2023-06-16
Drupi: «Ho successo perché “suono” provinciale»
Giampiero Anelli in arte Drupi (Ansa)
Il cantante che non si è mai allontanato da Pavia: «Rifiutai una casa a Roma pagata, e nemmeno Mike Bongiorno mi convinse a prenderne una a Milano 2. Le mie canzoni “di paese” piacevano ai grandi show televisivi, molte sono diventate sigle finali».Giampiero Anelli, in arte Drupi, grazie soprattutto al talento ma anche al destino, dal 1974 ha raggiunto vasta popolarità e, riascoltando alcuni brani del suo repertorio, come Piccola e fragile, Sambariò, Soli, per ricordarne soltanto alcuni, ti ritrovi, attraverso la scatola magica della musica, a rivivere momenti belli o dimenticati degli anni Settanta, quando le radio italiane cicalavano «Hit parade! Dischi caldi, caldi, caldi!». La sua carriera prosegue, ma il vero grande successo dell’artista, è quello di non essersi mai lasciato irretire dalle sirene dell’audience a qualsiasi costo, e di restare fedele a sé stesso. Diffidente nei confronti d’ideologie e integralismi, non ha mai abbandonato Pavia, la città dov’è nato, nel 1947. Nel suo matrimonio mai nessuna crepa. Manco per idea rinuncerebbe agli amici della giovinezza, alla pesca, da sempre praticata nei fiumi pavesi, e ai capelli lunghi. Voce da blues, nei testi dei brani interpretati, si trova sempre lui. L’ultimo, Il gatto e il topolino, immagina la libertà di amore e amicizia, scevra dalle contaminazioni dei pregiudizi. Drupi non accetta compromessi ma ama l’Italia, ed è un uomo felice. Quando ha iniziato a portare i capelli lunghi?«Mah, io credo di esser già nato con i capelli lunghi (ride). Credo siano usciti prima i capelli e poi io. Io mi ricordo il dramma verso i 7-8 anni quando mia mamma mi portava dal barbiere e io non volevo. Dopo, da adolescente, fu proprio una scelta perché sentii i racconti sui nazisti venuti qua, tutti avevano la testa rasata». I suoi genitori si lamentarono di ciò?«Purtroppo mio papà non l’ho mai conosciuto perché è morto quando avevo un anno. E invece la mamma mi ha sempre detto “sarebbe ora che tu ti tagliassi i capelli”, sempre, fino a quando se n’è andata a 98 anni». Ha fratelli o sorelle? «No, figlio unico». La mamma ha dovuto lavorare? «Si è fatta un bel mazzo. Lavorava alla Viscosa, poi si licenziò per andare a fare la donna di servizio, doveva prendere il treno il mattino alle 6 e tornava alle 6 di sera». Nel 1968 lei aveva 21 anni. Come visse il periodo dei movimenti giovanili? «Abbastanza male perché erano i primi tempi che cercavo di far successo e quando andavo a Milano c’erano sempre manifestazioni, casini. Addirittura mi trovai a piazza Fontana mentre scoppiò la bomba, ero a 30-40 metri. Un’altra volta trovai la mia vecchia Volkswagen ribaltata che faceva barriera tra gli studenti e i poliziotti. E poi tutta quell’aria di violenza m’intristiva un po’». Ha sempre vissuto a Pavia?«Sempre, anche quando nei momenti più alti della carriera volevano darmi un appartamento a Roma, di andare a vivere lì non me la sentivo, lasciare il fiume, il naviglio, tutto il mio mondo insomma…».Abita in centro o in periferia?«Adesso sto in centro, in una casa con un bel giardino, mi trovo bene, mia moglie è contenta, siamo a tre passi dal fiume». Quando pensò di far diventare la passione di musica e canzoni una professione?«Quando vedevo i coetanei che suonavano su un palco, cuccavano da matti, e allora visto che amavo la musica ho pensato “perché non ci provo anch’io?”».A Sanremo 1973 presentò Vado via, che giunse ultima. Poi scalò le hit parade.«Nel 1973 avevo smesso di suonare perché dopo 7 anni di balere e night club non succedeva niente. Potevo imbarcarmi in qualche nave, ma non mi andava e tornai a fare l’idraulico, che fra l’altro mi piaceva. Mi chiamò un amico che suonava nelle balere, chiedendomi di cantare una canzone per un provino da presentare a Mia Martini, e io la cantai, era molto bella…».E quindi che successe?«Mimì ne era entusiasta, ma 15 giorni prima disse che non voleva più andare al festival. Allora la Ricordi disse “mandiamo questo qua”. Arrivai ultimo ma non fu la prima volta, successe ancora, però tutte le canzoni diventarono successi, chi sa come mai. Nel giro di 5-6 mesi vendette 9 milioni di dischi nel mondo. Poi ci furono 26-27 versioni, la cantò Cocciante, Dalida, ci provarono tutti, ma ebbe successo solo la mia».Se ne accorsero i francesi e gli inglesi. È vero che si trovò accanto a Paul McCartney alla Bbc? «Arrivai a Top of the pop, che all’epoca era una trasmissione come il nostro Disco ring, in una puntata cantai Vado via, Paul Mc-Cartney, che aveva appena lasciato i Beatles, Band on the run».Come ha origine il termine Sambariò? «Stavamo buttando giù questa canzone e c’era un barcone abbandonato sul Ticino, il nome era Samba a Rio, lo lessi e iniziammo a intonare, questa parola era così bella, con così tanti significati, che non l’abbiamo più lasciata». A Sanremo 1982 si piazzò terzo, con Soli, che divenne la sigla finale di Flash, ultimo telequiz in Rai di Mike Bongiorno. Lo conobbe Mike? «Sììì, ci conoscevamo prima di Soli, c’era una simpatia reciproca. Un giorno mi chiamò, “devo dirti una cosa”, voleva convincermi a prendere una casa a Milano 2, io risposi “no Mike, io sto a Pavia”. Mike, con tutte le sue stranezze, è stato una delle persone che ho amato di più. Dopo 2-3 anni lo incontrai, “buongiorno signor Mike!”, e lui “come, adesso mi dai del lei? Sono così invecchiato?” (imita la voce di Mike, ndr). L’ho amato per coerenza e schiettezza». Il suo brano, Paese, fu la sigla di Domenica in 1978-79. Sembra la sua storia.«Io sono così proprio, un ragazzone, adesso un omone diciamo, di paese, amo le mie origini, sono curioso di vedere il mondo ma amo tornare qua. Mi chiamavano per le sigle finali perché la loro atmosfera piaceva. Ricordo che ho fatto anche la sigla finale di Portobello, però è durata poco, 2-3 mesi a causa del fattaccio (l’arresto di Tortora, ndr), e poi si è interrotta».In quella canzone diceva «Paese ciao, come stai?». Come sta oggi l’Italia? «Sono ormai 40 anni che vado all’estero. Noi l’Italia la sputtaniamo sempre in casa e invece all’estero ci vedono meglio di come ci vediamo noi».Qual è il problema più urgente da risolvere nell’Italia di oggi?«Ci sono strati sociali che fanno fatica a mangiare e questo è grave».E il peggior difetto degli italiani?«Sa che io non ne trovo così tanti? Chiaro che siamo un po’ fanfaroni ma così ci siamo salvati un sacco di volte, forse siamo un po’ creduloni, arriva uno che ce la racconta e noi lo votiamo e dopo sei mesi ci accorgiamo che ci ha presi per il culo». E il loro maggior pregio, invece?«Credo la fantasia, il sapersela cavare in ogni situazione. All’estero vedo tutti inquadrati. Degli italiani amo questa positività innata». Nell’album Provincia, una canzone si chiedeva: «Questa gente che io guardo, ma chi è? […] Sarà felice oppure no?». Oggi, gli italiani sono più infelici rispetto agli anni Settanta?«Domanda da cento pistole. Negli anni 1970 eravamo sicuramente, forse apparentemente, più felici. Ci accontentavamo, o forse eravamo più giovani. Forse sarà felice anche un ventenne di adesso, ma alcune cose si sono perse…».Ad esempio?«Il rispetto, più contatto con le persone, potevi fare l’autostop senza aver problemi… Da ragazzino vivevo in una casa dove non c’era nemmeno la chiave». Come ha conosciuto sua moglie Dorina, un sodalizio anche artistico?«Dovevo fare Vado via, siccome c’era una parte corale importante, ho cercato un po’ di persone da portare a Sanremo. Dorina e sua sorella cantavano bene, e dopo scoppiò l’amore. Ci siamo conosciuti nel 1973, nel 74-75 iniziò la storia, ci siamo sposati nel 1990. Mai litigato, mai alzato la voce».Sposati in chiesa o in Comune?«In Comune». È credente o dubbioso?«Molto dubbioso, soprattutto dopo aver visitato Auschwitz. Perché Dio permette certe cose? Da bambino ho fatto il chierichetto, non sono un credente fervente ma nemmeno uno totalmente ateo. Sono in un limbo diciamo». Nel 1981 ricevette il premio «Il buon samaritano» per aver salvato due donne che stavano affogando. Come andò? «Era la fine del 1981, stavo andando a Milano per mettere giù Soli con i New Trolls, e lungo il Naviglio, all’altezza della Certosa di Pavia, vedo una macchina che galleggia trasportata dalla corrente, con due donne di una certa età arrampicate sopra, l’auto stava affondando e allora, era un’epoca che andavo a cavallo, lanciai un lazo che avevo in macchina, prima ne beccai una e poi l’altra e le trascinai a riva. Mi sono fermato io e poi un camionista, gli altri andavano…».Oggi le chiedono autografi o selfie?«Ormai chiedono quasi tutti selfie, gli autografi sono rarissimi. Accade soprattutto quando vado fuori dal mio quartiere, qui sanno tutto di me, dove abito, dove vado a bere un caffè. Però l’ultima volta le farmaciste mi hanno chiesto di fare le foto insieme». Vede ancora gli amici della giovinezza?«Assolutamente sì, è uno dei motivi per cui rimango a Pavia».È vero che ha detto di no alla richiesta di partecipare a reality?«Sì sì, l’ultima volta l’anno scorso, l’Isola dei famosi. No, grazie. Primo perché credo che la cosa più lontana dalla realtà siano i reality, tutti falsi, organizzati per fare audience, e poi la dignità a livello artistico innanzitutto, ma no, ma no… non se ne parla nemmeno. Di offerte me ne sono arrivate tante».Magari con offerte economiche rilevanti…«L’ultima era importante, ma non me ne frega niente». Come dovrebbe essere il suo giorno perfetto?«Ultimamente i giorni sono tutti perfetti per me. Mi alzo, ho vicina mia moglie che amo da morire, ho un piccolo studio in casa e se ho voglia di suonare suono, un fiume a 50 metri per andare a pescare, un sacco di amici. Il giorno perfetto è quando apri gli occhi e hai ancora dei sogni e questo mi sta succedendo tutti i giorni».
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)