2025-03-05
Dove l’ideale muore inizia la giungla: il furbo sciabola, lo scemo soccombe
Nella metropoli dei trapper e del libertarismo estremo torna la legge del più forte. Vince chi ha più soldi, chi ha le tasche vuote invece simula e si fa male. Una fiera delle vanità alla luce del sole e dei social.In questi tempi opachi, la parabola di Davide Lacerenza assurge a manifesto politico. La massima che lo regola è quella, celeberrima, a suo tempo espressa da Wanna Marchi: «I coglioni vanno inculati». Una versione leggermente più popolare di Friedrich Nietzsche, che testimonia la convinzione di essere al di là del bene e del male. Nella trasvalutazione di tutti i valori, il più forte - nello specifico il più ricco e il più furbo - trionfa, e impone a tutti la propria scala di priorità. Prima i soldi, poi ancora i soldi e insieme la fame, dopo ancora i soldi e un po’ (pare) di coca e mignotte. Ce n’è da fare invidia a un trapper. Siamo, qui, dalle parti del libertarismo estremo, ben oltre Elon Musk e i suoi sogni marziani. «I coglioni vanno inculati» significa che nella giungla solo il duro sopravvive e per gli altri nessuna pietà. Non è un giudizio, è un’evidenza illuminata dalle fluorescenze dei locali notturni: ciascuno è artefice del proprio destino e della propria disgrazia, se si vuole rovinare con le proprie mani è libero di farlo. Chi siamo noi per giudicare?La brutalità del concetto non è più di tanto stemperata dal lato materno della teleimbonitrice che Lacerenza - ex compagno di Stefania Nobile, figlia della Marchi - ha voluto celebrare dopo il Covid: «Stefania per me è come una sorella», disse in un’intervista (anche se poi lei, nei video sui social, non sembra felicissima se lui s’atteggia a marpione). «Quando ho perso mia mamma Stefania e Wanna mi sono state d’aiuto nel portare avanti il locale. Stefania si occupa della parte burocratica anche perché con la vita che faccio non riuscirei a fare tutto. Durante il lockdown cucinava sempre Wanna e mi preparava delle ottime polpette. Per me ormai sono come una famiglia». E poiché ogni famiglia è infelice a modo suo, ora la Nobile e Lacerenza condividono pure l’arresto e i domiciliari. Ma siamo certi che i guai giudiziari non li piegheranno, anzi è probabile che accrescano il loro prestigio, soprattutto nell’arena social in cui da tempo il padrone della Gintoneria di via Napo Torriani a Milano è accolto come un guru. Poco meno di 300.000 follower su Instagram, una invasione di reel sulle varie piattaforme, per lo più in compagnia di bottiglie molto costose e molto esibite: champagne, gin, tequila. Niente birra: sta scritto persino fuori dal locale ora chiuso. Tradotto significa: non c’è spazio per i pezzenti e per le esistenza da mediano, qui si va oltre, se non avete una vita strabordante vi tocca per lo meno di simularla.Accanto al marciapiede della Gintoneria sostano supercar rombanti e appariscenti. I social (privati) di Lacerenza sono un tripudio dionisiaco di feste, ubriachezza e sciabolate (lo champagne si apre così, con la lama, in memoria della virilità scomparsa). Con un filo di ironia che rende tutto più digeribile, soprattutto per tramite di personaggio quali Filippo Champagne, reso celebre da Giuseppe Cruciani alla Zanzara. Il paradosso è che, al netto della presunta disonestà dei commerci di droga e prostitute, è tutto di una cristallina onestà: nulla avviene di nascosto. Al contrario, tutto esiste soltanto in quanto è esibito e documentato sulla Rete. Lacerenza nelle interviste dichiara di consumare abitualmente cocaina, anche se meno di prima. Mostra l’ubriachezza e lo sperpero, le sue serate sono un Potlatch: sprechi rituali a lode di Mammona, padrone delle metropoli. Da Lacerenza ci si va apposta, sapendo che cosa si compra: il nulla. La fiera delle vanità è la promessa mantenuta dei suoi locali dove si spende per spendere. Non importa se si beva o mangi bene: importa esibire la bottiglia e il conto umiliante, prendere a schiaffi la miseria all’ombra delle cosce di qualche sedicente modella.In qualche modo, Lacerenza e socie sono il capitalismo senza veli. Si sono fatti (in vari sensi) da soli, e non importa se a spese di qualche coglione, che dopo tutto merita la sorte di cui sopra. Lacerenza trasportava cassette di frutta al mercato, si è placcato d’acciaio le ossa e rivestito di pelo il fegato facendo il cameriere nei locali, ha studiato lo champagne assaggiando dalle bottiglie che i clienti bene lasciavano sui tavoli. Quando è toccato a lui si è goduto il sole al neon della ribalta e dell’annessa ricchezza, chissà quanto fugace. Il suo sogno milanese l’ha raccontato in un’autobiografia del 2020 intitolata Vergine, single e milionario, e scoprite voi quale dei tre aggettivi gli corrisponda davvero ora che ha 60 anni. Probabilmente è tutto falso, ma che importa? Riecco Nietzsche e la legge attribuita al vecchio della montagna, capo della setta degli Assassini: «Nulla è vero, tutto è permesso». Nei paradisi artificiali di Lacerenza, tuttavia, l’hashish non ha spazio, roba da poveri.E il bello è che persino qualche povero, non appena ha un po’ di fresca in tasca, non vede l’ora di correre a spenderla ordinando un bicchiere di vino di cui probabilmente non sa giudicare la qualità. Anche se si è costruito dal nulla e con una certa fatica sostenuta da stupefacenti, Lacerenza offre successo effimero ma rapido. Si va nel suo regno a simulare e assaggiare ricchezza, e qualcuno esce spennato dalle notti in cui le cavalle (così pare che Lacerenza chiami le fanciulle) sono nere. Accadde qualche anno fa a un paio di incauti ragazzetti, lui operaio, che vollero trascorrere il San Valentino in un ristorante del nostro. Scelsero il menu a prezzo fisso, si fecero incantare da porzioni di gamberi rossi che credevano offerti, e invece si dovevano pagare. Il prezzo finale era insostenibile, i poveracci si rivolsero alle Iene. Per tutta risposta ottennero una lezione di vita dal Lacerenza che, con parole differenti, suonava più o meno così: i coglioni vanno inculati. E se voi vi sentite raggirati, significa che siete coglioni, quindi è colpa vostra.È una giustificazione ferina ma limpida: tutto è permesso, la morale va demolita e si ricostruisce a piacimento, nella selva oscura si entra volontariamente e all’ingresso è dichiarato che dentro vi siano predatori ringhiosi. Tutto sta nel capire perché ci sia tanta gente che, ampiamente edotta della situazione, abbia comunque voglia di farsi dissanguare. Ma di questa malattia che sfianca i corpi non si può certo incolpare la bestia famelica che ne approfitta.Escort e droga per i clienti affezionati, dicono le cronache e le carte giudiziarie. E c’è pure qualcuno che finge d’essere sorpreso? E poi: chi se ne importa? Questa in fondo è soltanto la legge degli uomini, non vale per chi è oltre la morale e le norme. Non vale per chi incarna la trasvalutazione dei valori e ne ricava un discreto seguito di popolo. La Gintoneria e il locale attiguo riapriranno prima o poi, tutto ricomincerà come prima, a prescindere dagli impicci legali. Droga e prostitute, e quale sarebbe il crimine: aver alimentato l’immaginario collettivo? Aver spolpato chi voleva farsi spolpare? Aver concesso lo stravizio a chi lo bramava e se l’è imposto da solo? I coglioni vanno inculati, Lacerenza ha fatto il giustiziere. Chissà come si trova ora nello scomodo scambio di ruoli.
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