2022-01-21
Crisi sfiorata con Kiev e schiaffo in Senato: 24 ore choc per Biden
Il presidente Usa apre alla «piccola invasione» russa: sgomento diplomatico ucraino. Affossata la riforma elettorale cara ai dem.Mercoledì è stata l’ennesima giornata da dimenticare per Joe Biden: non solo si è messo ulteriormente nei guai con una conferenza stampa surreale, ma ha anche rimediato un nuovo schiaffo al Congresso, vedendo naufragare la riforma elettorale su cui aveva puntato tutto. Durante il punto stampa dedicato al primo anno di presidenza, l’inquilino della Casa Bianca ha esordito rivendicando «enormi successi». Tra l’inflazione al 7%, la frontiera ridotta a un colabrodo, l’Afghanistan in mano ai talebani e la crisi ucraina, non è esattamente chiaro dove veda tutti questi «enormi successi». Non sarà del resto un caso che, secondo un sondaggio dell’Ap, il presidente vanti oggi un tasso di disapprovazione del 56%. Ma è proprio sulla crisi ucraina che Biden ha lasciato di stucco. Il presidente ha infatti fatto capire che la Casa Bianca potrebbe considerare in fin dei conti accettabile una «piccola incursione» in Ucraina da parte dei russi. «La Russia sarà ritenuta responsabile se invade, e dipende da cosa fa. Una cosa è se si tratta di una piccola incursione, e poi finiamo per litigare su cosa fare e cosa non fare. Ma se davvero fanno quello che sono in grado di fare con le forze ammassate al confine, sarà un disastro per la Russia». L’ambiguità di queste parole ha scatenato l’ira dei repubblicani e l’irritazione di Kiev. Un’autentica frittata, che ha costretto la portavoce, Jen Psaki, a intervenire per cercare di gettare acqua sul fuoco. Il lapsus indebolisce la posizione di Washington nella crisi con Mosca, soprattutto alla luce del fatto che - come ipotizzato dal Nationl Interest e dall’Aei - il Cremlino probabilmente non punta tanto a un’invasione su larga scala, quanto semmai ad occupare la parte orientale dell’Ucraina. Non è chiaro se si tratti di un mero qui pro quo, ma, qualora dovesse realmente acconsentire a un simile scenario, Biden rischierebbe una crisi di credibilità paragonabile a quella esplosa dopo il disastro afgano. L’altro aspetto surreale della conferenza stampa ha invece riguardato la riforma elettorale, arenatasi in Senato. Biden si è innanzitutto lamentato dell’ostruzionismo dei repubblicani al Congresso. Legittimo da parte sua. Ma dovrebbe anche ricordare che, quando era in minoranza al Senato ai tempi di Trump, il suo partito ha fatto numerose volte le barricate su un imprecisato numero di questioni. Non solo: il presidente ha lasciato anche intendere che, in assenza della riforma elettorale dem, le prossime elezioni di metà mandato potrebbero rivelarsi «illegittime». «L’aumento della prospettiva che siano illegittime», ha detto, «è direttamente proporzionale al fatto che non siamo in grado di approvare queste riforme». Tradotto: se la legge elettorale naufragherà definitivamente e - come suggeriscono i sondaggi - il Partito repubblicano dovesse ottenere buoni risultati alle elezioni di metà mandato, quelle stesse elezioni potrebbero essere considerate «illegittime» dai dem. Ma non era Trump quello che delegittimava le vittorie elettorali degli avversari? E pazienza se, per quasi quattro anni, l’Asinello ha infondatamente sostenuto che Trump stesso fosse arrivato alla Casa Bianca grazie a una «collusione» con il Cremlino. Oggi, con le dichiarazioni di Biden, assistiamo a un salto di qualità: la delegittimazione preventiva. Del resto, è comprensibile che il presidente stia mettendo le mani avanti. Sempre mercoledì, il suo partito ha infatti incassato una dura sconfitta in Senato sul filibuster: strumento parlamentare attraverso cui, alla camera alta, il partito di opposizione può richiedere che, anziché a maggioranza semplice, un disegno di legge venga approvato con un quorum di 60 voti. Non dimentichiamo che il Senato è oggi spaccato in due, con 50 seggi ai dem e 50 ai repubblicani: ragion per cui, proprio i repubblicani hanno fatto ricorso al filibuster per bloccare la riforma elettorale dell’Asinello (una riforma che, secondo i critici, rende quasi impossibile richiedere agli elettori di produrre documenti identificativi con foto). Ebbene, anziché redigere un disegno di legge meno divisivo, la leadership dem - aizzata dall’ala sinistra del partito - ha direttamente cercato di abrogare il filibuster. Peccato che due senatori dell’Asinello, Kyrsten Sinema e Joe Manchin, si sono rifiutati di intraprendere questa strada, paventando una politicizzazione delle regole parlamentari. Risultato: nella votazione di mercoledì per abolire il filibuster, i dem si sono ritrovati in minoranza con soli 48 voti, vedendo così naufragare ancora una volta la loro riforma elettorale. Insomma, una giornata nera per Biden. Una giornata nera che ha messo in ombra addirittura la batosta rimediata da Trump alla Corte Suprema, la quale - sempre mercoledì - lo ha obbligato a consegnare i propri documenti alla commissione parlamentare d’inchiesta sull’irruzione in Campidoglio. Insomma: chi ancora pensa che i guai di Trump possano resuscitare politicamente Biden, si sbaglia di grosso.
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