2023-04-25
Di Maio ora è una mina vagante per l’Italia
Mohamed Bin Salman e Luigi Di Maio
Il nuovo inviato europeo per il Golfo Persico ha già dato prova alla Farnesina dei danni che può arrecare al business tricolore, come con lo stop all’export di materiale militare ad Arabia ed Emirati. Ma se non tutelerà i nostri interessi, quali proteggerà allora?Lo scorso dicembre il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, era stato secco. «Niente di personale. Luigi Di Maio è la scelta del precedente governo, non del nostro». Lasciando intendere che, in caso di nomina dell’ex numero uno grillino a inviato speciale Ue per il Golfo, tutta la responsabilità se la sarebbe presa il capo della diplomazia europea, Josep Borrell. La nomina sarebbe dovuta essere imminente. Cinque mesi fa in lizza c’erano ancora l’ex ministro degli Esteri cipriota Markos Kyprianou, l’ex inviato dell’Onu in Libia, Jan Kubis, slovacco, e l’ex commissario europeo Dimitris Avramopoulos, greco, che sarebbe piaciuto anche all’attuale governo. Il condizionale è d’obbligo perché a novembre, il mese precedente alla presa di distanza di Tajani da Di Maio, nessuno alla Farnesina avrebbe fatto alcuna obiezione formale all’ordine della short list. Così a metà dicembre è scoppiato il Qatargate e il nome dell’ex commissario greco è finito nel tritacarne, vista la vicinanza con il gruppo di Panzeri & C. Nulla di più provvidenziale. L’inchiesta della Procura belga ha spazzato via il principale concorrente e ha permesso al nostro ex ministro degli Esteri di vincere la corsa. Da ieri è inviato speciale per il Golfo Persico e rappresenterà gli interessi energetici dell’Europa. Molto probabilmente non rappresenterà gli interessi del nostro Paese. E non solo perché ieri, a cose fatte, Tajani ha ribadito che non è «il nostro candidato», ma anche perché Di Maio per essere un politico senza alcuna formazione si è dimostrato estremamente capace a gestire tavoli molto delicati e fare blitz notturni segando il ramo su cui era seduto il business tricolore. Un esempio su tutti quanto accaduto a gennaio 2021. La Farnesina, allora guidata da Di Maio, decise di interrompere in modo unilaterale l’export di materiale militare verso Arabia Saudita ed Emirati Arabi. Le relazioni sono diventate in breve tempo così tese che, a giugno del 2021, un volo militare, con a bordo giornalisti diretti in Afghanistan per assistere all’ammaina bandiera della missione più longeva del secondo Dopo Guerra, non è potuto atterrare nella base che le nostre Forze armate utilizzavano per triangolare mezzi e uomini con Herat. La scelta di Di Maio ha effetti interni ed esterni. Nel primo caso si tratta chiaramente di un messaggio del mondo dalemiano a Matteo Renzi. Poche ore prima del provvedimento di stop all’export, il senatore semplice di Scandicci era in Arabia Saudita a celebrare gli investimenti miliardari del principe reggente, partecipando a una conferenza retribuita. La gaffe, per usare questo termine, viene colta al volo dai 5 stelle e soprattutto dall’intellighenzia che spesso li domina con l’intento di mettere il leader di Italia viva in fuori gioco. Insomma, scelta tutta di matrice locale. Che in un certo senso ha contribuito ad allargare le divergenze e alzare la tensione fino alla caduta del Conte bis. Forse non era il reale obiettivo. Ma per Di Maio l’arrivo di Mario Draghi è stato un ulteriore passaggio di grado. Il cambio di rotta diplomatico di quel gennaio 2021 ha avuto fortissime ripercussioni anche a livello europeo. Il mercato delle armi dei due principali Paesi del Golfo vale nel quinquennio oltre 58 miliardi di euro. Ad approfittarne sono stati innanzitutto i francesi. Nell’immediato con commesse da qualche miliardo e poi a fine del 2021 con un mega premio da 16 miliardi. Il giorno in cui il cdm ratificava il Trattato del Quirinale, il ministero della Difesa francese assieme ai vertici di Dassault firmava un contratto per 80 caccia Rafale. Alla faccia della Difesa comune. Non solo. A dicembre di due anni fa Parigi metteva la basi per gli accordi siglati la scorsa estate, quando oltre a un accordo bilaterale in materia di idrocarburi, Francia e Abu Dhabi si sono accordate su un ambizioso partenariato strategico globale per individuare progetti comuni in settori quali l’idrogeno, le energie rinnovabili e il nucleare, ma anche su una cooperazione rafforzata nei settori dei trasporti e del trattamento dei rifiuti. Tutte tematiche che riguarderanno l’agenda futura di Di Maio. Intervenendo al Manama Dialogue nel Bahrain, Ursula von der Leyen ha sottolineato che «la sicurezza del Golfo è importante per l’Europa, poiché la sicurezza dell’Europa è importante per il Golfo. Per questo», ha aggiunto, «nomineremo un rappresentante speciale nel Golfo. Uniamo le forze per la nostra sicurezza collettiva. Siamo di fronte a un’opportunità storica per costruire nuovi legami tra le nostre regioni», ha sentenziato. Una frase che ci riporta all’interrogativo iniziale. Chi tutelerà Di Maio? La Francia? L’asse franco-tedesco? Oppure altri equilibri? Due mesi fa il neo inviato è stato avvistato a Washington al «National Prayer Breakfast». A molti il nome dell’evento non dirà granché. Si tratta dell’espressione pubblica di una associazione molto elitaria legata al mondo delle congregazioni cattoliche. È un appuntamento a cui nemmeno i presidenti Usa possono dire «no». Circa 3.000 ospiti dal Senato, al Dipartimento di Stato. Solo 100 dall’estero. Quest’anno dopo il saluto introduttivo di Biden, al fianco del capo della Nasa Bill Nelson, spuntava il nostro Di Maio. Chissà con che altri biglietti da visita sarà tornato. Magari dentro c’era pure un endorsement extra comunitario.
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