2021-02-03
Dopo il Fico secco, arriva Draghi
Alcuni lettori (per l'esattezza due: uno da L'Aquila e l'altro da Reggio Emilia) ci accusano di critiche eccessive contro Matteo Renzi. Secondo loro, attacchiamo ingiustamente il leader di Italia viva, a cui invece andrebbe riconosciuto il merito di voler cambiare le cose, in primis il governo.Può darsi che in redazione ci si sia distratti e dunque non ci si sia resi conto dello sforzo titanico compiuto dall'ex presidente del Consiglio. Renzi ha messo in crisi la maggioranza, ritirando due ministre e tuttavia non ha avuto il coraggio di portare fino in fondo la sua sfida, ossia di votare contro Giuseppe Conte nell'aula del Senato, preferendo astenersi. Il risultato è che da due settimane stiamo assistendo a una manfrina che ancora nessuno, neppure gli stessi protagonisti, sa come si concluderà. Invece di far andare sotto l'esecutivo il 19 gennaio scorso, quando il premier si presentò a Palazzo Madama con numeri risicati, l'ex segretario del Pd ha consentito che si mettesse in scena quella invereconda caccia ai costruttori, che un tempo non troppo lontano lo stesso Renzi, e soprattutto i grillini, avrebbero chiamato con il loro nome, cioè voltagabbana. Risultato, abbiamo perso una settimana di tempo. Mentre le partite Iva, i commercianti e gli imprenditori aspettano i cosiddetti ristori, cioè un aiuto per evitare di dover dichiarare fallimento, la politica ha cincischiato con i Ciampolillo, i Tabacci, le Maria Rosaria Rossi. Qualcuno (forse i due lettori che ci hanno scritto) potrebbe obiettare che a girare in tondo senza risolvere nulla è stato Giuseppe Conte e non Renzi. Sì, ma il primo glielo ha consentito. E non lo ha fatto per buon cuore o perché si è convinto che l'avvocato di Volturara Appula sia il miglior capo del governo che ci sia capitato in dono, ma per calcolo, anzi per cinismo, in quanto se avesse votato contro il presidente del Consiglio, questi avrebbe dovuto dimettersi all'istante e si sarebbero aperte due sole strade: o l'incarico ad altro premier in grado di formare una maggioranza o le elezioni. Di sicuro, lo strappo non avrebbe potuto essere ricucito con facilità. Dunque, il senatore semplice di Scandicci ha preferito la mezza misura, cioè attaccare Conte, ma senza arrivare alle estreme conseguenze. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. Il premier ha provato a costruirsi un partito personale che si sostituisse a quello, anch'esso personale, di Renzi, ma l'opera è rimasta incompiuta, un po' come la Salerno-Reggio Calabria, e dunque alla fine Conte è stato costretto a dimettersi.Anche qui, sarebbe bastato che Renzi facesse capire che i giochi erano finiti e il capo dello Stato non avrebbe potuto fare altro che tirare le somme, ossia dichiarare conclusa anticipatamente la legislatura e annunciare nuove elezioni o incaricare un nuovo presidente. Invece, per il fondatore di Italia viva i giochi erano appena cominciati e lo si è visto in questi dieci giorni, con un tira e molla imbarazzante. A che cosa sono servite le consultazioni? E il tavolo aperto dal presidente della Camera Roberto Fico con i partiti della vecchia maggioranza? Forse a migliorare il Recovery Plan? Forse a sbloccare i ristori e a bloccare le cartelle esattoriali? No, sono serviti esclusivamente a discutere di poltrone. Cioè se togliere Alfonso Bonafede per far posto a un candidato del partito di Renzi, oppure se sostituire Conte con qualcuno che fosse non più capace, ma che facesse meno ombra al senatore semplice di Scandicci. Il quale, gliene va dato atto, in fatto di trame e di abilità politica si mangia tutti gli alleati, a cominciare proprio dal presidente del Consiglio per finire al segretario pro tempore del Pd. No, nessuno di noi nega che l'ex Rottamatore abbia talento, del resto la scalata al potere compiuta in pochi anni lo testimonia. Tuttavia, si tratta di capire a che cosa serva questo talento, se cioè a migliorare le condizioni del Paese o solo a gratificare l'ego e il portafogli del suddetto signore. Uno dei due lettori che si lamenta per le critiche a Renzi, scrive: ma che cosa ci importa se è andato a fare una conferenza a Riad? Aggiungendo: anche altri leader hanno stretto le mani del principe saudita. Certo, però gli altri non sono andati in Arabia per interesse personale, ma semmai a rappresentare un Paese. La differenza non è da poco, soprattutto per un politico che non perde occasione per parlare di vulnus democratico e che dà lezione ad altri per aver frequentato Trump o Orban. Ciò che colpisce di Renzi è l'uso spregiudicato del proprio ruolo, il cinismo con cui persegue i propri disegni personali, che nulla hanno a che fare con l'interesse del Paese. Come è noto, io non amo Conte, perché lo ritengo un presidente del Consiglio vanitoso e inconcludente (basti pensare a quante parole inutili sono state spese per Autostrade). Non ho stima neppure di Luigi Di Maio, che oltre a stringere le mani mi pare che in politica estera non abbia fatto altro. Né ho considerazione di Nicola Zingaretti, uno che si fa dettare la linea da Goffredo Bettini, il Richelieu del quartiere Prati, a Roma. No, nessuno dei protagonisti della ex maggioranza mi piace, ma non posso digerire neppure gli intrighi di Renzi. Se avesse voluto davvero il bene del Paese e non il suo, il segretario di Italia viva avrebbe messo subito le carte sul tavolo. E così non è stato. Oggi il presidente incontrerà Mario Draghi e molto probabilmente gli affiderà l'incarico di formare un nuovo governo. Ma che governo sarà? L'autorevolezza dell'ex governatore della Bce è nota, ma altrettanto nota è l'incompetenza degli esponenti politici su cui si dovrà reggere il nuovo esecutivo: una maggioranza multicolore. Con i grillini, il Pd, Leu, i volenterosi costruttori, Italia viva e qualche pezzo di centrodestra. Nel passato i governi istituzionali non hanno portato bene al Paese e non sono durati a lungo, basti ricordare Mario Monti. Vedremo che cosa accadrà questa volta.
Giancarlo Giorgetti (Ansa)
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