2018-09-02
Crollo di Genova, tremano quattro governi
L'inchiesta sulla tragedia del ponte Morandi va avanti: i magistrati stanno stringendo il cerchio attorno a 20 nomi di sospettati. Si indaga sulla gestione degli ultimi cinque anni, vagliando l'operato dei tecnici al servizio di Mario Monti, Giovanni Letta, Matteo Renzi e Paolo Gentiloni.In questo week end gli investigatori della Guardia di finanza stanno completando l'elenco dei manager privati e dei dirigenti pubblici che negli ultimi cinque anni hanno avuto a che fare con la sicurezza del ponte Morandi, collassato lo scorso 14 agosto. Gli uomini del primo Gruppo delle Fiamme gialle di Genova, coordinati da Ivan Bixio, stanno ricostruendo in modo meticoloso nomi e funzioni di coloro che si sono seduti sulle poltrone chiave di Autostrade per l'Italia, Spea engineering (la controllata di Aspi che ha elaborato il progetto di retrofitting), provveditorato interregionale alle opere pubbliche di Piemonte, Valle d'Aosta e Liguria, Ispettorato territoriale e Direzione generale per la vigilanza sulle concessioni autostradali del ministero delle infrastrutture e trasporti (Mit). Una lista di circa 20-24 nomi leggermente meno corposa di quella dei manager a cui sono stati sequestrati cellulari e pc nei giorni scorsi, una trentina in tutto. La prossima settimana i pm Walter Cotugno e Massimo Terrile pescheranno in questo elenco per fare le iscrizioni sul registro degli indagati nell'ambito del procedimento aperto dopo il crollo del viadotto Morandi per omicidio colposo plurimo, disastro colposo e attentato alla sicurezza dei trasporti.Andando a ritroso nel tempo, gli investigatori stanno mettendo nella rete i dirigenti del Mit di quattro diversi governi: Gentiloni, Renzi, Letta e Monti.Come detto l'ufficio più attenzionato è la Direzione generale per la vigilanza sulle concessioni autostradali diretta da Vincenzo Cinelli. Prima di lui era seduto su quella stessa poltrona Mauro Coletta, già dirigente Anas poi passato al ministero con la riorganizzazione del 2012, quando (era l'1 ottobre) le attività di vigilanza sull'esecuzione dei lavori di costruzione delle opere date in concessione e di controllo della gestione delle autostrade, che erano in capo ad Anas, insieme al personale dell'ispettorato, sono stati trasferiti al Mit.Funzioni cruciali sono in capo anche al direttore della Prima divisione Bruno Santoro (Vigilanza Tecnica e operativa della rete autostradale in concessione) e a quello della quarta (Analisi e investimenti) Giovanni Proietti.Il responsabile dell'Ispettorato di Genova (uno dei più importanti con Roma, Bologna e Catania) è Carmine Testa, mentre al vertice del Provveditorato ligure c'è Roberto Ferrazza.Nell'elenco, però, la parte del leone la fanno i manager di Aspi. Figure centrali sono Paolo Berti, responsabile centrale delle operazioni, Michele Donferri, a capo dell'ufficio Manutenzione e interventi, il direttore del tronco di Genova Stefano Marigliano e il responsabile dell'Ufficio affari regolatori e concessori Amedeo Gagliardi. Per stilare un resoconto definitivo da consegnare in Procura i finanzieri sono in attesa di alcuni dati chiesti ad Autostrade sui vari avvicendamenti avvenuti nei posti strategici dell'azienda.Nell'inventario degli investigatori sono finiti anche i membri dell'ultimo consiglio d'amministrazione, da cui è passato, per l'approvazione, il progetto di miglioria del Morandi. Le figure di maggiore interesse del cda sono il presidente Fabio Cerchiai e l'amministratore delegato Giovanni Castellucci.Nella distinta compaiono pure i vertici della Spea Engineering, la controllata di Autostrade che ha realizzato il progetto e redatto report trimestrali sulla sicurezza: gli investigatori stanno studiando funzioni, comunicazioni e sms, dell'amministratore delegato Antonino Galatà, del responsabile del progetto Massimiliano Giacobbi e dell'autore del piano sicurezza, Massimo Bazzarelli. Per esempio bisognerà capire chi abbia deciso di non accogliere la proposta del Politecnico di Milano di installare immediatamente dei sensori sul ponte per monitorarne lo stato.Alla lista di 10-12 dirigenti che erano seduti sulle poltrone che contano e che potevano intervenire per evitare il crollo del viadotto bisogna aggiungere i nomi di coloro che li hanno preceduti negli ultimi cinque anni. Per esempio, il direttore del tronco di Genova Marigliano siede in quell'ufficio da un paio di anni e quindi sono oggetto di valutazione sia lui sia il suo predecessore.Facendo una stima prudenziale, si può arrivare facilmente a 20-24 «indagandi». Tutte figure con ruoli manageriali e tecnici. Infatti, al momento, sono escluse responsabilità di tipo politico.Ieri i Vigili del fuoco hanno fatto sgomberare otto famiglie che abitavano in un palazzo vicino al ponte, a causa di alcune lesioni nei muri. Le indagini hanno escluso manomissioni nelle telecamere di Autostrade (una ha subito un blackout) e cause diverse dal crollo strutturale: gli esperti hanno scartato anche l'ipotesi del fulmine (secondo i tecnici dell'Arpal la saetta più vicina vicina si è abbattuta a una distanza di oltre un chilometro dal Morandi) e l'esplosione delle taniche di acetilene.Chiudiamo con una buona notizia. Davide Capello, ex portiere del Cagliari, volato giù dal ponte e uscito miracolosamente illeso, ha iniziato la sua nuova attività di preparatore del settore giovanile del Genoa.
Il simulatore a telaio basculante di Amedeo Herlitzka (nel riquadro)
Gli anni Dieci del secolo XX segnarono un balzo in avanti all’alba della storia del volo. A pochi anni dal primo successo dei fratelli Wright, le macchine volanti erano diventate una sbalorditiva realtà. Erano gli anni dei circuiti aerei, dei raid, ma anche del primissimo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. L’Italia occupò sin da subito un posto di eccellenza nel campo, come dimostrò la guerra Italo-Turca del 1911-12 quando un pilota italiano compì il primo bombardamento aereo della storia in Libia.
Il rapido sviluppo dell’aviazione portò con sé la necessità di una crescente organizzazione, in particolare nella formazione dei piloti sul territorio italiano. Fino ai primi anni Dieci, le scuole di pilotaggio si trovavano soprattutto in Francia, patria dei principali costruttori aeronautici.
A partire dal primo decennio del nuovo secolo, l’industria dell’aviazione prese piede anche in Italia con svariate aziende che spesso costruivano su licenza estera. Torino fu il centro di riferimento anche per quanto riguardò la scuola piloti, che si formavano presso l’aeroporto di Mirafiori.
Soltanto tre anni erano passati dalla guerra Italo-Turca quando l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale, la prima guerra tecnologica in cui l’aviazione militare ebbe un ruolo primario. La necessità di una formazione migliore per i piloti divenne pressante, anche per il dato statistico che dimostrava come la maggior parte delle perdite tra gli aviatori fossero determinate più che dal fuoco nemico da incidenti, avarie e scarsa preparazione fisica. Per ridurre i pericoli di quest’ultimo aspetto, intervenne la scienza nel ramo della fisiologia. La svolta la fornì il professore triestino Amedeo Herlitzka, docente all’Università di Torino ed allievo del grande fisiologo Angelo Mosso.
Sua fu l’idea di sviluppare un’apparecchiatura che potesse preparare fisicamente i piloti a terra, simulando le condizioni estreme del volo. Nel 1917 il governo lo incarica di fondare il Centro Psicofisiologico per la selezione attitudinale dei piloti con sede nella città sabauda. Qui nascerà il primo simulatore di volo della storia, successivamente sviluppato in una versione più avanzata. Oltre al simulatore, il fisiologo triestino ideò la campana pneumatica, un apparecchio dotato di una pompa a depressione in grado di riprodurre le condizioni atmosferiche di un volo fino a 6.000 metri di quota.
Per quanto riguardava le capacità di reazione e orientamento del pilota in condizioni estreme, Herlitzka realizzò il simulatore Blériot (dal nome della marca di apparecchi costruita a Torino su licenza francese). L’apparecchio riproduceva la carlinga del monoplano Blériot XI, dove il candidato seduto ai comandi veniva stimolato soprattutto nel centro dell’equilibrio localizzato nell’orecchio interno. Per simulare le condizioni di volo a visibilità zero l’aspirante pilota veniva bendato e sottoposto a beccheggi e imbardate come nel volo reale. All’apparecchio poteva essere applicato un pannello luminoso dove un operatore accendeva lampadine che il candidato doveva indicare nel minor tempo possibile. Il secondo simulatore, detto a telaio basculante, era ancora più realistico in quanto poteva simulare movimenti di rotazione, i più difficili da controllare, ruotando attorno al proprio asse grazie ad uno speciale binario. In seguito alla stimolazione, il pilota doveva colpire un bersaglio puntando una matita su un foglio sottostante, prova che accertava la capacità di resistenza e controllo del futuro aviatore.
I simulatori di Amedeo Herlitzka sono oggi conservati presso il Museo delle Forze Armate 1914-45 di Montecchio Maggiore (Vicenza).
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