2022-07-24
«Creo costumi per donne di ogni età e taglia»
Jerry Tommolini, il fondatore di Pin Up Stars, il celebre brand di beachwear: «Vent’anni fa una cinquantenne si vestiva da signora. Oggi, invece, si sente giovane e si ispira alle ventenni. Coi miei capi accontento tutte. Se mi passa per la testa qualcosa non ho paura di provare».Tifo da stadio, ma non era una partita di calcio, bensì una sfilata: 800 persone sono arrivate ad applaudire al Dall’Ara di Bologna la collezione di costumi da bagno, e non solo, di Pin Up Stars, brand fondato nel 1995 da un vulcanico Jerry Tommolini, americano di Philadelphia, genitori italiani con i quali è tornato in Italia a sedici anni. 105 le uscite, 35 le indossatrici. «Le mie sfilate portano fortuna», dice lo stilista imprenditore, ricordando che per Belen fu la prima passerella. Questa volta, in un gioco inebriante di luci e musica techno, hanno sfilato Sasha Sabbioni con la madre Natasha Stefanenko e tante altre. Uno show completamente diverso dall’anno scorso, come è nella filosofia del marchio, che aveva visto protagonista Orietta Berti e musica italiana. «Ho sempre seguito in pieno la logica di Steve Jobs: non bisogna solo fare le cose meglio degli altri ma bisogna fare cose diverse dagli altri».Come è iniziata la sua avventura?«Sono capitato per caso nella moda, non era nei miei sogni né nei miei obiettivi fare lo stilista. Ci sono arrivato perché facevo il modello e davo consigli agli amici su come concepivo alcuni capi. Erano buone idee e mi chiesero di disegnare una linea, vedevano in me una vena creativa. E da lì ho cominciato. Siccome mi riusciva bene, dopo qualche anno, ho messo su la mia linea. Non sono figlio d’arte né ricco per cui mi sono lanciato con 10 milioni di lire e poi piano piano, un pezzo alla volta, e dato che il prodotto era buono, sono partiti subito molto forte. Nel giro di qualche anno eravamo considerati leader, una delle aziende più forti del settore».Nessuno prima di allora si era mai sognato di ricamare i bikini o di riempire di paillettes un costume intero: la creatività su cinquanta centimetri di stoffa non è cosa semplice.«Soprattutto non è semplice creare qualcosa di nuovo. Se mi passa per la testa qualcosa non ho paura di provare, spesso si teme di uscire dal mercato, di fare qualcosa che non è compreso, tanto che i creativi sono frenati dall’azienda stessa, dai direttori commerciali, dai proprietari. Invece, sono un creativo proprietario di me stesso e anche nella mia vita privata sono un innovatore, cerco sempre di vedere le cose da un punto diverso».Lei disse: «Quando mi guardo intorno per osservare le tendenze, faccio esattamente il contrario».«Per me è importante che un marchio abbia una forte identità, che sappia distinguersi. La collezione Pin Up è completamente diversa ogni anno, non c’è nessun punto dell’anno prima. Eppure, immediatamente dici “questo è Pin Up”. Mi piace guardare avanti e mai indietro, ma siamo sempre riconoscibili in maniera molto forte pur in continuo sviluppo. Ci divertiamo a sperimentare nuove tecniche, nuove proposte». Quale è stato il suo valore aggiunto?«Come stilista sono nato in una azienda dove non dovevo avere successo, ero abbandonato un pò a me stesso, non avevo un supporto tecnico da parte delle aziende dove ho iniziato a lavorare per cui sono andato direttamente nella stamperia, dai ricamatori. In questo modo ho capito bene come si fanno le stampe, ho un lato tecnico che mi aiuta molto, se ho in mente una cosa so come svilupparla e so cosa chiedere ai fornitori».Due parole chiave, innovazione e tecnologia, come si possono applicare a un costume da bagno?«In un costume c’è tantissima tecnologia, ci sono mille modi di stampare, a esempio, magari in una maniera mai usata precedentemente. Spesso le nostre stampe non sono fatte di colore ma di tessuti: tagliamo, incolliamo pezzi di tessuto su altro tessuto che crea la stampa. Inventi anche delle nuove tecnologie di ricami, a volte sperimentali. Noi lavoriamo molto di sviluppo, di decine di prove prima che un costume sia definitivo. Controlliamo i colori, le sfumature, le applicazioni. Ogni costume ha una stampa e una grafica apposta per quel costume, un lavoro da certosino». Lei veste tutte le donne, di tutte le taglie.«È così e ho notato che le donne con più curve sono più allegre, più sicure di se stesse. Spesso una donna non ha bisogno di massacrarsi in palestra, anche con qualche chilo in più ha sempre il suo fascino. Vent’anni fa una donna di cinquant’anni si vestiva da signora oggi, invece, di sente giovane, vuole ancora piacere, e cerca un certo costume da bagno. Guarda più una ragazza di 25/30 anni e il tipo di costume che sceglie per indossarlo anche lei. Per cui facciamo un costume adatto alla venticinquenne e un altro con una vestibilità per la cinquantenne dando due tipi di slip, uno super ridotto e uno leggermente più grande, ma con la stessa immagine. Così accontentiamo sia la ragazza che la signora. Facciamo grandi sforzi per conquistare nuove generazioni. Ho visto tanti marchi invecchiare. Noi siamo il marchio più longevo sul mercato, quello che esiste da più tempo».Varie le vicende che l’hanno vista uscire e rientrare in azienda. Com’è andata la storia?«Ho avuto per un periodo un socio con il quale sono andato perfettamente d’accordo però, una volta uscito di scena, sono entrati dei suoi direttori, avvocati, a seguire i suoi interessi, che non coincidevano affatto con la mia visione né dell’azienda, né dell’etica aziendale. I rapporti con i dipendenti, con i clienti sono fondamentali. Abbiamo gli stessi clienti da tanti anni perché ci rispettiamo. Così non si riusciva a lavorare e ho aperto una azienda in concorrenza. Agogoa. Ma loro non erano in grado di portare avanti il lavoro e dopo un anno mi sono ripreso l’azienda che piano piano è ritornata agli antichi splendori».
Thierry Sabine (primo da sinistra) e la Yamaha Ténéré alla Dakar 1985. La sua moto sarà tra quelle esposte a Eicma 2025 (Getty Images)
La Dakar sbarca a Milano. L’edizione numero 82 dell’esposizione internazionale delle due ruote, in programma dal 6 al 9 novembre a Fiera Milano Rho, ospiterà la mostra «Desert Queens», un percorso espositivo interamente dedicato alle moto e alle persone che hanno scritto la storia della leggendaria competizione rallystica.
La mostra «Desert Queens» sarà un tributo agli oltre quarant’anni di storia della Dakar, che gli organizzatori racconteranno attraverso l’esposizione di più di trenta moto, ma anche con memorabilia, foto e video. Ospitato nell’area esterna MotoLive di Eicma, il progetto non si limiterà all’esposizione dei veicoli più iconici, ma offrirà al pubblico anche esperienze interattive, come l’incontro diretto con i piloti e gli approfondimenti divulgativi su navigazione, sicurezza e l’evoluzione dell’equipaggiamento tecnico.
«Dopo il successo della mostra celebrativa organizzata l’anno scorso per il 110° anniversario del nostro evento espositivo – ha dichiarato Paolo Magri, ad di Eicma – abbiamo deciso di rendere ricorrente la realizzazione di un contenuto tematico attrattivo. E questo fa parte di una prospettiva strategica che configura il pieno passaggio di Eicma da fiera a evento espositivo ricco anche di iniziative speciali e contenuti extra. La scelta è caduta in modo naturale sulla Dakar, una gara unica al mondo che fa battere ancora forte il cuore degli appassionati. Grazie alla preziosa collaborazione con Aso (Amaury Sport Organisation organizzatore della Dakar e partner ufficiale dell’iniziativa, ndr.) la mostra «Desert Queens» assume un valore ancora più importante e sono certo che sarà una proposta molto apprezzata dal nostro pubblico, oltre a costituire un’ulteriore occasione di visibilità e comunicazione per l’industria motociclistica».
«Eicma - spiega David Castera, direttore della Dakar - non è solo una fiera ma anche un palcoscenico leggendario, un moderno campo base dove si riuniscono coloro che vivono il motociclismo come un'avventura. Qui, la storia della Dakar prende davvero vita: dalle prime tracce lasciate sulla sabbia dai pionieri agli incredibili risultati di oggi. È una vetrina di passioni, un luogo dove questa storia risuona, ma anche un punto d'incontro dove è possibile dialogare con una comunità di appassionati che vivono la Dakar come un viaggio epico. È con questo spirito che abbiamo scelto di sostenere il progetto «Desert Queens» e di contribuire pienamente alla narrazione della mostra. Partecipiamo condividendo immagini, ricordi ricchi di emozioni e persino oggetti iconici, tra cui la moto di Thierry Sabine, l'uomo che ha osato lanciare la Parigi-Dakar non solo come una gara, ma come un'avventura umana alla scala del deserto».
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