2019-09-10
Dopo 14 mesi Conte scopre la questione terremotati e la ricostruzione a rilento
Il premier fa la solita scontata promessa: «Velocità». Ma finora i commissari straordinari sono stati di Pd e M5s, due partiti che si occupano di sisma dal 2012.Sulla questione del centro Italia distrutto dal sisma il premier Giuseppe Conte, nella sua versione rinnovata, ha fatto capire di avere le idee chiare. Durante le consultazioni per la formazione del nuovo governo aveva incontrato una delegazione di terremotati e ieri, in aula lo ha confermato: sulla ricostruzione è davvero l'ora di dare una svolta. Serve imprimere una «accelerazione della ricostruzione delle aree terremotate» e adottare «una normativa organica che consenta di rendere più spedite le procedure, in particolare per la ricostruzione pubblica», ha ribadito, sicuro di sé durante il discorso alla Camera, chiedendo la fiducia al Parlamento. Insomma, basta con queste lungaggini e burocrazie che hanno soffocato il centro Italia quasi quanto le macerie, basta con le promesse vuote dei soliti politici. «La ricostruzione sarà una questione prioritaria di questo governo. Il mio primo impegno pubblico in Italia sarà proprio la visita ad alcuni Comuni colpiti dal sisma: incontrerò sindaci, rappresentanti delle istituzioni locali, semplici cittadini». Tutto giustissimo. Peccato solo per un particolare, non insignificante in questo drammatico frangente: non solo Conte succede a sé stesso e non ad un altro premier contro cui puntare il dito, ma nel lasciar affogare fino a ieri i terremotati nella loro disperazione il rinnovato premier non era affatto solo. Accanto a lui si sono succeduti ben due commissari straordinari al sisma, espressioni a loro volta dei partiti che formano il governo Pd-5 stelle che, oggi, Conte rappresenta. La prima, dopo la lunga egemonia di Vasco Errani (già commissario straordinario al sisma dell'Emilia Romagna ed espressione più radicata della tradizione democratica) era stata l'attuale ministro ai Trasporti e infrastrutture, Paola De Micheli, nominata Commissario straordinario alla ricostruzione nel settembre 2017 e rimasta in carica fino all'ottobre 2018. E dopo di lei era stato il turno del geologo Piero Farabollini, docente all'Università di Camerino e presidente dell'Ordine delle Marche, arrivato alla nomina grazie al pressing dei 5 stelle. A conti fatti insomma, pur in un valzer di cariche istituzionali che sulla realtà hanno ben poca presa, che il Pd e i 5 stelle (più il primo che il secondo per la verità) si occupano di terremoto è dal lontano 2012. Con risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Eppure lui, il nuovo premier, con la leggerezza di chi sta muovendo i primi passi, nel mondo contorto dell'amministrazione pubblica, ha fatto, ieri dalla Camera, la solita, ormai scontata promessa: velocità. Tanto, ma davvero tanto, simile a quella sottoscritta dal neonominato ministro alle Infrastrutture, la De Micheli appunto, che nel lontano ottobre 2017 appena salita alla carica di Commissario prometteva azioni concrete che «si possono riassumere in due punti: velocità per rifare opere pubbliche, scuole, chiese, case comunali e ospedali«, e la «riapertura dei tempi» per le casette realizzate dai terremotati per avere un tetto sicuro. Le cose cono andate diversamente. Secondo i dati più recenti in Abruzzo restano da rimuovere 60.557,19 tonnellate, nel Lazio ne restano 220.000 e nelle Marche ne rimangono 463.986,99. Coldiretti stima perdite al settore agricoltura da 600 milioni di euro, a cui fanno da contorno il crollo delle vendite dei prodotti coltivati e artigianali, le produzioni più che dimezzate e i danni alle strutture rurali che hanno provocato, secondo i dati dell'associazione perdite nelle sole «campagne marchigiane per 160 milioni di euro, in Umbria si è registrato un buco di quasi 295 milioni di euro, mentre nel Lazio sono stati bruciati 170 milioni di euro». E anche il futuro, nonostante le promesse non si preannuncia roseo. Il Pd, a quanto pare punta già a riprendere in mano la vicenda ricostruzione. Il presidente della Regione Marche, Luca Ceriscioli, avvallando l'idea che serve un «cambio di passo nella ricostruzione post sisma» ha già chiesto al premier Conte con una nota «la costituzione di una tavolo istituzionale per lo sviluppo delle aree terremotate» il ripristino dell'intesa con i presidenti di Regione e, soprattutto, di «nominare il presidente della Regione commissario per la ricostruzione». Per le Marche, in particolare, dunque, commissario straordinario diventerebbe Cerioscoli stesso mentre, guarda caso, anche nelle altre due regioni colpite dal sisma i presidenti sono tutti Pd (Nicola Zingaretti, presidente Regione Lazio e Catiuscia Marini, presidente regione Umbria). Oltre che di un ritorno di tutta la vicenda nelle mani del Pd la nomina automatica dei presidenti di Regione a commissari straordinari sarebbe un salto all'indietro all'epoca del terremoto emiliano (nella quale si successero Vasco Errani prima e Stefano Bonaccini successivamente) che già aveva dimostrato la sua inefficacia con un accavallarsi di ordinanze e di norme che aveva portato i terremotati esasperati a dichiarare: «La burocrazia uccide più del terremoto». La ricostruzione «non procede così speditamente come ci si aspettava, non riesco a spiegarmi perché ci siano ancora così poche domande, soprattutto per quanto concerne i danni lievi. Credo che sia il caso di ripensare ai modelli di ricostruzione anche per tutelare il patrimonio edilizio del nostro Paese», dichiarava un mese fa il capo Dipartimento della protezione civile, Angelo Borrelli, in visita nelle zone del sisma. Dopo quattordici mesi in cui, il premier del governo in carica era ancora Giuseppe Conte.