2025-05-05
Davide Cassani: «Quest’anno il Giro non ha un padrone»
Davide Cassani (Getty Images)
Parla l’ex ct della Nazionale Davide Cassani, che commenterà la corsa rosa per la Rai: «Roglic parte favorito, ma senza troppe certezze. Duello tra lui e Ayuso? Non escludo sorprese, attenzione anche al nostro Tiberi».Il 9 maggio partirà il Giro d’Italia e anche quest’anno Davide Cassani sarà tra le voci che racconteranno la corsa rosa. L’ex corridore e ct della Nazionale analizza il percorso e le tappe di questa edizione, commenta l’assenza di un vero dominatore e riflette sul momento del ciclismo italiano.Che emozione dà vivere il Giro dalla postazione di commento?«Ho seguito più di 20 Giri con la Rai e quindi mi trovo a casa. È un onore e un orgoglio per me essere al Giro e raccontare quello che succede».Cosa pensa del percorso?«Il percorso, come sempre, è impegnativo e difficile. Ci sono due cronometro e le prime due settimane non sono particolarmente dure, a differenza dell’ultima, che come sempre sarà quella decisiva. Però bisogna vedere, perché, come si dice sempre, sono i corridori a fare la corsa».Quali tappe saranno decisive?«L’ultima tappa con il Colle delle Finestre e quella di San Valentino sono tra le più dure e potrebbero creare una selezione. Anche Castelnovo ne’ Monti, con il San Pellegrino in Alpe, è insidiosa, ma essendo a metà tappa potrebbe non essere decisiva. Nell’ultima settimana ci sono diverse tappe che, a seconda di come si sviluppa la corsa, potrebbero influenzare la classifica».La partenza sarà dall’Albania. Cosa ne pensa?«Non ci vedo nulla di male, anzi: è un’opportunità per far conoscere il Giro anche fuori dai confini italiani. L’internazionalizzazione è fondamentale, e tre tappe in Albania, come la partenza da Gerusalemme, fanno parte di un Made in Italy da valorizzare». E invece la passerella finale sarà dedicata alla memoria di papa Francesco, passando attraverso i Giardini Vaticani.«Gesto doveroso: è stato un grande Papa e merita un tributo così. Ha lasciato un segno profondo, non solo nella Chiesa. Personalmente, ho avuto la gioia e l’emozione di incontrarlo l’anno scorso in udienza privata, ed è stata una delle esperienze più belle della mia vita».Pogačar ed Evenepoel non ci saranno. Quanto pesano queste rinunce sul valore tecnico e sull’appeal mediatico della corsa?«È vero che Pogačar e Evenepoel fanno la differenza quando partecipano. Tuttavia, c’è un aspetto interessante: se l’anno scorso il vincitore sembrava già deciso, quest’anno c’è molta più incertezza. Certo, Roglič è il favorito, ma non trasmette le stesse certezze che aveva Pogačar l’anno scorso. Nonostante l’assenza di grandi campioni, il gruppo di partenti è forte, il che rende la corsa più interessante».Si parla di un duello Roglič-Ayuso. Sarà così o ci sarà spazio a sorprese?«Potrebbero esserci sorprese. Carapaz, le ultime volte ha ottenuto un primo e un secondo posto. Hindley ha vinto nel 2022, anche se quest’anno supporta Roglič. Landa, pur avendo sempre trovato un modo per non vincere, è comunque un ottimo corridore e quest’anno torna a lottare per la classifica dopo aver aiutato Evenepoel lo scorso anno. Non dimentichiamoci di Tiberi, che rappresenta la nostra speranza. Poi c’è l’incognita Ciccone, che finora non ha mai brillato in classifica al Giro, ma nel ciclismo non si può mai dire. Un piccolo spiraglio per vederlo davanti lo abbiamo».A proposito di Antonio Tiberi. Può ambire a un ruolo da leader nei grandi Giri?«L’anno scorso è stato molto bravo, è partito come capitano ed è riuscito a ottenere il quinto posto nonostante un inconveniente nella seconda tappa. Ora ha più esperienza e consapevolezza, avendo fatto terzo alla Tirreno-Adriatico. Con il supporto di una squadra solida e compagni esperti come Damiano Caruso, credo possa migliorare e puntare al podio del Giro».Ci sono altri talenti italiani emergenti?«Tutti parlano di Lorenzo Finn, vincitore del mondiale Juniores l’anno scorso e già protagonista tra gli under 23. Ma lasciamolo crescere con calma. Abbiamo anche Piganzoli, che ha ancora margini di miglioramento, e Pellizzari, che sarà al Giro a supporto di Roglič. Giulio, nell’immediato, può crescere e diventare un ottimo corridore».Qual è oggi il livello del ciclismo italiano?«Siamo lontani dai fasti di un tempo. Ci sono meno ragazzi e squadre, ma restiamo un movimento di riferimento. Quest’anno abbiamo visto buoni risultati con Ganna, Milan, Ciccone e Fortunato e la nostra posizione nel ranking è migliorata. Nonostante il dominio di pochi fenomeni, l’Italia è ancora competitiva e i giovani offrono segnali positivi».Mancano i fuoriclasse o un sistema più forte per farli emergere?«Abbiamo ottimi corridori, ma ci manca quel campione capace di affascinare le folle nelle grandi corse a tappe. È però fondamentale intervenire sul sistema, partendo dal basso. Il ciclismo è uno sport pericoloso, quindi dobbiamo investire su circuiti protetti e spazi sicuri per permettere ai bambini di avvicinarsi alla bici in sicurezza».A che punto siamo?«Purtroppo siamo ancora fermi. Continuiamo a piangere vittime sulle strade con oltre 3.000 morti ogni anno. È un problema che riguarda tutti, ma il ciclismo lo subisce in modo particolare. Le nostre strade sono sempre più pericolose, e anche se se ne parla da anni, la situazione non è affatto migliorata. Servono interventi concreti».Quanto è cambiato il ciclismo rispetto a quando era in sella?«Il ciclismo è cambiato, dai corridori alle squadre che sono diventate molto più organizzate, numerose e più riservate. Sono cambiate le bici, le strade, ma la fatica rimane sempre quella e sono rimaste intatte quelle emozioni che esistono da quando c’è il ciclismo».Pogačar, Van der Poel ed Evenepoel stanno ridefinendo il modo di correre. La entusiasma questo nuovo ciclismo?«Mi piace quando ci sono sfide vere, come quelle che abbiamo visto alla Milano-Sanremo, al Giro delle Fiandre o alla Parigi-Roubaix. Quando c’è competizione tra fuoriclasse è uno spettacolo e un piacere assoluto da vedere. È diverso, però, quando alla Liegi non c’è nessuno in grado di contrastare Pogačar».Ci sta il paragone Pogačar-Merckx?«Assolutamente sì, perché Pogačar vince come vinceva Merckx: con dominio, in ogni tipo di corsa. Poi, se riuscirà a vincere quanto Eddy è impossibile dirlo, ma per come corre e per ciò che ha già ottenuto, il confronto ci sta tutto. Anche io sono tra i primi a vederlo come l’erede più credibile del Cannibale».Ora conta più la tattica o c’è ancora spazio per istinto e fantasia?«Questi campioni dimostrano di essere forti e di non avere paura di niente e oltre alla forza, ci mettono anche la fantasia. Alla Liegi, per esempio, Pogačar ha detto che non avrebbe dovuto scattare alla Côte de la Redoute, ma quando ha visto che il suo avversario era più indietro, è partito».Un po’ come faceva Pantani. C’è qualcuno che glielo ricorda?«Attualmente non vedo nessuno che somigli a Pantani, perché lui era davvero unico, soprattutto per la sua fantasia. Quando vinse il Tour de France, nella prima cronometro arrivò 170°, ma poi riuscì a rimontare e a battere tutti».Qual è il ricordo personale che ha del Pirata?«Nel 1994, prima di un Giro, parlavo con Marco, che allora non era ancora famoso. Gli chiesi come stava e mi rispose: “Sto bene, ma se il Giro non va come dico io, vado a vendere piadine”. Poi vinse due tappe e arrivò secondo, e non andò mai a vendere piadine».La Nazionale ha davanti sfide importanti, tra Europei e Mondiali. Che prospettive vede?«Quest’anno il Mondiale sarà molto impegnativo e non partiamo tra i favoriti. Potremo provare a ottenere risultati su percorsi meno selettivi, sfruttando le carte Ganna e Milan. Negli ultimi due anni, le corse monumento sono state dominate quasi esclusivamente da Pogačar e Van der Poel. Una volta vincevamo i Mondiali perché eravamo protagonisti anche nelle grandi classiche».Sotto la sua guida, l’Italia ha ottenuto successi straordinari. Cosa ricorda di quei trionfi?«Sono state giornate indimenticabili ed emozionanti. I ragazzi hanno sempre corso in modo impeccabile, da squadra. Quando ha vinto Trentin, secondo e terzo sono arrivati Van Aert e Van der Poel; quando ha vinto Colbrelli, il secondo era Evenepoel; quando ha vinto Nizzolo abbiamo battuto ancora Van der Poel. E quando ha vinto Viviani, abbiamo corso in modo straordinario. Sono vittorie che mi hanno reso felice».Una domanda sul doping. Dopo anni difficili, il pubblico si fida di nuovo del ciclismo?«Penso di sì. Il ciclismo oggi è tra gli sport più controllati, con verifiche rigorose e una forte attenzione alla trasparenza da parte di squadre e sponsor. Dispiace che ci siamo presi tutte le colpe e pochi abbiano riconosciuto il lavoro fatto per ripulire questo sport. Mi dà fastidio chi insinua dubbi su Pogačar: è sempre stato un talento, ha vinto da junior e ha confermato il suo valore tra i pro. Ogni 50 anni nasce un fuoriclasse, come Phelps o Sinner: bisogna accettarlo senza sospetti».Nel 2010 fu il primo a sollevare il sospetto delle biciclette elettriche nel professionismo.«All’epoca chi parlava di bici truccate veniva deriso, ma io sapevo che potessero esistere e compromettere lo spettacolo del ciclismo. Oggi la tecnologia è molto avanzata, ma l’Uci controlla tutte le bici e non ho più dubbi su questo fronte».Cosa rende il Giro così diverso da tutte le altre corse?«È la corsa di tutti. Da bambino ricordo l’emozione di quando mio padre mi portava a bordo strada. Da commentatore ho capito ancora di più cosa porta il Giro nei territori: è una festa popolare, fa parte della nostra storia e cultura. Ha una magia unica: se ti metti in cima all’ultima salita di una tappa e vedi i corridori passare, dal primo all’ultimo, ognuno ti trasmette qualcosa di speciale».
Pedro Sánchez (Getty Images)
Alpini e Legionari francesi si addestrano all'uso di un drone (Esercito Italiano)
Oltre 100 militari si sono addestrati per 72 ore continuative nell'area montana compresa tra Artesina, Prato Nevoso e Frabosa, nel Cuneese.
Obiettivo dell'esercitazione l'accrescimento della capacità di operare congiuntamente e di svolgere attività tattiche specifiche dell'arma Genio in ambiente montano e in contesto di combattimento.
In particolare, i guastatori alpini del 32° e i genieri della Legione hanno operato per tre giorni in quota, sul filo dei 2000 metri, a temperature sotto lo zero termico, mettendo alla prova le proprie capacità di vivere, muoversi e combattere in montagna.
La «Joint Sapper» ha dato la possibilità ai militari italiani e francesi di condividere tecniche, tattiche e procedure, incrementando il livello di interoperabilità nel quadro della cooperazione internazionale, nella quale si inserisce la brigata da montagna italo-francese designata con l'acronimo inglese NSBNBC (Not Standing Bi-National Brigade Command).
La NSBNBC è un'unità multinazionale, non permanente ma subito impiegabile, basata sulla Brigata alpina Taurinense e sulla 27^ Brigata di fanteria da montagna francese, le cui componenti dell'arma Genio sono rispettivamente costituite dal 32° Reggimento di Fossano e dal 2° Régiment étranger du Génie.
È uno strumento flessibile, mobile, modulare ed espandibile, che può svolgere missioni in ambito Nazioni Unite, NATO e Unione Europea, potendo costituire anche la forza di schieramento iniziale di un contingente più ampio.
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