Anche Deutsche bank inizia a tremare. Si rafforza lo spettro bolla immobiliare

Dopo il Credit Suisse, a mandare le Borse sull’orlo di una nuova crisi di nervi ieri è stato il colosso tedesco Deutsche bank, che è arrivato a perdere fino al 15% per poi limitare un po’ i danni sul finale ma trascinando al ribasso l’intero comparto. Il Dax di Francoforte ha ceduto l’1,6%, Milano il 2,2%, Parigi l’1,7%, Londra l’1,2 per cento.
La fibrillazione è scattata perché Deutsche bank ha annunciato il rimborso di 1,5 miliardi di dollari di bond subordinati Tier 2 con scadenza 2028. La banca aveva già emesso nuove obbligazioni simili a febbraio, destinate a sostituire quelle che ora sta rimborsando. Si sono inoltre impennati i credit default swap, i cosiddetti Cds, che hanno la funzione di trasferire il rischio di credito permettendo di coprirsi dall’eventuale insolvenza. Una sorta di assicurazione per gli obbligazionisti, che però ieri nel caso della banca tedesca sono schizzati oltre i 200 punti base, il massimo dall’inizio del 2019, dai 142 punti base di solo due giorni fa. Infine, a creare agitazione sui mercati ieri è stata la notizia di un’indagine del dipartimento di Giustizia Usa su alcune banche, tra cui Credit Suisse e la rivale Ubs che l’ha rilevata, per stabilire se i banchieri abbiano aiutato o meno gli oligarchi russi a eludere le sanzioni occidentali.
Al netto delle reazioni psicologiche dei mercati, in un momento di alta volatilità per i titoli bancari scossi dai riflessi del caso Svb e soprattutto del salvataggio «di sistema» affidato dal governo di Berna a Ubs, il caso tedesco è diverso da quello svizzero (anche perché Deutsche bank è vigilata dalla Bce) ma presenta anche alcuni punti in comune. Deutsche bank è sotto i riflettori da un po’ di tempo a questa parte, è passata attraverso varie ristrutturazioni e cambi di leadership nel tentativo di riportarla su una base solida, ma finora nessuno di questi sforzi sembra aver funzionato davvero. Le conseguenze dell’azzeramento delle obbligazioni At1 nel salvataggio del Credit Suisse hanno quindi sollevato interrogativi su una parte fondamentale del finanziamento delle banche, rendendo i problemi che Deutsche bank sta affrontando molto più difficili da superare.
Certo, il piano varato nel 2018 dal ceo Christian Sewing ha dato risultati, come dimostrano i numeri del 2022 chiusi con utile netto di 5,02 miliardi di euro, pari a un aumento del 159% su base annua. Ma a essere attenzionati da mercato e regolatori sono i prestiti a leva (leveraged loan) concessi dalle divisioni di investment banking, soprattutto nell’ambito di acquisizioni a debito da parte di private equity. Si tratta di un business redditizio ma rischioso su cui c’è stato un lungo confronto tra Bce e Deutsche bank, che non a caso da quest’anno dovrà aumentare il requisito aggiuntivo che si applica alle singole banche sulla base di adeguatezza del capitale, governance e gestione del rischio, liquidità e modello di business. «Deutsche bank è una banca molto redditizia, non c’è motivo di preoccuparsi», ha detto ieri il cancelliere tedesco Olaf Scholz che, prima di ricevere il testimone da Angela Merkel, era ministro delle Finanze.
Negli ultimi giorni la comunità dei fondi hedge ha aumentato le scommesse sulla caduta dei prezzi dei titoli bancari: gli investitori speculativi stanno, in sostanza, scommettendo su quali saranno i prossimi istituti a finire nella bufera. E i riflettori sono puntati soprattutto su quelli più esposti nel settore degli immobili commerciali. Per Deutsche bank lo stock di prestiti nel comparto rappresenta il 7% del portafoglio impieghi (parliamo di un controvalore di circa 33 miliardi). Non solo. La mossa congiunta di governo, Banca centrale e regolatore (la Finma) di azzerare 16 miliardi di bond At1 di Credit Suisse nell’ambito della fusione con Ubs mette alla prova il rapporto di fiducia tra emittenti e investitori. Va chiarito che i bond At1 non hanno formalmente una scadenza, tuttavia gli emittenti indicano delle finestre durante le quali i sottoscrittori hanno la possibilità di essere rimborsati alla pari. Ebbene, un’altra banca tedesca, la Deutsche pfandbriefbank, che finanzia progetti immobiliari e infrastrutture, ha comunicato giovedì che non intende esercitare la call, il richiamo previsto nel prospetto di emissione dei subordinati, per 300 milioni. Lo stesso è pronta a fare Aareal bank, altra tedesca specializzata nell’erogazione di credito per il settore immobiliare.
Già prima del crac della californiana Svb, era suonato un piccolo alert in casa del colosso americano, Blackstone, che una settimana prima aveva dichiarato default per 200 milioni su una nota obbligazionaria da circa 500 milioni garantita da un portafoglio di uffici e negozi finlandesi (detenuti dall’azienda Sponda oy). Dopo oltre dieci anni di tassi d’interesse intorno allo zero, i rialzi degli ultimi mesi da parte della Bce e dalla Fed scoraggiano gli acquisti e creano un divario tra domanda e offerta, il quale a sua volta genera pressione sui proprietari che spesso devono ripagare prestiti per il loro precedente acquisto.
Il tema del mattone non va sottovalutato. Secondo una stima di Goldman Sachs, le banche statunitensi di dimensioni minori rappresentano ben l’80% dei prestiti immobiliari commerciali. In America - e non solo - il settore soffre per il combinato disposto di tassi in crescita, che rendono oneroso l’accesso al credito, ma anche per il forte aumento di spazi non locati dopo la diffusione dello smart working. Il problema è che Deutsche bank è una delle banche europee più esposte al settore immobiliare Usa.





