2022-11-12
        Maria Angela Distefano: «Lo Stato punisce chi si difende dai banditi»
    
 
        Il laboratorio di Nicolosi e, nel riquadro, Maria Angela Distefano e il marito Guido Gianni (Ansa)
    
Il grido disperato della moglie del gioielliere che sta scontando una pena a 12 anni di reclusione per l’uccisione di due rapinatori che irruppero nel suo negozio nel Catanese: «In cella a 300 chilometri da casa. Ho chiesto la grazia e raccolte quasi 80.000 firme».Maria Angela Distefano è la moglie di Guido Gianni, il gioielliere di 62 anni che dal 28 maggio scorso è chiuso in carcere a Palermo. La sua colpa? Aver reagito a una rapina da parte di un commando per difendere la moglie. Era il 18 febbraio 2008. Entrarono in tre quel giorno dentro la gioielleria di Nicolosi (Catania), paesino alle pendici dell’Etna. Un’attività che moglie e marito avevano messo in piedi e portavano avanti con tanto sacrificio. Maria Angela quel giorno venne strattonata per i capelli. Minacciata con una pistola alla tempia e al cuore. Nella colluttazione partirono dei colpi, due banditi morirono e uno rimase ferito. Condannato per duplice omicidio volontario e tentato omicidio volontario, la Cassazione - a 14 anni e tre mesi dal fatto - ha condannato Gianni a 12 anni e 4 mesi. Uno dei banditi inoltre risultò coinvolto nella operazione Squalo della Direzione distrettuale antimafia di Catania contro il clan Santapaola-Ercolano. Il 28 maggio scorso Gianni si è visto chiudere le porte del carcere alle spalle. La moglie è dilaniata dal dolore. Ha il volto rigato dai segni del pianto. La storia di suo marito è simile a quelle di Graziano Stacchio, Walter Onichini e tanti altri; padri di famiglia, lavoratori, che per difendere i loro cari, da vittime dei banditi diventano perseguitati della magistratura e vedono le loro vite distrutte.Signora, non le chiedo come sta suo marito. «È una tragedia. Non regge, lì dentro. Mio marito è una persona per bene. Non meritava questo. Quando lo vado a trovare, in quell’ora che ci concedono al sabato, piangiamo sempre. Dovevamo invecchiare insieme. Poi è a quasi 300 chilometri di distanza da me».Come 300 chilometri? «Sì. È rinchiuso all’Ucciardone di Palermo. Carcere tra i peggiori. Da qui, da Gravina di Catania, sono 240 chilometri. Ogni sabato per vederlo un’ora, faccio nove ore tra viaggio e tutto». Non si può trasferire?«Il mio legale ha fatto la richiesta di trasferimento il 7 luglio, ma nessuno ha risposto. Più altri tre solleciti mandando anche i certificati medici delle mie patologie. Ho un’insufficienza aortica. Più algodistrofia ossea degenerativa, ipertensione, ipotiroidismo, la glicemia alta e il fegato a pezzi».Avete presentato richiesta di grazia. «Sì a giugno scorso. Ma non so a che punto sia la pratica. Non so nemmeno se qualcuno l’abbia vista. Abbiamo anche attivato una raccolta firme su change.org».Quante ne avete raccolte? «78.650, non me l’aspettavo un consenso così ampio».Lo sente mai suo marito al telefono?«Sì dieci minuti il venerdì. Il tempo di dirci che ci amiamo. Per me lui è tutto. Ora anche la casa senza di lui sta andando a sfascio».Avete figli?«Sì quattro».Lei ora di cosa vive? «Con 618 euro di pensione, per me ogni sabato affrontare questo viaggio è un salasso».E le spese legali immagino a carico vostro. «Sì. Oltre 25.000 euro. Ora se arrivano quelle processuali non so come pagarle. I parenti delle vittime poi hanno chiesto il risarcimento».Questi entrano in casa armati e chiedono il risarcimento? «Sì». A quanto ammonta? «In primo grado avevano chiesto 200.000 euro. Ora diminuito». Lei di quel giorno cosa ricorda? «Io ero in gioielleria con mio marito. Lui era andato un momento nel retrobottega, quando entrò un ragazzo. Gli chiesi se per cortesia potesse chiudere la porta, dentro c’era un cliente e...».E? «Non feci in tempo a dirlo che entrarono altri due a volto coperto minacciandoci di ucciderci dicevano “l’ammazziamo, l’ammazziamo”… buttarono a terra il cliente e mi minacciarono con una pistola alla tempia. Mio marito sentì il trambusto, e sparò quattro colpi in aria. Mio marito disse: “prendete quello che volete ma non fateci del male”, ma niente. Lì i banditi mi presero e mi tirarono per i capelli. Uno di loro mi tirò un pugno…». Continui. «Due di loro aggredirono mio marito. Uno mi colpì con la pistola alla tempia, io caddi e persi i sensi. Mio marito mi credeva morta. Durante la colluttazione partirono dei colpi. Uno dei banditi morì lì e uno in ambulanza. Ma a questi chi ha detto di venire nella nostra gioielleria? Se non fossero venuti non sarebbe morto nessuno».Già. Ora cosa chiedete? «Mi rivolgo al neoministro Carlo Nordio. Ho pregato tanto perché andasse su la destra. La prego mi aiuti. Io non posso più vivere senza mio marito. Sono passati cinque mesi. Mancano altri 12 anni. Mio marito lì dentro non ha tutto questo tempo. È stato condannato per duplice omicidio volontario. Ma volontario di cosa? Noi ce li siamo ritrovati dentro la nostra gioielleria. Ho preso calci e pugni. Lui voleva proteggermi».Una sentenza che arriva dopo 14 anni tra l’altro.«Un processo iniziato otto anni dopo. Sono stati fatti degli errori. Delle inesattezze».Ci posso credere. «I colpi sono stati sparati dentro la gioielleria. Nessuno ha rincorso i banditi. Perché nessun giudice ha tenuto conto di questo? Danno i domiciliari a chi ammazza le persone per strada guidando da ubriaco. Almeno i domiciliari. L’importante è averlo vicino».Lei quanti anni ha?«Io 68. Eravamo una famiglia felice. Dopo la rapina un po’ alla volta ci eravamo risollevati. Non è stata una sentenza giusta. Hanno distrutto di nuovo le nostre vite».
        Leonardo Apache La Russa (Ansa)
    
Nessuna violenza sessuale, ma un rapporto consenziente». È stata archiviata l’indagine a carico di Leonardo Apache La Russa e l’amico Tommaso Gilardoni, entrambi 24enni, accusati di violenza sessuale da una di ventiduenne (ex compagna di scuola di La Russa jr e che si era risvegliata a casa sua).
        Nel riquadro, Howard Thomas Brady (IStock)