2021-02-18
Il Draghi politico da Cavour a Keynes. Cantieri e lavoro senza Greta e sussidi
Il capo del governo ammette: «Mai così emozionato». Promette rimpatri e redistribuzione forzata dei migranti. Silenzio sul Mes.«Il tempo del potere può essere sprecato anche nella sola preoccupazione di conservarlo». Come ti liquido con una frase Giuseppe Conte, Rocco Casalino e l'immobilismo da palude del governo delle quattro sinistre. Silenzio fra i banchi di Pd e Movimento 5 stelle, forse non hanno capito. Mario Draghi non fatica a passare dal linguaggio tecnocratico a quello politico; basta sostituire i numeri con le perifrasi, essere un po' democristiano e toccare il cuore degli italiani passando dal cartiglio Perugina del predecessore a un grammo di vera commozione.È quella che gli incrina la voce al primo minuto (anche i tecnici hanno un'anima), alle 10 di mattina nell'Aula del Senato, quando si accorge che «non c'è mai stato nella mia lunga vita professionale un momento di emozione così intensa». Adesso è premier, ha davanti guelfi e ghibellini apparentemente pacificati; oggi per commissariarli li deve accontentare tutti facendo finta di non accontentare nessuno. Il suo è un discorso alto, per niente barocco - Conte partiva dall'enfasi di un Ettore Petrolini senza ironia -, ma sembra il menù di un matrimonio del Sud. Interminabile. Draghi tende a evitare tre equivoci. 1 Per lui l'unità che dovrà ispirare questa drammatica stagione «non è un'opzione, è un dovere». 2 Per lui il governo non è né di solidarietà, né di scopo, né dei responsabili. «Questo è semplicemente il governo del Paese, non ha bisogno di alcun aggettivo che lo definisca». 3 Per lui la Nuova ricostruzione dovrà somigliare a quella del secondo dopoguerra che mise le basi al miracolo economico. Allora per farla «collaborarono forze politiche ideologicamente lontane se non contrapposte. Sono convinto che anche a questa nessuno farà mancare il proprio apporto. La nostra missione è consegnare un Paese migliore e più giusto a figli e nipoti».Chiarite le premesse, nelle dieci cartelle con 5.600 parole tutto scorre come se Draghi avesse in mente il modello italiano da dieci anni. Sintesi estrema del suo esercizio di tecnocrazia keynesiana: meno tasse, più cantieri, più salute, più digitale, più opportunità per i giovani, più competitività, meno assistenzialismo, più atlantismo, meno vie della seta. E, sorpresa, meno trattato di Dublino e più rimpatri di immigrati non profughi. In serata, nella replica ai senatori, Draghi denuncia anche lo stallo politico sul principio di solidarietà e chiede un meccanismo obbligatorio di redistribuzione dei migranti pro quota. A sinistra la platea applaude a prescindere pur avendo fatto nell'ultimo decennio (in nove anni a palazzo Chigi) l'esatto contrario. Ci sarà da divertirsi.Draghi tocca il cuore di tenebra del dramma: snocciola dati sulla pandemia, mette in connessione dolore e speranza. Quando sbaglia il numero dei malati oggi in terapia intensiva («due milioni...») e l'Aula rumoreggia, c'è Giancarlo Giorgetti a correggerlo. Il proconsole leghista al suo fianco marca una presenza importante; i due si conoscono da tempo, il ministro varesino annuisce più volte mentre l'altro parla, dietro le mascherine di intuisce una sintonia non formale. Cinquanta minuti dura l'intervento, scandito da alcune parole ricorrenti: giovani, Next generation Eu, spirito repubblicano, cinque volte resilienza («come si dice oggi»). Inclusione non pervenuta, sarà un caso.In compenso sulla frontiera green una delle citazioni più forti è di papa Francesco (spiazzante, non Greta Thunberg): «Le tragedie naturali sono la risposta della Terra al nostro maltrattamento. Siamo stati noi a rovinare l'opera del Signore». Altri personaggi evocati sono Camillo Benso Conte di Cavour per il celeberrimo «Le riforme compiute a tempo invece di indebolire l'autorità, la rafforzano» e Bruno Visentini che ridisegnò il sistema tributario con Cesare Cosciani. Mezzo secolo dopo è arrivata l'ora di rimettere mano al fisco. Per far ripartire il Paese serve progettualità perché «uscire dalla pandemia non sarà come riaccendere la luce. La scienza e il buonsenso suggeriscono che potrebbe non essere così». Qui arriva una stilettata a Domenico Arcuri. «Non possiamo limitare le vaccinazioni all'interno di luoghi specifici, spesso ancora non pronti: abbiamo il dovere di renderle disponibili in tutte le strutture possibili, pubbliche e private». L'enfasi è churchilliana: basta primule, vaccineremo sulle spiagge, nelle case, nelle palestre, negli ospedali in Fiera a Milano. Il premier sembra avere le idee chiare su una sanità più territoriale (ospedali di comunità, consultori, centri di prossimità), ma anche sul ruolo dei medici di famiglia, troppo defilati nell'anno più cruciale. A loro ribadisce che «la casa come principale luogo di cura è oggi possibile con la telemedicina, con l'assistenza domiciliare integrata». Sull'Europa il premier ha un riflesso condizionato: vede la mamma. Però declina il concetto con intelligente Realpolitik: «Senza l'Italia non c'è Europa, ma fuori dall'Europa c'è meno Italia. Non c'è sovranità nella solitudine». Si può cambiare dal di dentro, se c'è la volontà. È curioso come il giornalista collettivo si impantani nel riflesso pavloviano della frase «la scelta dell'euro è irreversibile», rinfacciandola a Matteo Salvini. Nessun impero è mai caduto per propria scelta, semmai sotto le macerie provocate dai suoi errori strategici. Per dire, anche Romolo Augustolo era convinto che il sesterzio fosse irreversibile. Nonostante la rimozione collettiva è invece interessante cogliere ciò che Draghi non prende proprio in considerazione. Non cita mai il Mes, come se non gli interessasse (eppure il governo Conte era in bilico anche su quello). E nella galoppata etica dentro le priorità del Paese - parità di genere e di stipendio, nuove generazioni da recuperare - non si fila proprio il mondo arcobaleno Lgbt che fa battere il cuore al progressismo militante. Invece spinge sulla scuola «che deve recuperare le ore didattiche in presenza perse lo scorso anno». In aula sino a fine giugno? Sindacati, aderenze piddine, docenti e collettivi studenteschi sono in allarme. Nel commissariamento dei partiti c'è la sensazione che dall'agenda draghiana trapelino più problemi per Pd-5 stelle-Leu che per il centrodestra. Il Draghi-pensiero piove sugli scranni silenziosi. Applausi quanto basta, di pura cortesia tranne quando evoca «l'amore per l'Italia». I senatori sembrano studenti mentre il professore di latino spiega l'appena orecchiato Quintiliano. Che roba è? «Vogliamo lasciare un buon pianeta, non solo una buona moneta», è l'unico slogan che plana facile su un'assemblea al cloroformio. Un'altra parola ripetuta a raffica è «anni». Meglio ripassare fra 100 giorni.
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 12 settembre con Carlo Cambi
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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