2025-02-02
Il lìder dei Palazzi affondato dal suo ego
Massimo D'Alema (Imagoeconomica)
Dopo aver silurato chiunque ostacolasse il suo cammino, Massimo D'Alema è diventato il primo presidente del Consiglio proveniente dal Pci. Famoso per il suo disprezzo per i giornali, puntava al Quirinale con l’appoggio di Silvio Berlusconi, che però decise di scaricarlo.Cognome e nome: D’Alema Massimo, diciamo (suo noto tic verbale). Aka - conosciuto anche come - Baffino. Sarcasmo da Rotterdam. Togliattino. Líder Máximo. Minimo (per il supplemento satirico Tango, che lui, direttore dell’Unità, provvide -forse anche per questo- a tumulare). L’«inaffondabile calamitoso», di «un’antipatia fulminante», per il giurista Franco Cordero.Giudizio mitigato da Gianni Agnelli: «Nessuno come D’Alema riesce a risultare antipatico in pubblico, quanto simpatico in privato».Due volte presidente del Consiglio, 1998-1999/1999-2000, primo (ex) comunista su quella poltrona. Dimessosi dopo la tranvata presa dai Ds alle regionali del 2000, una Waterloo immaginata come una Austerlitz.Ha puntato anche al Quirinale, ma la sponda con il «carissimo nemico» Silvio Berlusconi non ha funzionato.Il Cavaliere gli confessò che lui avrebbe voluto, i suoi elettori no, «considerandomi uno degli avversari più pericolosi. L’ho ringraziato, invitandolo a fare un’intervista per esporre tale concetto anche a qualche elettore, diciamo, di sinistra» ha rivelato al Corriere della Sera il 1° maggio 2013.Allergico alle espressioni «società civile» e «opinione pubblica»: «Da quando Eugenio Scalfari mi confidò con aria sprezzante: “Siccome sono i cittadini che comprano il giornale, io non lo faccio per i pastori sardi, ma per l’opinione pubblica”, mi sono fatto l’idea che sia una cosa che non mi piace».Alla guida dell’Unità per 4 anni (parte dei quali passati davanti al Pc, suo o di Fabrizio Rondolino, a giocare a Tetris), sulla sua corrispondenza di amorosi sensi con gli scriba della Casta stampata - «le iene dattilografe al servizio dell’imperialismo», immagine rubata a Iosif Stalin - si potrebbe riempire una pagina a parte. Basti qui evocare la chiusa della sua intervista a Lucia Annunziata, amica e «compagna», ritratta con lui su un palco dapprima in gioventù, con Fabio Mussi, Walter Veltroni e l’autorevole esponente del Pci Giorgio Amendola; quindi nel 1996 a festeggiare il trionfo dell’Ulivo vs Berlusconi: «Se devo dire qualcosa di importante, vado in tv. I giornali? Un segno di civiltà lasciarli in edicola» (Prima Comunicazione, 1995).. Saccente fin da piccolo, al punto da far esclamare al Migliore per antonomasia, Palmiro Togliatti: «Ma questo non è un bambino, è un nano!».Pasdaran del centralismo democratico, per cui negli incarichi si viene cooptati, lui incluso: convocato nel 1975 alle Botteghe Oscure, trova Enrico Berlinguer con Gerardo Chiaromonte e Ugo Pecchioli, «abbiamo deciso che sei il nuovo segretario della Fgci, come pensi di organizzare il lavoro?», e amen.Apparentemente - diciamo - affetto da una forma patologica di superiority complex (Sabrina Ferilli, 30 anni fa, ai tempi del duello tra lui e Walter-ego per la segreteria del PdS: «Mi piace D’Alema per quella sua tipica espressione da Ma annatevela tutti a pija’ nder cu...«), è un battutaro - «la sinistra è un male. Solo l’esistenza della destra lo rende tollerabile» - privo di autoironia: «Nessuno è obbligato a divertirsi quando è preso in giro, anzi personalmente m’incazzo». «Prigioniero della sua primordialità emotiva», l’ha psicanalizzato Claudio Velardi (uno dei suoi tre Lothar -causa crapa pelata- a Palazzo Chigi, gli altri due: Rondolino e Marco Minniti) nel libro Il Peggiore di Giuseppe Salvaggiulo, 2013.«Innamorato di sé stesso e delle sue sopraffine doti», campione di «tatticissimi giochi che non di rado lo hanno portato a inciampare nella palla» (Filippo Ceccarelli in Invano, 2018), Dalemix ha sempre mostrato un indubbio talento: la capacità di segare il ramo dell’albero su cui era seduto. A cominciare da quello dell’Ulivo. Vinte le elezioni del 1996, il centrosinistra si raduna a Gargonza, e lui che ti combina? Va al microfono e prende gli astanti a pesci in faccia. La politica è un ramo delle professioni intellettuali, quindi è «cosa nostra», dei politici che la masticano da sempre.Perché, sembra quasi di sentirlo scandire, «esistono solo i p-a-r-t-i-t-i, chiaro?». Anni dopo Romano Prodi ricorderà al Foglio: «Aveva paura che il governo dell’Ulivo potesse trasformarsi in un partito dell’Ulivo, e che gli sarebbe sfuggito il suo costante obiettivo: un esecutivo necessariamente guidato da un ex comunista».Il Professore e il Migliorino (deminutio appioppatagli da Edmondo Berselli) erano fatti per non intendersi. «Prodi e Veltroni? A Palazzo Chigi siedono due flaccidi imbroglioni». Frase mai pronunciata, s’inalberò. Come l’altra: «Gli articoli di Giampaolo Pansa si “bevono” dalla prima all’ultima riga. Peccato non capisca un cazzo di politica. Messo peggio di lui, in Italia, c’è solo Prodi». Claudio Rinaldi, direttore dell’Espresso, pubblicò la rettifica con un titolo perculante: «Una smentita al Massimo livello».Proprio Rinaldi traccerà, nel libro I Sinistrati, 2006, un bilancio impietoso delle sue «relazioni pericolose» con il Cavaliere, che ispireranno a Giampaolo Pansa la figura del mostro Dalemoni, affamato di «inciucio».Un tira-e-molla reciproco, all’insegna del catulliano odi et amo, da cui però a uscirne «cornuto e mazziato» sarà lui, non il sire di Arcore.Davanti al quale talvolta risultata perfino intimidito, tanto da far sbottare Nanni Moretti, nel film Aprile, mentre assisteva a un dibattito tv tra i due: «D’Alema, dì qualcosa di sinistra!».Rinaldi: «Sottovalutando Berlusconi, tentò la circonvenzione di incapace. Ma il presunto tale non lo era affatto, il principiante ci sapeva fare più di coloro che s’illudevano di aver imparato alla scuola comunista della Frattocchie tutti i trucchi dell’agitazione e della propaganda». Dal Berlusca ha comunque appreso a «sbrinare» la sua immagine, andando in tv.Esagerando nella deriva pop.Il 18 febbraio 1999 è superospite - da capo del governo- all’ultima puntata dello show di Gianni Morandi C’era un ragazzo, 10 milioni di telespettatori in prima serata su Rai1 (l’avesse fatto Silvio, sai i girotondi).Incontra Jovanotti e Bono Vox degli U2 per confrontarsi sul debito del Terzo Mondo.Nel 2001 fa chiudere la sua campagna elettorale a Gallipoli da un ingrifato Fabio Fazio, che al microfono certifica come la cittadina sia «diventata capitale d’Italia grazie al nostro candidato, il nostro mito, che è una rockstar, mandate l’effetto speciale perché questa luna la dobbiamo a luiiii!», e vai con la colonna sonora di Guerre Stellari.E il Pd? Il progetto l’aveva asfaltato già nel 1995, in un’intervista a Pierluigi Battista per la Stampa: «Non ho mai creduto all’idea di un indistinto Partito democratico in Italia». Quando poi, nel 2007, il Pd vedrà la luce, lui gli rimbocca la lapide: «Un amalgama non riuscito».Figuriamoci quando al Nazareno sbarca il Toscano del Grillo, «io so’ io etc», ossia Matteo Renzi, che proclama: «Hanno rottamato Ridge Forrester, il mascellone di Beautiful, figuriamoci se non possiamo fare lo stesso con Baffino». Ah sì?, ghigna lui: «Se c’è qualcuno che pensa che io sia un cane morto, credo si stia sbagliando. E se ne accorgerà». Sappiamo com’è finita (per entrambi).In verità, anche D’Alema è stato un rottamatore ante litteram. Ha affondato, alleato a Occhetto, la possibilità che Giorgio Napolitano diventasse segretario del Pci dopo Berlinguer, puntando su Alessandro Natta.Ha affondato, sempre con Occhetto, Natta, mentre questi era in ospedale per un malore. Ha affondato Occhetto («È morto! È morto! Come chi? Il papero!») e la sua «gioiosa macchina da guerra» - dopo la batosta rimediata alle politiche del 1994 contro Berlusconi - apostrofandolo soavemente: «Sei tecnicamente obsoleto».Ha affondato Prodi e il suo primo governo, prendendone il posto a Palazzo Chigi, dopo un presunto golpe che lo avrebbe visto complice di Francesco Cossiga e Franco Marini.Alla fine è affondato lui.Come una motovedetta da far approdare, che so, in Colombia, ma ritrovatasi in una tempesta.Con un Titanic-o urto contro un iceberg insormontabile: il suo ego. In cui l’illustrata abilità manovriera si è sposata a comprovate capacità divinatorie.1994. «È impensabile che Berlusconi entri in politica, deve occuparsi dei suoi debiti, stia fermo che è meglio, tanto prenderebbe pochi voti», definitivo come il mitico: «Figuriamoci se Mario Draghi vuole fare il presidente del consiglio, non ci pensa proprio» sentenza di Marco Travaglio in tv, cinque giorni prima del giuramento di Draghi al Colle.2007. Ottobre 2007, un mese dopo il vaffa-day di Beppe Grillo: «Alcuni giornali lo vedevano prossimo capo del governo, e dopo due settimane è già passato di moda», azzardando una previsione come un Piero Fassino qualsiasi («Grillo faccia un partito, vediamo quanti voti prende»). Perché D’Alema sia stato scambiato per decenni per «la Volpe del Tavoliere» (sfottò di Luigi Pintor, che sul Manifesto, quando era premier, insisterà: «Ogni volta che appare in tv, cioè ogni minuto e mezzo, somiglia sempre di più a Peppino De Filippo«) rimane, più che un enigma, un mistero.Un mistero Baffo, diciamo.
Renato Mazzoncini, ad di A2a (Imagoeconomica)
Il ministro dell'Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara (Ansa)