2020-04-18
Stefania Giardoni: «Due mesi, tre ospedali, 9 tamponi. La mia odissea di perenne recidiva»
La donna è risultata positiva al Covid. Poi è guarita ma, solo pochi giorni dopo, di nuovo infetta: «La malattia può avere un decorso altalenante. Mi avevano detto: è l'ansia, una volta a casa starà benissimo. E invece...».Numero 208, padiglione Marchiafava, ospedale San Camillo di Roma. Stefania Giardoni risponde al telefono fendendo il silenzio della sua stanza con voce energica, sebbene da due mesi sia impegnata in una rocambolesca lotta contro il coronavirus. Risultata positiva ai primi tamponi, a distanza di un mese è stata dichiarata negativa e, solo pochi giorni dopo, di nuovo infetta. La struttura dove è attualmente ricoverata è la terza in ordine cronologico a ospitare la cinquantenne romana dopo la prima degenza allo Spallanzani, lo scorso 7 marzo, e il successivo trasferimento il 22 al centro Covid 3 di Casal Palocco. «Non mi disturba, qui non è che abbia granché da fare», scherza la cassiera rimasta senza lavoro alla fine di febbraio. «Se la sono fatta sotto pure quelli dell'ufficio piastre che ci attivavano il servizio televisivo a pagamento. Hanno chiuso. Quindi non posso neanche più seguire le trasmissioni. Meglio così: ho sentito tante di quelle sciocchezze nei talk show… Uscivano dalla bocca di tutti, esperti compresi».Lei che vive l'emergenza su un letto d'ospedale e non nei salotti tv,, che idea si è fatta?«Guardi, qui ho visto gente stremata, veramente all'osso. Spaventata, soprattutto. Hanno messo in campo questi giovani infermieri che entrano nelle stanze terrorizzati. Sembra una trincea».Come sta?«Insomma… Il virus è tornato alla carica. Ieri sera lamentavo dolori alla schiena, oltre alla tosse che da alcuni giorni era riapparsa. Stamane, mi hanno fatto le analisi ed è risultato che ho di nuovo i polmoni infiammati. Secondo i medici è normale, la malattia può avere un decorso altalenante. In più, c'è questa pressione alta che mi stanno curando».Che valori ha?«Mi sono svegliata con 95-150. Altina, per essere sotto l'effetto delle pastiglie. I dottori non capiscono se i due tamponi fatti a Casal Palocco fossero falsi negativi, oppure se sono recidiva. Io credo entrambe le cose».A quale terapia la stanno sottoponendo?«Mi hanno fatto un ciclo di idrossiclorochina, Plaquinil, per cinque giorni. Ma nella dose giusta, una compressa al mattino e una alla sera, non due al mattino come a Casal Palocco. Poi Zitromax e un altro farmaco per l'ipertensione».Mi racconti come ha avuto inizio la sua odissea.«I primi sintomi sono comparsi il 19 febbraio, avevo dei mal di testa persistenti per i quali prendevo la tachipirina. Il 23 è subentrato il raffreddore, tanto che coi miei colleghi scherzavo, essendo il mio contratto agli sgoccioli: “Guarda te se devo finire col lavoro e cominciare col coronavirus". Ancora la preoccupazione era minima. Una settimana dopo, sono arrivati i primi colpi di tosse senza febbre. Quando la temperatura è salita, anche se mai sopra i 37.4, sono andata dal mio medico di base. Mi ha rassicurata dalla finestra (non mi fidavo a entrare in sala d'attesa), suggerendomi di continuare con la tachipirina».Le cose quando sono peggiorate?«Nel pomeriggio del 7 marzo la situazione è degenerata: tosse continua, affanno respiratorio. Mi sono spaventata e sono andata allo Spallanzani. Dopo il controllo della saturazione, mi hanno ricoverata seduta stante. Poi, a mezzanotte, il tampone».Ricorda il livello di allerta in quei giorni?«Molto alto. Quando mi hanno fatto la tac ai polmoni, nel corridoio c'era un soldato dell'esercito con la radiolina per riferire sui miei spostamenti. Sono rimasta impressionata».Aveva avuto contatti con persone provenienti dalla zona rossa?«Non ufficialmente, ma il negozio dove lavoravo è vicino alla stazione Villa Bonelli, sulla Roma-Fiumicino. In quel periodo ho servito chiunque, e nessuna di noi cassiere indossava guanti o mascherine. Penso di avere contratto il virus maneggiando i soldi, ho il vizio di toccarmi sempre il viso, specie il naso».Perché dallo Spallanzani l'hanno trasferita a Casal Palocco?«I medici dicevano che la mia situazione non era più grave. Che dopo un inizio in cui avevano creduto di dovermi intubare, il mio corpo stava reagendo bene producendo gli anticorpi necessari e che, nonostante gli ultimi tamponi fossero positivi, a breve sarei diventata negativa. In effetti, seppur con l'aiuto dell'ossigeno, gli ultimi giorni stavo piuttosto bene».E poi?«Al centro Covid 3 hanno cominciato a farmi tamponi a raffica, quattro nell'arco di dieci giorni, somministrandomi idrossiclorochina con dosaggio probabilmente errato. Risultato: dal 30 marzo ho ricominciato a tossire e ad avere la pressione alle stelle. Lo stesso giorno mi hanno fatto il tampone e l'1 aprile un altro: entrambi negativi. Il 3 mi hanno dimessa, dopo tre sere che andavo sotto flebo per crisi ipertensive con 115 di minima. Di fronte alle mie perplessità, sa cos'hanno detto? “Signora, è l'ansia. Vedrà che, una volta a casa, starà benissimo"».Invece?«Due giorni dopo, avevo 115 di minima al mattino con perdita di sensibilità alle labbra e tremore alle palpebre. Il mio compagno mi ha portato di corsa qui al San Camillo. Mai avrei creduto di essere ancora positiva, pensavo fossero gli effetti collaterali della terapia».In due mesi, quanti tamponi le hanno fatto?«Nove, di cui solo due negativi».Il prossimo quando sarà?«19 aprile».Lei ha due figli e un compagno. Nessuno è stato contagiato?«Il figlio più piccolo, 23 anni, ha avuto tosse e febbretta parallelamente al mio ricovero allo Spallanzani. Dopo una strenua lotta con l'Asl, il 23 marzo sono venuti a fargli il tampone a casa. Non ci hanno mai dato gli esiti. Nel frattempo, ha perso il lavoro che aveva al call center».Quanto al suo compagno?«Solo un po' di raffreddore. Lui, per un infarto pregresso, è sotto terapia con la cardioaspirina. Ora dicono che gli anticoagulanti potrebbero essere utili a combattere il virus… Forse l'hanno salvato quelli».Ce l'ha con qualcuno?«Con le Asl, perché hanno abbandonato gli italiani dentro casa. Aspettano che le persone si aggravino tra quattro mura o che, nei casi più fortunati, smaltiscano il virus per poi tornare negativi. Medici di base che non rispondono al telefono, che si mettono in malattia facendosi sostituire da giovani impreparati. Tutto questo mi fa schifo».Si rimprovera qualcosa?«Sì, di non essermi messa in malattia anch'io, sapendo che il contratto era in scadenza e non sarebbe stato rinnovato. Invece ho fatto il mio dovere e questi sono i risultati».Qual è la prima cosa che farà quando uscirà?«Trovarmi un lavoro».Nel frattempo?«Prenderò la disoccupazione, 796 euro, e tireremo avanti con quella. A casa siamo tutti senza lavoro. Un figlio ha perso il posto, l'altro è parrucchiere titolare di un negozio, aveva appena cominciato a ingranare e ora è chiuso da quasi due mesi. Ha fatto domanda per i 600 euro: arriveranno? Chissà. In televisione, intanto, il governo si riempie la bocca. Se avesse pensato meno all'economia e più alla salute dei cittadini, forse sarebbe andata meglio. Non mi chiede come ci si sente a essere positivi?».Mi dica.«È una sensazione orribile. Sai di avere dentro di te un virus sconosciuto che ha già fatto migliaia di vittime. Quando ti comunicano che sei positivo, pensi subito alle persone con cui sei entrata in contatto, ai tuoi cari. Poi pensi a cosa sarà di te, se uscirai viva dall'ospedale. La cosa più brutta, però, è quando torni a casa, suoni il campanello dei vicini che ti hanno vista crescere per sapere come stanno, e nessuno ti apre la porta. Come se fossi un'appestata».