
È sbagliato che i conservatori, come è successo ad Atreju, si definiscano per contrasto rispetto ai totem della sinistra. Ma è inutile sperare nell’approvazione degli avversari: meglio seguire la propria strada, mentre gli altri continuano a vedere fascisti ovunque.Chissà, forse ha davvero ragione Roberto Gressi che sul Corriere della Sera invita la destra italiana a liberarsi da una sindrome d’accerchiamento di cui ad Atreju si sarebbero manifestati con prepotenza i sintomi, così riassunti dall’editorialista: «Il nemico alle porte, l’assedio, l’invito ad attrezzarsi contro avversari che “ci colpiranno con ogni mezzo, anche non proprio legittimo” e un discorso, quello di Giorgia Meloni, che sceglie di parlare solo ai suoi, alla sua Compagnia dell’Anello». Sì, può darsi che la destra debba levarsi la maschera dell’underdog e cominciare a pensare in grande, a prendersi i suoi spazi senza doversi giustificare, a ribadire la propria cultura senza cedimenti o sudditanze, a esporre le proprie idee senza ogni volta tirare in ballo avversari di piccolo calibro, che si tratti di Roberto Saviano o di Chiara Ferragni. Dopo tutto, anche i nemici che ci scegliamo ci descrivono, e forse è meglio raccontarsi da soli che emergere per contrasto da paragoni al ribasso.Tuttavia, se di sindrome da accerchiamento dobbiamo proprio parlare, beh, sembra che ad esserne più colpita sia proprio la sinistra italica, la quale ancora oggi si risveglia ogni mattina in preda all’ansia immaginando forze oscure della reazione in agguato. La patologia emergeva con chiarezza dai numerosi editoriali che ieri la stampa progressista ha dedicato alla kermesse meloniana: articoli trasudanti invidia, disprezzo e perfino angoscia.Su Repubblica Ezio Mauro ha evocato per l’ennesima volta la «destra estrema», ha accusato la Meloni di vivere in una «dimensione anfibia, con un piede dentro lo Stato e uno fuori», e di fronte a intemerate di questo tipo risulta effettivamente complicato capire se ci siano o ci facciano, i nostri sinceri democratici. Sorvoliamo per un attimo sull’aspetto patologico della questione e proviamo a domandarci, liberi da pregiudizi: dove starebbe questo estremismo della destra di governo?A noi risulta, infatti, che l’attuale esecutivo sia più che saldamente collocato sul versante filoatlantico del complesso scacchiere geopolitico, cosa che per altro ha suscitato e suscita qualche malumore nel variegato universo della destra italiana. Non ci risulta che sul piano economico abbiamo ribaltato tavoli o stracciato impegni presi da chi lo ha preceduto. Non ci risulta nemmeno che abbia proceduto a chissà quali micidiali cambiamenti sul versante dei cosiddetti diritti civili che stanno (apparentemente) a cuore alla sinistra. Insomma, siamo di fronte a una compagine più che moderata, a cui per altro una destra un filo più robusta potrebbe muovere più di una critica.Persino sul versante simbolico la lontananza dal cosiddetto estremismo era chiaramente visibile ad Atreju: dei vecchi emblemi, delle antiche canzoni e degli slogan del passato non c’era traccia. Sopravviveva giusto il riferimento al Signore degli Anelli, ma non sembra che a qualcuno sia venuto in mente di rimpiangere i campi Hobbit. Tutto era avvolto dal blu neutro di Fratelli d’Italia, il nero non si trovava nemmeno a cercarlo con la più ferrea insistenza.Epperò - anche al cospetto di siffatta mutazione politica e antropologica - ogni volta ci tocca assistere alla reiterazione della lagna democratica sul ritorno del fascismo, sull’estremismo dilagante e sulla brutalità liberticida dei conservatori al potere. E ovviamente non manca - ad esempio nell’articolo di Mauro - il ritornello sui «conti ancora da fare» con il Ventennio e con il neofascismo.Trova conferma così ciò che abbiamo ripetutamente scritto in tempi non sospetti, e cioè che per i progressisti non c’è nulla che sia sufficiente, nulla che basti. Pure se un partito si ammorbidisce, si apre, si confronta con l’esterno, si mette in gioco al punto di lambire lo snaturamento, con mortifera puntualità arriva la rampogna sull’estremismo e il fascio di ritorno. Una rampogna che raggiunge punte assolute di ridicolo: venerdì, in una trasmissione televisiva, abbiamo sentito con le nostre orecchie la professoressa Nadia Urbinati sostenere che vi fossero tracce di fascismo addirittura nel tentativo di dialogare con la parte avversa e nel fatto che ad Atreju fossero stati invitati esponenti di sinistra. Esisterebbe quindi una sorta di inaccettabile «tolleranza fascista».Capite bene che, a questo punto, vale tutto: qualsiasi presa di posizione, qualsiasi atteggiamento esibito dalla destra può essere bollato di fascismo, deprecato e criminalizzato. Non v’è presa di distanza che tenga, non v’è cambiamento che sia accettato, non v’è evoluzione che sia gradita. Per i progressisti, la destra sarà buona soltanto nel giorno in cui si estinguerà. E proprio per questo sarebbe bene che la destra la smettesse di cercare l’approvazione altrui e proseguisse dritta per la sua strada, evitando di ammorbidirsi eccessivamente: se a sinistra vogliono l’estinzione, sarebbe carino non contribuire a realizzarla.
Leone XIV (Ansa)
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