a Mattei a Foa, ecco chi giustifica il Cremlino». In un altro memorabile esempio di giornalismo, Riotta si dilettava a spiegare «perché i leader no vax e no green pass online diventano fan di Putin», cogliendo l’occasione per tirare un po’ di fango pure sui renitenti alla puntura. Ovviamente entrambi gli articoloni che abbiamo citato sono usciti su Repubblica, quotidiano che - non appena è stato toccato da una contestazione - piagnucola per le sorti della libertà di espressione. Ora, che nelle università americane regni l’intolleranza a ogni livello è un fatto. Avviene da quando si è imposta la dittatura del politicamente corretto da cui è in seguito originata la cultura della cancellazione, con corredo di statue abbattute, capolavori della letteratura sfregiati e voci critiche censurate. Non è un segreto - anche perché il fenomeno è stato ampiamente studiato - che queste forme di autoritarismo nemmeno troppo dolce siano nate e cresciute all’interno della cultura liberal, cioè tra quei progressisti e liberali che si considerano da sempre la parte migliore dell’umanità, titolata a educare il resto del pianeta, talvolta a suon di bombe. In Italia la superiorità morale liberal si è saldata con quella antica di matrice comunista che gli eredi del Pci hanno volentieri mantenuto (dimenticando tutto il resto, soprattutto le parti più presentabili). I risultati li abbiamo da tempo sotto gli occhi: chiunque non rientri nel recinto stretto del pensiero prevalente è bollato come fascista e vessato di conseguenza, perché se uccidere un fascista non è reato figuriamoci zittirlo o provare a punirlo con leggi liberticide. E non solo i «migliori» censurano, ma dopo averlo fatto puntano il dito contro gli avversari politici, accusandoli di covare intolleranza e tendenze antidemocratiche. Persino nelle opere letterarie - vedi il recente romanzo distopico di Paul Lynch, Il canto del profeta - i dittatori cattivi sono sempre «di destra». Un meccanismo perfetto: si discrimina e ci si autoassolve. E per rendere tutto più emozionante si fa un po’ di piagnisteo sulla libertà perduta in attesa di compilare la prossima lista di dissidenti da punire.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.