2021-12-12
È tornata l’epopea dei grandi duelli in pista
Oggi ad Abu Dhabi la gara conclusiva del campionato di Formula 1: Lewis Hamilton e Max Verstappen (stessi punti in classifica) si giocano il mondiale all’ultima curva dopo una stagione di veleni e sportellate. In pole l’olandese, ma l’inglese non molla.«Non esiste curva in cui non si possa sorpassare». La massima di Ayrton Senna vale per ogni vita e ogni professione, misura il coraggio di una persona dentro la tonnara dell’esistenza. Oggi torna a casa con l’odore di carburante e gomma bruciata, non è più una metafora ma ridiventa un obiettivo da gran premio. Due guerrieri: Lewis Hamilton e Max Verstappen, stessi punti in classifica. Un circuito: lo Yas Marina di Abu Dhabi. Una prima fila con loro due, stessa faccia da OK Corral. Un obiettivo laggiù in fondo ai 5,281 chilometri da ripetere 58 volte: il titolo di campione del mondo di Formula 1. Un finale perfetto per Omero.Le curve sono 16, sui rettilinei è più facile. Loro sanno come fare, questione di nervi e di piede. In prova l’olandese è stato più veloce (3,7 decimi sul rivale, un’enormità), ha ghermito la decima pole stagionale da aquila reale e potrà far valere una delle sue doti migliori, lo scatto al via. La Red Bull vola un po’ meglio della Mercedes e la squadra è pronta a supportare l’ultima galoppata: il compagno Sergio Perez è subito dietro, accanto alla sorprendente McLaren di Leandro Norris, mentre il numero due di Hamilton (Valtteri Bottas) è in terza con il primo ferrarista, Carlos Sainz. Charles Leclerc osserva i tubi di scarico dei due dalla quarta fila. Il via è alle ore 14, diretta su Sky e Tv8.Partono alla pari. È lo scenario di una sfida western con un solo precedente, nel 1974, quando Emerson Fittipaldi sulla Lotus brucia il ferrarista Clay Regazzoni. Nomi da cineteca, emozioni eterne. Questa volta il duello arriva al culmine di una stagione di veleni e sportellate, perfetta per l’appassionato con il cronometro Heuer (feticcio da modernariato) appeso al collo ma anche per il telespettatore occasionale da divano di cittadinanza. È un pomeriggio da Deguello come colonna sonora, il muso un centimetro avanti è lo spartiacque fra trionfo e disfatta. Con un’appendice grottesca: se nessuno facesse punti, il mondiale sarebbe di Verstappen, che ha vinto un gran premio in più (9 contro 8), quello del Belgio che di fatto non si è mai corso. La gara di Spa fu rocambolesca, tormentata dalla pioggia, e i giri validi furono solo due dietro la safety car. Una pagliacciata ma i commissari decisero di validarla, pur con il punteggio dimezzato. Adesso si ripresenta qui come un convitato di pietra, potrebbe non solo condizionare ma attribuire il mondiale coprendo di ridicolo chi lo organizza.Hamilton e Verstappen non si amano, banalità planetaria. Rappresentano il potere contro la ribellione, il vecchio (36 anni) contro il giovane (24), sette mondiali a zero, l’attivismo militante furbetto contro la spensieratezza millennial, l’esperienza contro l’irruenza. I Duellanti di Joseph Conrad con il casco integrale. Si sono inseguiti e mandati a quel paese decine di volte, accusandosi reciprocamente di guida pericolosa. Hanno fatto autoscontro per anni quando l’obiettivo era lo spruzzo di champagne sul traguardo, figuriamoci un mondiale. Per evitare che a Verstappen vengano idee malsane (uno zero a zero lo incoronerebbe), il direttore di corsa Michael Masi ha rilasciato un’intervista al Daily Mail che somiglia a un pizzino dei corleonesi: «Io non posso controllare le loro azioni, solo loro possono. Ma in caso di colpa grave potremmo togliere i punti conquistati nella stagione».Avvertimento chiaro, qui il rodeo si paga caro. Ma il rodeo è nel Dna della Formula 1 e ne ha fatto la storia. Due dei più noti incidenti voluti, provocati nella gara «senza domani» portano la firma di altrettanti fenomeni delle corse: Ayrton Senna e Michael Schumacher. Nel 1990 a Suzuka il fuoriclasse brasiliano della McLaren butta fuori deliberatamente il «professore» francese sulla Ferrari e vince il mondiale. «Sono sereno, so cosa devo fare», aveva confessato un mese prima al giornalista Giorgio Terruzzi, autore dello splendido libro Suite 200. Per lui si tratta di un regolamento di conti, visto che l’anno prima, sempre sul circuito giapponese, riteneva che fosse stato Prost ad agganciarlo facendogli sfumare l’impresa mondiale.Ancora più epica è la rissa a 300 all’ora fra Schumacher e Jacques Villeneuve nel 1997 a Jerez de la Frontera, ultimo gran premio, quello del destino. Al tedesco della Ferrari basta mettere il muso davanti al canadese della Williams per vincere il titolo. Ma per tutta la stagione ha sofferto il figlio di Gilles, che avendo lo stesso sangue e gli stessi nervi d’acciaio del padre, non è più forte ma è più veloce. E quando lo rimonta minacciandone il primato con una staccata pazzesca alla Dry Sac («Ho guardato nello specchietto e non c’era, poi ho riguardato e l’avevo quasi a fianco», dirà Schumi), il ferrarista tenta di speronarlo e finisce nella sabbia. Ricorda Villeneuve: «Fu un momento elettrizzante. Nel giro successivo lo vidi in piedi sul muro di fianco alla pista, che mi guardava. Aveva la faccia tutta sudata; lui non sudava mai».Duelli entrati nei libri e nei film, in attesa di quello di oggi che potrebbe somigliare a un videogioco. Hamilton ci arriva carico di gloria, con la forza dei sette mondiali appesi alla parete; forse è l’ultimo valzer. Lui lascia aperto l’interrogativo: «Non credo di proseguire ancora a lungo, anche se amo quello che sto facendo. Mi mantiene giovane la mia peggior qualità: odio perdere». Coglie in pieno il significato della battaglia di Abu Dhabi: «È una sfida epocale, sono grato al team e a me stesso per potermela giocare».Verstappen è carico in un altro modo, sembra avere una missione per conto di dio: scalzare il re dal trono. Dovrebbe avere il vento divino alle spalle come ogni giovane, ma la sua marcia d’avvicinamento è stata faticosa, accompagnata da sospetti. È tormentato dal potere della Mercedes, sa che le rivoluzioni si fanno giocando sui millesimi e sui millimetri, vede fantasmi dietro ogni alettone: «I controlli saranno sempre attuati, ma purtroppo continueranno a succedere cose strane». Però la pole è sua, la Red Bull è una freccia e allora prova a osservare l’infinito: «Questo duello passerà alla storia». Bella l’immagine in cui i due si stringono la mano dopo le prove, più da scherma che da boxe. Cinque chilometri d’asfalto col deserto attorno, 16 curve, 58 giri. Vince uno solo.
Matteo Salvini (Imagoeconomica)
La stazione di San Zenone al Lambro, dove il 30 agosto scorso un maliano ha stuprato una 18enne (Ansa)