2025-04-13
«D’Alema archiviato». I giornali brindano ma «scordano» le frasi sulla corruzione certa
Massimo D'Alema (Imagoeconomica)
Nel decreto il gip scrive che per il pm gli elementi a carico di Max erano molti, però i cronisti citano solo i passaggi a lui favorevoli.La notizia dell’archiviazione di Massimo D’Alema (e di altri sette indagati) dall’accusa di corruzione internazionale aggravata è stata data ieri da quasi tutti i giornali. Ma il decreto di archiviazione è stato citato solo da tre quotidiani. Uno di questi è stata La Repubblica che, al contrario del Corriere della sera, è riuscita a nascondere la frase più significativa del documento del gip, ovvero come i pm abbiano, nella loro istanza di proscioglimento, sottolineato «la ricchezza di elementi dai quali poter desumere con estrema certezza l’esistenza di una trattativa sottesa da accordi corruttivi in fase avanzata».I colleghi hanno preferito non rovinare i festeggiamenti del politico: «D’Alema, anche in un’intervista a Repubblica, ha sempre escluso sia di aver preso parte alla trattativa (per la vendita di armamenti prodotti da Leonardo e Fincantieri al governo colombiano, ndr), sia di aver svolto un ruolo da «mediatore informale». Ipotesi di cui la Procura di Napoli sembra, invece, certa. Un affare da 4 miliardi di euro che avrebbe dovuto fruttare all’ex segretario del Pds e ai suoi sodali 80 milioni di euro di provvigioni.Ma le odiate «iene dattilografe», (così Baffino ha ribattezzato i giornalisti), dalle parti di Largo Fochetti non sono particolarmente affamate. A loro giudizio il succo del decreto di archiviazione era sostanzialmente questo: «La gip ha accolto la richiesta e disposto l’archiviazione condividendo la tesi dei pm e rilevando come alla base di ampia parte dello scenario investigativo ci fossero indiscrezioni e inchieste giornalistiche non sempre riscontrate dall’attività di indagine».Qui, in realtà, il giudice Rosaria Maria Aufieri fa riferimento alle conclusioni di una vecchia informativa della Digos di Napoli del 28 novembre 2022, elaborata sette mesi prima dell’acquisizione di una prova fondamentale, ovvero l’audio della conversazione tra D’Alema e l’ex paramilitare Edgar Ignacio Fierro Florez, condannato a 40 anni per crimini perpetrati nella guerra civile colombiana. Ma anche prima delle perquisizioni di quasi tutti i principali indagati. Infatti solo nel giugno del 2023 i poliziotti hanno bussato alla porta di D’Alema, dell’ex amministratore delegato di Leonardo Alessandro Profumo, del manager di Fincantieri Giuseppe Giordo, del ragioniere Gherardo Gardo, professionista di fiducia dell’ex premier. Addirittura Francesco Amato, il broker che aveva creato il contatto con la Colombia e in particolare con Fierro, è stato perquisito nel giugno del 2024 e ha reso interrogatorio, assistito dall’avvocato Donata Perrone, il 4 luglio dell’anno scorso.Insomma si trattava di una annotazione realizzata sulla base di dati incompleti, costruita quasi esclusivamente sul contenuto dei cellulari di un altro broker, Emanuele Caruso, della compagna Natalia, oltre che sull’esame dei telefonini di Paride Mazzotta e di suo padre Giancarlo, ossia il politico che aveva condotto i due mediatori alla corte di D’Alema. Eppure il gip ritiene doveroso dare conto, per «completezza espositiva», di questo atto interlocutorio.In cui, a ben vedere, la parte più interessante, non è, però, valorizzata e riguarda «i rapporti» dei D’Alema boys «con il mondo dell’informazione» e, in particolare, con un giornalista di Repubblica.Il 3 marzo 2022, appena scoppia il caso della compravendita di armi con la Colombia, D’Alema offre la sua versione «chiarificatrice» al quotidiano. Passano due giorni e l’ex premier commenta con Mazzotta un’indiscrezione che avrebbe saputo dallo stesso intervistatore: «Ora mi incazzo seriamente. Questo è il giornalista. lo gli ho parlato. Dice che Mulè (Giorgio, ex sottosegretario alla Difesa, ndr) gli ha detto di averti messo alla porta». Mazzotta registra un audio e lo spedisce all’inviato di Repubblica. Gli investigatori trascrivono il vocale e annotano che si tratta della «comunicazione trasmessa ai mass media». In effetti gran parte del contenuto del file viene pubblicato sotto forma di intervista sul quotidiano, con l’aggiunta di qualche domanda a spezzare il monologo. Ma lo «scoop», prima di andare in pagina, viene mandato «in visione a D’Alema».I poliziotti, dopo aver rimarcato «le interferenze politiche» e «le correnti lobbistiche» che avevano registrato in questa vicenda, chiedono ai pm di poter interrogare Mazzotta e attendono gli «sviluppi» che potrebbero arrivare dal «rintraccio» di Amato e quelli «conseguenti all’attività di rogatoria internazionale in itinere».Ma sia l’interrogatorio che le richieste inviate a Bogotà (il gip parla di «mancato riscontro - parziale - alle richieste rogatoriali internazionali») non daranno i frutti sperati. Un risultato non troppo inaspettato se si tiene conto degli ottimi rapporti personali tra il presidente colombiano Gustavo Petro e lo stesso D’Alema. Per esempio, nel 2016, il primo aveva pubblicato sull’allora Twitter (oggi X) la foto dell’incontro con il secondo, accompagnandola con questo commento: «Unendo le vie del progressismo».Nonostante Procura e giudice non ritengano sufficienti gli indizi raccolti per sostenere un processo, nell’informativa della Digos sono riportati alcuni messaggi che riguardano presunti scambi di denaro con pubblici ufficiali.Per esempio, il 17 gennaio 2022 il broker Amato chiede a Mazzotta denaro per organizzare gli appuntamenti dei manager di Fincantieri e Leonardo a Bogotà: «Tieni presente che se non escono i soldi non si possono confermare gli appuntamenti» scrive. Il 20 gennaio insiste: «Fai il bonifico di 6.000 por favor che quando si alzano già li abbiamo o dimmi qualcosa in concreto». Il tutto per evitare una «figuraccia». Passano poche ore e Amato torna alla carica: «Vedi come ti ho detto i 2.000 che mancano dei 7.000 […] che l’appuntamento è costato 19…». La riunione a gettone è molto probabilmente quella del 27 gennaio 2022 con i due capitani di fregata German Monroy Ramirez e Francisco Joya Prieto, delegati della Seconda commissione del Senato colombiano (quella che si occupa anche dei rifornimenti militari). Ma evidentemente questi scambi non sono stati ritenuti indizi sufficienti a contestare la corruzione internazionale.Fierro nella conversazione con D’Alema cita un generale che può «accelerare il processo di acquisto dei prodotti offerti da Leonardo» e, genericamente, «due funzionari che fanno parte della nostra squadra, che possono gestire tutto ciò di cui abbiamo bisogno e tutto ciò per cui ci siamo impegnati con Leonardo». Ma questi soggetti non sono stati individuati, anche, sembra, per la mancata collaborazione della Colombia.Nei decreti di perquisizione la Procura aveva individuato come pubblico ufficiale, oltre ai due capitani di fregata, anche Marta Lucia Ramirez, ex ministro degli Esteri e vicepresidente della Colombia. Ma Amato, nel suo interrogatorio, ha negato, come aveva già fatto con La Verità, ogni coinvolgimento della donna.