2020-07-10
Dietro la mossa di Mortadella il sogno del Quirinale
Si sono tanto odiati, ma adesso Romano Prodi è pronto a fare la pace. Per il fondatore dell'Ulivo, l'ingresso del leader di Forza Italia nella maggioranza giallorossa che sostiene Giuseppe Conte non sarebbe un tabù. «L'età porta saggezza», ha dichiarato in tv suscitando applausi nel Pd e una forte freddezza nella Lega. Certo, immaginare Prodi e Berlusconi sotto lo stesso tetto è difficile da mandare giù, perché per quanto il tempo aggiusti e a volte annebbi i ricordi, una cosa è certa: i due non si sono mai sopportati. La guerra tra l'ex presidente della Ue e l'ex presidente del Consiglio infatti attraversa due secoli. Tutto cominciò nel 1985, quando Bettino Craxi stava a Palazzo Chigi e il futuro leader della sinistra postcomunista era un boiardo di Stato, messo dalla Dc alla guida dell'Iri, il più grande carrozzone delle Partecipazioni statali. Un bel giorno, senza dire nulla al governo, Prodi si mise d'accordo con Carlo De Benedetti per vendergli la Sme, ossia tutto il comparto alimentare del gruppo, per una cifra inferiore a quella delle quotazioni di Borsa. Appena la notizia divenne pubblica scoppiò un putiferio e il primo a mettersi di mezzo fu proprio Berlusconi, che insieme a Barilla e Ferrero presentò una proposta alternativa a quella di De Benedetti. Nonostante l'Iri avesse già approvato la transazione con il futuro patron di Repubblica, Craxi bloccò l'operazione per decreto e la Sme rimase nelle mani dello Stato, che successivamente vendette tutto per un valore quattro volte superiore a quello pattuito con l'Ingegnere. Fu quella la prima volta che le strade dei due si incontrarono e si scontrarono. Ma non era che l'inizio perché, come fu evidente da subito, Prodi e Berlusconi stavano su sponde opposte. Il presidente dell'Iri militava nella squadra dei cattocomunisti, mentre il Cavaliere i cattocomunisti e anche i comunisti puri e semplici non li poteva vedere. Il destino volle che quasi dieci anni dopo i due si ritrovassero avversari. Questa volta non per questioni industriali, ma politiche. Berlusconi aveva già fatto la sua discesa in campo sbaragliando la gioiosa macchina da guerra di Achille Occhetto, ma le trame di Oscar Luigi Scalfaro, altro figlio di Maria e dei compagni, lo fecero cadere presto. Così, nel 1996 si ritrovarono entrambi candidati premier: uno per la Casa delle libertà, ma senza Lega perché Umberto Bossi aveva scelto di correre da solo, l'altro con l'armata brancaleone dell'Ulivo. Vinse il secondo e in tanti pronosticarono la rapida sparizione del Cavaliere, confinato all'opposizione e, secondo le aspettative, presto pure alle patrie galere. Invece finì che, di lì a poco, a cadere per mano di chi lo aveva voluto leader fu lo stesso Prodi, che venne sostituito da Massimo D'Alema, all'epoca segretario del Pds e, come oggi, grande costruttore di origami e di trame di potere. Per i Bibì e Bibò della politica sembrava finita un'epoca e invece, con gli anni Duemila, eccoli rispuntare: il Cavaliere a Palazzo Chigi, Mortadella (questo il suo soprannome) a Palazzo Berlaymont, sede della Commissione europea. Il destino sembrava averli allontanati, ma nel 2006, complici le elezioni in Italia, le strade tornarono a incrociarsi. Di nuovo in competizione, di nuovo candidati premier. In campagna elettorale volarono parole grosse. Prodi diede praticamente dell'ubriaco all'altro in diretta durante un confronto tv. Berlusconi replicò gratificandolo con il titolo di utile idiota della sinistra. Anche prima se l'erano tirate, ma da lì in poi le cose andarono peggio, per concludersi poi, dopo l'ennesimo capitombolo di Mortadella, costretto a dimettersi dalla sua stessa maggioranza, con un processo in cui il Cavaliere era accusato di aver comprato un senatore per fare uno sgambetto al governo di sinistra. Da allora è sempre stato uno scambio di battute al vetriolo, tipo quando Prodi disse che, per aver proposto una doppia moneta al posto dell'euro, il Cavaliere avrebbe dovuto sottoporsi a un trattamento sanitario. Sì, insomma, per almeno 35 anni si sono cordialmente detestati. E però poi ecco che a luglio del 2020, all'improvviso Prodi propone alla sinistra di archiviare il tabù di Berlusconi. Forse che il cattivissimo Prodi (la leggenda racconta che dietro l'aria bonaria e paciosa Mortadella sia una iena) con l'età è diventato buono? No, la verità è che, arrivato al tramonto delle 80 primavere, l'ex presidente dell'Iri vorrebbe coronare la sua carriera con la nomina a presidente della Repubblica. Sono anni che insegue il sogno. Nel 2013 quasi ce l'aveva fatta, al punto da tornare precipitosamente dall'Africa con un volo di fortuna, ma un centinaio di franchi tiratori dentro il suo partito, il Pd, affondò ogni speranza appena mise piede sul suolo italiano. Il cuore tornò a palpitare nel 2015, quando Napolitano, al suo secondo mandato, lasciò in anticipo, ma Matteo Renzi, artefice insieme a D'Alema del suo primo impallinamento, gli preferì il timido Mattarella. Adesso a Mortadella tocca sperare nel suo più caro nemico, Berlusconi, perché solo con i voti di un pezzo di centrodestra può pensare di farcela. Sempre naturalmente che l'attuale inquilino del Quirinale non faccia come il suo predecessore, e cioè punti al rinnovo. Ora la Salma sicula, come la chiama Dagospia, fa scrivere che la data di scadenza è lontana e che parlare di colui che erediterà il settennato è prematuro e si rischia di delegittimare il capo dello Stato. Ma, come si sa, le danze si aprono prima, mica all'ultimo. Prodi le sue le ha già cominciate. E forse anche lo stesso Mattarella. Del resto la matrice è la stessa: democristiani e di sinistra. Cattocomunisti. Costretti a sperare nel Cavaliere.