2024-09-08
Bomba Cheney: «Voterò Kamala» L’ex «torturatore» imbarazza i dem
Dick Cheney è stato vicepresidente degli Stati Uniti dal 2001 al 2009 sotto la presidenza Bush (Getty)
Kamala Harris si è detta «orgogliosa» dell’endorsement dell’anziano repubblicano. Eppure i leader dell’Asinello l’hanno sempre accusato di essere dietro al «sistema» Guantanamo. E può essere un boomerang a sinistra.Fermi tutti! Che Kamala Harris abbia una certa propensione al camaleontismo, non è più una novità: basta dare un’occhiata al considerevole numero di voltafaccia politici di cui si è resa protagonista (dal fracking al muro al confine col Messico, passando per il taglio dei fondi alla polizia). Stavolta, però, la candidata dem ha superato sé stessa: la sua campagna ha, infatti, detto di essere «orgogliosa» dell’endorsement arrivatole dall’ex vicepresidente americano, Dick Cheney, che ha detto di sostenere la Harris contro Donald Trump per difendere la Costituzione.Eppure, fino a pochi anni fa, il repubblicano Cheney era visceralmente detestato dal Partito democratico americano il quale, oltre a considerarlo l’oscuro architetto della guerra in Iraq, gli aveva addirittura dato del torturatore. È, del resto, sufficiente andare a vedere che cosa dicevano di lui i principali sponsor attuali della Harris: Nancy Pelosi, i Clinton e Barack Obama. Nel 2014, dopo che il Senato pubblicò un rapporto sulle torture commesse dalla Cia durante gli interrogatori, la Pelosi disse di ritenere Cheney il responsabile di quegli abusi. «Credo che durante l’amministrazione Bush-Cheney, il vicepresidente Cheney abbia impresso alla Cia un tono e un modo di comportarsi», dichiarò. Sempre nel 2014, Bill Clinton accusò l’ex vicepresidente di aver creato «il caos» in Iraq. Era invece il 2009, quando Obama prese le distanze da Cheney che aveva difeso l’uso del waterboarding, vale a dire l’annegamento simulato, durante gli interrogatori. «Credo che il waterboarding sia una tortura e, qualunque sia stata la motivazione legale utilizzata, è stato un errore», affermò. Non solo. Quando finì nella bufera nel 2013 sulla questione dei programmi di sorveglianza, l’allora presidente dem si irritò con quanti lo paragonarono a Cheney.E poi c’è la questione di Guantanamo: il controverso campo di prigionia di cui il vice di George W. Bush è sempre stato un deciso fautore. Nel 2008 Obama fece campagna elettorale promettendo di chiuderlo. Inoltre, secondo la Minnesota public radio, lo stesso vice della Harris, Tim Walz, nel 2009, da deputato, auspicò la chiusura di Guantanamo sostenendo che quella struttura fosse un ostacolo alla pace in Medio Oriente. Non si capisce, quindi, come adesso costui possa accettare senza batter ciglio l’endorsement di Cheney.E comunque, l’astio dell’Asinello verso il vice di Bush jr non si fermò qui. Nel 2007, l’allora deputato dem, Dennis Kucinich, introdusse alla Camera dei rappresentanti una risoluzione per metterlo sotto impeachment accusandolo, tra le altre cose, di aver manipolato l’intelligence per «ingannare il Congresso», inventandosi de facto le armi di distruzione di massa irachene. Quello stesso anno, il Brennan center - think tank progressista guidato già all’epoca dall’ex speechwriter di Clinton, Michael Waldman - sostenne che Cheney, da vicepresidente, stava indebitamente espandendo il potere esecutivo (a proposito di difesa della Costituzione).Dall’altra parte, non si capisce come lo stesso Cheney possa sostenere una candidata dem, Kamala Harris, favorevole all’accordo sul nucleare con l’Iran e corresponsabile del disastroso ritiro afgano del 2021. Sì, perché alla fine i due hanno in comune solo un paio di cose: l’essere stati i due vicepresidenti più impopolari della storia e, soprattutto, l’antitrumpismo. D’altronde, va capito. Dick non ha apprezzato il fatto che Trump abbia estromesso dal Partito repubblicano il suo circolo di potere. E deve pensare anche a sua figlia, Liz, visto che la Harris ha recentemente fatto sapere di voler nominare un repubblicano in una sua eventuale amministrazione.Insomma, la candidata dem è «orgogliosa» di aver ricevuto l’endorsement di uno che gli stessi democratici hanno per anni accusato di essere un torturatore, tendente all’abuso di potere. Tutto questo dimostra l’ipocrisia dell’establishment dell’Asinello e certifica l’ennesima giravolta dell’attuale vicepresidente: la presunta paladina del progressismo, che si vanta di ottenere l’appoggio di colui che ha strenuamente difeso Guantanamo. Tra l’altro, al di là della contraddizione in sé, l’effetto boomerang rischia di rivelarsi dietro l’angolo.Difficilmente l’endorsement di Cheney sposterà qualche voto a favore della Harris. L’ex vicepresidente e sua figlia non hanno alcun seguito elettorale degno di nota: nel 2022 Liz, alle primarie parlamentari del Wyoming, prese oltre 30 punti in meno della candidata trumpista Harriet Hageman. Forse non a caso, il tycoon ha bollato ieri l’ex vicepresidente repubblicano come «irrilevante». Dall’altra parte, la candidata dem deve fare attenzione: non è infatti escluso che l’endorsement di Cheney possa risultare sgradito ai vecchi sostenitori di Bernie Sanders. Una quota elettorale, questa, di cui la Harris ha assoluto bisogno se vuole conquistare Michigan e Wisconsin. Chissà, dunque, se, con questa nuova prova di camaleontismo opportunistico, la candidata dem non si sia in realtà data la zappa sui piedi.
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