2021-09-08
Draghi lo chiama e Xi alza la posta. Sulla via del G20 le scorie di Giuseppi
Giuseppe Conte e Xi Jinping (Ansa)
Ieri video colloquio tra il premier e il leader cinese in vista del summit sull'Afghanistan. Ma Pechino nicchia e mette sul tavolo gli impegni-capestro presi con Conte. Nuova gatta da pelare, vista l'ostilità di Washington.È un mare sempre più agitato quello in cui si trova a navigare la politica estera italiana. E a testimoniarlo sta non solo la problematica organizzazione del G20 straordinario sull'Afghanistan, ma anche la video chiamata, intercorsa ieri tra Mario Draghi e il presidente cinese Xi Jinping. Il quadro generale che va delineandosi non è infatti esente da problematicità.In primis, il G20 straordinario sembra ormai slittato a ottobre. Le stesse parole di Luigi Di Maio, pronunciate ieri al Senato, danno questo appuntamento come tutt'altro che imminente. «Abbiamo proposto la piattaforma del G20, più ampia e inclusiva, per affrontare le principali sfide del dossier afgano. Stiamo verificando condizioni, modalità e tempistiche per un vertice straordinario dedicato all'Afghanistan, che potrebbe essere preceduto da riunioni preparatorie dei ministri degli Esteri», ha dichiarato il capo della Farnesina. Tra l'altro, non è ancora neppure del tutto certo che il summit straordinario si terrà: un'eventualità infatti è che venga direttamente accorpato al G20 «ordinario», già previsto per il 30 e 31 ottobre a Roma.Ora, tutto ciò non costituisce esattamente una buona notizia per il nostro premier, che aveva spinto per tenere la riunione afgana al più presto (già verso la metà di settembre, secondo indiscrezioni circolate il mese scorso). Tale slittamento è pertanto doppiamente preoccupante. Da una parte, esso sembra mostrare una limitata influenza politica di Roma a livello internazionale. Dall'altra, va ricordato che alcuni Paesi rilevanti abbiano mostrato delle perplessità sul consesso. Se Pechino nei giorni scorsi aveva frequentemente nicchiato sulla questione, è anche assai plausibile ritenere che - dalle parti di Washington - questo G20 venga visto come un'indesiderabile occasione di rafforzamento per Cina e Russia. Quella stessa Russia che ieri ha preso polemicamente le distanze dalla riunione ministeriale prevista per oggi sull'Afghanistan. In secondo luogo, nella conversazione telefonica con Draghi, Xi ha detto di sperare che il G20 previsto a Roma per ottobre si fondi su un «vero multilateralismo», augurandosi inoltre che l'Italia promuova «lo sviluppo sano e stabile delle relazioni Cina-Ue». «La Cina continuerà a sostenere l'Italia nel suo ruolo in questo senso e sosterrà l'Italia nell'ospitare con successo il vertice del G20 di Roma», ha aggiunto il presidente cinese. Ora, è chiaro che queste parole abbiano un peso non indifferente. Non solo il riferimento al «vero multilateralismo» è una stoccata (neppur troppo velata) agli americani. Ma Xi ha anche approfittato della telefonata per chiedere al nostro premier di farsi promotore di più solidi rapporti tra Pechino e Bruxelles, aggiungendo di aspettarsi un coinvolgimento di Roma nella Belt and Road Initiative e auspicando un sostegno italiano alle Olimpiadi invernali di Pechino. Una serie di richieste che rischiano di mettere Draghi in una posizione scomoda. Non dimentichiamo infatti che, da quando è entrato in carica, l'attuale premier abbia impresso una decisa virata atlantista alla politica estera italiana, raffreddando significativamente le relazioni con la Cina (soprattutto rispetto ai tempi del governo Conte). Del resto, non è mai stato un mistero che Washington avesse gradito la nomina di Draghi.Il punto è che la crisi afgana ha cambiato drasticamente lo scenario, mettendo sotto stress le relazioni transatlantiche. È quindi chiaro che, davanti all'improvvisa porta in faccia di Joe Biden agli europei, Draghi abbia cercato di rivolgersi ai principali attori internazionali attualmente coinvolti in Afghanistan (a partire proprio da Cina e Russia). Tuttavia il rischio adesso è che gli americani inizino a guardare con sospetto a Palazzo Chigi.In tal senso, bisogna sottolineare non solo la questione del G20 straordinario, ma anche il forte avvicinamento dello stesso Draghi al presidente francese, Emmanuel Marcon: quel Macron che ultimamente è tornato ad orientarsi verso i concetti di difesa comune e autonomia strategica europea. Concetti, che dalle parti di Washington suscitano tradizionalmente non poca diffidenza. Tutto questo, senza dimenticare che vari esponenti del Partito repubblicano americano hanno invocato nei mesi scorsi un boicottaggio delle Olimpiadi di Pechino, mentre è arcinota l'avversione statunitense alla Belt and Road Initiative sul piano geopolitico.Insomma, non solo Xi ha mostrato di avere delle pretese significative in cambio del proprio ok al G20 afgano, ma potrebbe aver anche voluto appositamente mettere in imbarazzo l'atlantista Draghi davanti agli americani: un Draghi che in parte sconta i recenti rivolgimenti internazionali e in parte l'eredità filocinese del suo predecessore, Giuseppe Conte (a partire dal memorandum d'intesa sulla Belt and Road Initiative). La via che il premier deve imboccare è dunque stretta e rischiosa. Dovessero infatti incrinarsi i rapporti con Washington, la sua (eventuale) strada verso il Quirinale rischierebbe di farsi decisamente in salita. E la stessa politica estera italiana ne uscirebbe più vulnerabile davanti alla Cina.