
Il vicepremier grillino critica, senza nominarlo, il compagno di partito: «Non siamo mica al campo estivo». La replica: «Ce l'avevo con il leader leghista». Il quale, però, minimizza: «Con i pentastellati lavoro bene».Non siamo ancora al «Luigi stai sereno», ma il bombardamento di Alessandro Di Battista nei confronti di Luigi Di Maio somiglia moltissimo all'azione di logoramento che Matteo Renzi portò avanti contro Enrico Letta. Il capo politico ha preso malissimo il ri-ritorno in campo del «Dibba», e i fedelissimi di Di Maio hanno gioco facile nel giustificare le sue cannonate nei confronti del governo con il desiderio di rientrare in parlamento, e quindi di elezioni anticipate. «Di Battista vuole solo che si torni a votare per essere eletto», è il ritornello che ripetono i «governisti» del M5s. Ieri è stata un'altra giornata ad alta tensione per il M5s, con Di Maio e Di Battista a darsele di santa ragione mentre Roberto Fico, presidente della Camera, «pupillo» di Beppe Grillo e terzo vertice del triangolo pentastellato, non si lascia coinvolgere nello scontro interno.Su Facebook, ieri mattina, Di Maio ha scritto un lungo post con molti riferimenti, impliciti ma neanche tanto, a Di Battista: «Il M5s», sottolinea Di Maio, «sta governando da un anno la settima potenza mondiale e la seconda forza manifatturiera d'Europa: l'Italia. Ogni giorno, quando agiamo come forza politica, abbiamo la responsabilità di 60 milioni di italiani e spesso, esercitando il potere di veto, di 500 milioni di europei. Il Movimento ha deciso, dopo le elezioni europee, che io dovessi continuare a essere il capo politico. Da sempre ho incentrato il mio ruolo su un obiettivo: il M5s al governo per cambiare l'Italia. E così sarà».Di Maio passa poi a una sorta di arringa autodifensiva: «Il mio ruolo», scrive il vicepremier, «non è per niente semplice. Ogni volta che sono riuscito a far approvare una proposta di legge che poi, una volta legge, ci ha riempito di orgoglio, ho dovuto fare un accordo di maggioranza a un vertice di maggioranza. Mi sono seduto al tavolo per ore e per notti intere e ho contrattato ogni punto, visto che non abbiamo mai avuto una maggioranza autonoma. Ogni volta che abbiamo preso decisioni su leggi che hanno cambiato o cambieranno la vita a milioni di italiani», aggiunge Di Maio, «ho dato il massimo per trovare la quadra e ottenere il miglior risultato per i cittadini, nonostante le profonde differenze di vedute che c'erano all'interno del governo. Ho fatto solo il mio dovere, ma questo non vuole dire che sia stato semplice».Quindi, la stoccata a Di Battista: «Ma veniamo al dunque. Non mi interessa se in buona fede o in mala fede», attacca Di Maio, «ma se qualcuno in questa fase destabilizza il M5s con dichiarazioni, eventi, libri, destabilizza anche la capacità del Movimento di orientare le scelte di governo. Qui stiamo lavorando per il Paese, e questo non lo posso permettere. Abbiamo tutti una grande responsabilità. Sentiamola. Tra l'altro destabilizzare il governo in questo momento in cui il presidente del Consiglio sta portando avanti una trattativa difficilissima con l'Unione europea è da incoscienti», affonda i colpi Di Maio, «e questo lo dico sia al M5s che alla Lega. Non permetterò che né io né il M5s veniamo indeboliti da queste dinamiche. Ci mancherebbe altro. Ma è bene che tutti sappiano. Dobbiamo essere una testuggine, non un campo estivo! Stiamo governando la nazione Italia, non stiamo giocando a risiko. Si rimettano i carriarmatini nella scatola», chiosa il ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico, «e ognuno porti avanti il ruolo che è chiamato ad assolvere nella società: ministro, parlamentare, attivista, cittadino. Un ruolo non è migliore dell'altro, per quanto mi riguarda. Ma tutti devono essere rispettati e ognuno stia al proprio posto».Passano un paio d'ore, e Di Battista si materializza in tv e risponde per le rime a Di Maio. «Non dico che è tutto a posto», dice l'esponente del M5s a Mezz'ora in più, su Rai 3, a proposito del suo rapporto con il vicepremier: «Ci vedremo presto e chiariremo screzi e incomprensioni. Quando uno è arrabbiato, si chiarisce, lo chiamerò e ci vediamo. Tutto nasce», spiega Di Battista, «da un frase del mio libro in cui dico che qualcuno, visto poi i voti che abbiamo preso, ci ha visto troppo chiusi nei palazzi mentre c'era Salvini in giro a fare campagna come se lui fosse all'opposizione. E questo perché, aggiungo nel libro, noi siamo brave persone. Non credo minimamente», argomenta ancora Di Battista, rispondendo a Di Maio, «che l'azione del presidente del Consiglio, che sta portando avanti con grande dignità e capacità una trattativa per evitare la procedura di infrazione, possa essere destabilizzata da un libricino. Ne ho parlato anche con Davide Casaleggio e credo sia d'accordo anche Di Maio: noi realizzammo un'agenda di 20 punti ma un movimento ha bisogno continuamente di rigenerarsi e io immagino una nuova agenda». Di Battista, però, non si è limitato a smorzare i toni con il compagno di partito. Anzi, ha reindirizzato le accuse del vicepremier Di Maio su Salvini stesso: «È il ministro dell'Interno che convoca i sindacati al Viminale che destabilizza il governo». Immediata la replica del leader leghista, a Sky: «Coni 5 stelle sto lavorando bene, se c'è qualcuno che chiacchiera girando per il mondo, scrivendo libri a pagamento insultando il prossimo, gli auguro buona vita». Ma Di Battista ha provato anche a riaccendere il fuoco della polemica sulla Tav: «Io sono contrarissimo, non per posizione ideologica ma credo sia un'opera pubblica che costa tanti denari e non è utile. Sono convinto che Conte possa trovare una soluzione», precisa Di Battista, «e credo che occorra investire in altre opere, servirà una mobilità diversa e sostenibile». Dunque, Di Battista non fa sconti a Di Maio e all'ala governista del M5s, tirando dalla sua parte anche Davide Casaleggio. Una grana tutt'altro che trascurabile per il governo gialloblù.
Zohran Mamdani (Ansa)
Nella religione musulmana, la «taqiyya» è una menzogna rivolta agli infedeli per conquistare il potere. Il neosindaco di New York ne ha fatto buon uso, associandosi al mondo Lgbt che, pur incompatibile col suo credo, mina dall’interno la società occidentale.
Le «promesse da marinaio» sono impegni che non vengono mantenuti. Il detto nasce dalle numerose promesse fatte da marinai ad altrettanto numerose donne: «Sì, certo, sei l’unica donna della mia vita; Sì, certo, ti sposo», salvo poi salire su una nave e sparire all’orizzonte. Ma anche promesse di infiniti Rosari, voti di castità, almeno di non bestemmiare, perlomeno non troppo, fatte durante uragani, tempeste e fortunali in cambio della salvezza, per essere subito dimenticate appena il mare si cheta. Anche le promesse elettorali fanno parte di questa categoria, per esempio le promesse con cui si diventa sindaco.
Ecco #DimmiLaVerità del 10 novembre 2025. Il deputato di Sud chiama Nord Francesco Gallo ci parla del progetto del Ponte sullo Stretto e di elezioni regionali.
Donald Trump (Ansa)
La Corte Suprema degli Stati Uniti si appresta a pronunciarsi sulla legittimità di una parte dei dazi, che sono stati imposti da Donald Trump: si tratterà di una decisione dalla portata storica.
Al centro del contenzioso sono finite le tariffe che il presidente americano ha comminato ai sensi dell’International Emergency Economic Powers Act (Ieepa). In tal senso, la questione riguarda i dazi imposti per il traffico di fentanyl e quelli che l’inquilino della Casa Bianca ha battezzato ad aprile come “reciproci”. È infatti contro queste tariffe che hanno fatto ricorso alcune aziende e una dozzina di Stati. E, finora, i tribunali di grado inferiore hanno dato torto alla Casa Bianca. I vari casi sono quindi stati accorpati dalla Corte Suprema che, a settembre, ha deciso di valutarli. E così, mercoledì scorso, i togati hanno ospitato il dibattimento sulla questione tra gli avvocati delle parti. Adesso, si attende la decisione finale, che non è tuttavia chiaro quando sarà emessa: solitamente, la Corte Suprema impiega dai tre ai sei mesi dal dibattimento per pronunciarsi. Non è tuttavia escluso che, vista la delicatezza e l’urgenza del dossier in esame, possa stavolta accelerare i tempi.






