2020-12-20
Dal flop dei semafori ai capoluoghi blindati. Tutte le bestialità del dl ammazza Natale
Le aperture a singhiozzo dei negozi finiranno per creare resse. Ridicolo pure voler misurare il chilometraggio degli spostamenti.Il Natale multicolor fa letteralmente impazzire gli italiani. Da ieri mattina, ossia da quando, dopo una notte passata a decifrare i geroglifici del decreto anti coronavirus, famiglie, imprenditori e commercianti hanno capito che quelli in arrivo sono giorni di totale confusione, sui social, nelle strade, nei negozi, nei quartieri, si moltiplicano le proteste contro questa, è il caso di dirlo, pezza a colori che il governo di Giuseppe Conte ha scelto di mettere, tentando di coprire il proprio totale fallimento. Italia gialla fino al 23 dicembre, rossa il 24, 25, 26 e 27, arancione il 28, 29 e 30, di nuovo rossa il 31, l'1, 2, e 3 gennaio, poi arancione il 4, ancora rossa il 5 e il 6. Trattasi di meccanismo da mal di testa e soprattutto ad alto rischio boomerang. Analizziamo, ad esempio, il caso dei negozi non di prima necessità. Questi esercizi commerciali resteranno aperti fino al 23 e poi nei quattro giorni arancioni, mentre saranno chiusi nei giorni rossi. Certo, l'orario di apertura è prolungato fino alle 21, ma è prevedibile che nei giorni in cui resteranno aperti verranno presi d'assalto da chi ha la necessità di acquistare regali o semplicemente qualche capo per sé. Quello che è successo ieri in tutta Italia, da Roma a Milano, da Napoli a Torino, con assembramenti terrificanti nelle vie dello shopping, prese d'assalto da migliaia di persone in vista della chiusura della prossima settimana, è la conferma. Per non parlare dei bar e dei ristoranti, che nei giorni gialli, quindi da oggi al 23, potranno restare aperti fino alle 18, mentre saranno chiusi nei giorni arancioni e rossi. Chiunque abbia amici, familiari e conoscenti giovani, sa perfettamente che fin da ieri sera è iniziata la corsa a organizzare il tradizionale aperitivo della vigilia, anticipandolo al 23 dicembre. Vedrete: mercoledì prossimo i tg e i social saranno pieni di immagini di assembramenti provenienti da tutta Italia, con immancabile corredo di sermoni moralistici. La colpa, però, sarà tutta del governo e di questa folle strategia a colori alterni, che non fa altro che far concentrare acquisti e movida nei giorni consentiti. Il governo ha stanziato 645 milioni di euro, di cui 455 nel 2020, per ristori al 100% per ristoranti, bar, gelaterie e pasticcerie, che dovranno tenere abbassate le saracinesche nei giorni rossi e arancioni. Si tratta di briciole, come denunciano le associazioni di categoria: «Siamo alla vigilia delle festività più tristi della storia moderna», scrive in una nota la Federazione italiana pubblici esercizi-Confcommercio, «durante le quali i pubblici esercizi italiani, bar, ristoranti, pizzerie, pub discoteche, attività di catering, sono chiamati a raccogliere i cocci di attività disastrate, abbandonati al loro destino da un governo insensibile agli appelli e alle richieste della categoria. Le nuove limitazioni, infatti, incideranno pesantemente sui nostri già disastrati fatturati: abbiamo già perso oltre 33 miliardi su 86 complessivi (-38,38%) e gli annunciati ristori, in media 3.000 euro ad azienda, risultano inadeguati e insufficienti a compensare singolarmente i danni». Per comprendere la dimensione del problema, pensate che in Italia il solo pranzo di Natale produce per il settore della ristorazione, in periodi normali, un fatturato di circa 300 milioni di euro, la metà del totale dei ristori previsti dal governo. «Il decreto legge del governo», sottolinea il presidente di Confartigianato, Marco Granelli, «condiziona pesantemente l'attività di 285.000 imprese artigiane con 812.000 addetti che, proprio durante le festività natalizie, realizzano gran parte del loro fatturato. Tra i settori che risentiranno maggiormente delle restrizioni vi è quello dell'alimentazione», aggiunge Granelli, «in cui operano 86.500 imprese artigiane che danno lavoro a 276.000 addetti e che, dopo le perdite registrate durante il lockdown a Pasqua, ora subiscono un duro colpo. Tra le più penalizzate le 17.500 pasticcerie e gelaterie costrette alla chiusura prolungata insieme alle attività di ristorazione». Il dpcm del 3 novembre 2020 introdusse la famigerata tripartizione dell'Italia in zone rosse, arancioni e gialle, in base ai 21 parametri che avrebbero stabilito le fasce di rischio, con conseguenti restrizioni, per ciascuna Regione italiana. «Dobbiamo fare il possibile», disse Conte qualche giorno prima del varo del dpcm, «per proteggere salute ed economia e scongiurare un secondo lockdown generalizzato. Se a novembre rispetteremo le regole riusciremo a tenere la curva sotto controllo e allentare poi le misure per affrontare dicembre e Natale con maggiore serenità». Gli italiani le regole le hanno rispettate, il governo i suoi impegni no. Se Conte è stato costretto a varare provvedimenti omogenei per tutto il territorio nazionale, significa che questa tripartizione delle Regioni in diverse fasce di rischio non è servita a nulla. Del resto, gli allarmi degli scienziati e degli esperti si susseguono ora dopo ora. Lo stesso ministro della Salute, Roberto Speranza, illustrando alle Regioni i contenuti del decreto, ha spiegato che la tendenza è a un Rt in salita, al netto delle oscillazioni quotidiane verso l'alto o verso il basso. Dunque, si è perso tempo, almeno un mese e mezzo, e adesso il Natale è tutt'altro che sereno. Poi, chi abita in centri con meno di 5.000 abitanti si potrà spostare nel raggio di 30 chilometri ma non per raggiungere capoluoghi di provincia. Qui siamo alle barzellette: immaginate i carabinieri che fermano una persona e devono scoprire se ha percorso più o meno di 30 chilometri, magari interrogandola o controllando quanta benzina ha consumato. Non solo: non si può raggiungere il capoluogo di provincia, per evitare assembramenti, ma si può tranquillamente andare in un Comune molto più piccolo e quindi con spazi ridotti. Una follia.