True
2019-12-11
Il farmacista mette sugli scaffali medicine e finanza
True
In questo contesto il ruolo da protagonista ce l'ha Credifarma, la finanziaria che dal 1987 sopporta le farmacie, che oggi si inserisce in una generale trasformazione dell'azienda farmacia. Il farmacista è ormai anche imprenditore e il consumatore è anche un paziente, con nuovi stili di vita e abitudini. Le dinamiche socio-culturali sono mutate anch'esse alla luce dell'invecchiamento della popolazione e della pervasiva trasformazione digitale. La farmacia, dunque, si sta trasformando e si sta aprendo a nuovi servizi e a un'offerta diversificata rivolta al cittadino-paziente. Credifarma, per stare al passo con i tempi, si propone come punto di riferimento per il supporto finanziario al servizio del settore delle farmacie, anche con l'utilizzo di strumenti innovativi.
Credifarma non è solo finanza, ma fa anche consulenza ed è partner dell'imprenditore-farmacista nelle sue sfide di business. Tra i suoi fiori all'occhiello c'è il progetto Inspiring The future Pharmacy, presentato da poco a Roma, che nasce da alcuni focus group condotti su tutto il territorio nazionale con i farmacisti. Dalla raccolta dei loro bisogni e dalla volontà del Gruppo Banca Ifis - che controlla il 70% di Credifarma - si è arrivati ad azionare nuove leve anche nei confronti delle farmacie, così come già accade per i clienti Pmi e le imprese della manifattura e del Made in italy. Si tratta di progetti ad hoc per stimolare nuove idee e possibili scenari per una metamorfosi della farmacia come ambiente, ma anche dei suoi prodotti e servizi.
Un altro progetto è Credifarma on the road, in partnership strategica con Federfarma. Esso è nato per far conoscere sul territorio la forte specializzazione della società per la farmacia e permette ai farmacisti di approfondire il contesto sociale ed economico, ricevere suggerimenti di gestione finanziaria e di conoscere le migliori soluzioni per le esigenze del settore. Si tratta di un tour in tutta Italia, nelle associazioni provinciali di Federfarma, che permette un dialogo diretto con il territorio. Il punto di partenza del futuro della Farmacia italiana, con 50 tappe già fatte in tutta Italia.
In Italia il ricambio generazionale in azienda rappresenta spesso un problema e certamente non aiuta il livello dimensionale delle imprese stesse: più la società è piccola, minore è la propensione a preparare il "piano di successione". La Farmacia italiana rientra pienamente nella tipologia di aziende di dimensioni contenute e a perimetro familiare; circa 59% delle farmacie è costituito da ditte individuali. Credifarma ha messo in piedi Next Generation Pharmacy, un finanziamento fino a 5 anni dedicato a supportare le farmacie nel conferimento aziendale in occasione del passaggio generazionale e non solo. La soluzione serve a coprire l'imposta sostitutiva dovuta all'erario in caso di affrancamento dell'avviamento di aziende conferite in società, sfruttandone i vantaggi fiscali.
Dati finanziari: Credifarma è tornata all'utile con il Bilancio 2018. La società ha archiviato il 2018 con un risultato positivo netto di 1 milione e 759.000 euro, evidenziando un buon andamento di gestione soprattutto a partire dal terzo trimestre dello scorso anno, grazie all'acquisizione della maggioranza della società da parte di Banca Ifis completata a luglio 2018. Nel 2018 è stata strutturata un'offerta di prodotti ampia e completa sia di breve sia di medio lungo termine, in grado di accompagnare anche i momenti di discontinuità aziendale, con progetti di digital trasformation orientati al miglioramento della customer experience del farmacista. Le nuove sinergie sia di costo sia di ricavi hanno permesso a Credifarma di presentarsi al mercato delle farmacie - che nel 2018 ha registrato una contrazione del giro d'affari dell'1,8% - in modo più dinamico, evoluto e completo.
«Mettiamo a disposizione soluzioni finanziare per difendere il patrimonio sociale di una farmacia»

Maurizio Manna
Maurizio Manna è il presidente di Credifarma, una finanziaria nata da un'idea di Federfarma, la Federazione nazionale dei titolari di farmacia italiani, con l'obiettivo di sostenere i farmacisti nella scelta del finanziamento più adatto alle loro esigenze.
Dottor Manna, cos'è esattamente Credifarma e in che modo sostiene le farmacie italiane?
«Credifarma è una società del gruppo Banca Ifis, specializzata nel credito alle farmacie. Fondata nel 1987 da un'idea di Federfarma (Federazione nazionale dei titolari di farmacia) nasce proprio per dare soluzione ad un momento critico della farmacia; per consentirle, cioè, in quegli anni difficili, di attraversare indenne la lunga e gravosa stagione della sottostima dei finanziamenti della spesa farmaceutica e i conseguenti, endemici ritardi dei pagamenti da parte delle Asl».
Ma quello della farmacia è un settore da sempre travagliato, esposto alle mutevoli dinamiche politiche come alle contingenti "intemperie" economiche…
«Alla farmacia italiana, negli ultimi 30 anni, non è mai mancato un deserto da attraversare. Allo stesso modo non le è mai mancato il supporto della propria finanziaria e la sua costante assistenza dedicata. L'ingresso di Banca Ifis nella compagine sociale ha sancito un'alleanza strategica tra il gruppo bancario e Federfarma, per promuovere il ruolo di Credifarma in favore degli associati al sindacato nazionale e del mercato delle farmacie».
Con la crisi della farmacia come è cambiato il ruolo di Credifarma negli anni?
«Il ruolo, come la sua vocazione, resta aderente alla missione originaria di sostenere la farmacia italiana, accompagnandone l'evoluzione e adeguandosi, con flessibilità, alle mutate necessità del settore. In questa ottica mette, oggi, a disposizione della categoria un arsenale completo di soluzioni finanziarie per fronteggiare la forza d'urto del capitale e difendere il patrimonio sociale di una farmacia libera e indipendente».
In che modo la vostra Finanziaria può essere protagonista del futuro di una farmacia italiana libera e indipendente?
«All'indomani della Legge 124 del 2017, che ha modificato le dinamiche del mercato, i grandi gruppi, nazionali e multinazionali, sono in marcia per conquistare il settore. La più facile chiave di accesso alla proprietà della farmacia è il debito, commerciale e finanziario, che le imprese hanno accumulato negli anni. Il 'vaccino' per prevenire il contagio del capitale di acquisizione è rappresentato dalla ristrutturazione del debito, terapia in grado di rimettere in salute la farmacia consentendole di difendere e sviluppare la propria autonoma gestione professionale. Le soluzioni proposte da Credifarma supportano a 360 gradi l'attività dei farmacisti attraverso l'accesso a prodotti specializzati e a un team di professionisti esperti».
Quali sono le sfide per il futuro?
«La sfida è già cominciata, anzi non è mai finita e mette in campo, oggi, un catalogo di servizi finanziari tagliati su misura in funzione delle diversificate esigenze dei colleghi, privilegiando l'attività a medio e lungo termine (con mutui fino a 15 anni) necessaria per contrastare la colonizzazione del sistema farmacia da parte delle grandi catene. In questa logica, Credifarma è anche impegnata in una strategica azione di supporto alle attività di cooperazione nonché di collaborazione con Federfarma per realizzare una rete di protezione contro la penetrazione delle catene di farmacie e, soprattutto, per impedire che le farmacie finiscano in catene».
In che modo l'entrata di Banca Ifis nel capitale di Credifarma ha cambiato la sua mission?
«Il suo ingresso nella compagine sociale è stato provvidenziale nella misura in cui è intervenuto in un momento cruciale per la categoria. Pressoché coetanea di Credifarma, Banca Ifis ha messo a fattor comune una lunga specializzazione, maturata negli anni, sul fronte dell'assistenza finanziaria in favore della piccola e media impresa. Ma, soprattutto, ha reso possibile la necessaria conversione e la attualizzazione dei servizi finanziari erogati dalla società, dotandola di congrue linee di credito, coerenti con la innovata esigenza di offrire al mercato prodotti di medio e lungo periodo destinati a rendere sostenibile l'indebitamento delle farmacie, al fine di prevenire fenomeni di penetrazione e mettendo in sicurezza proprietà e indipendenza del sistema farmaceutico italiano».
Lo stato di salute delle farmacie

Marco Cossolo (Ansa)
Marco Cossolo, 54 anni, torinese, è presidente di Federfarma dal maggio del 2017. Il numero uno della Federazione nazionale che rappresenta le oltre 16.000 farmacie private convenzionate con il Servizio sanitario nazionale fa un bilancio sullo stato di salute delle farmacie italiane.
Dottor Cossolo, qual è lo stato di salute delle farmacie italiane alla luce delle ultime novità legislative?
«Da un punto di vista economico la situazione delle farmacie italiane non è più la stessa di alcuni anni fa, ma ciò non è sempre chiaro né al decisore pubblico né ai farmacisti. Purtroppo la Farmacia ha subito la legittima riduzione del fatturato del Servizio sanitario nazionale derivante dalla legittima aspirazione di risparmio».
La cosiddetta entrata dei Capitali nella Farmacia che impatto ha avuto?
«In realtà non ha influenzato molto il mercato delle farmacie se pensiamo che le farmacie acquistate dal Capitale sono sì e no il 2%. Le farmacie in cui la maggioranza è detenuta da non farmacisti è circa il 2% e in queste rientrano anche le famiglie in cui magari il padre è farmacista e i figli no, quindi non si può parlare esattamente di capitale. Escludendo le farmacie già di proprietà del Capitale a seguito della vendita delle comunali, quelle che sono veramente di proprietà delle catene oggi sono intorno a un centinaio, anche meno».
Quindi non c'è pericolo che i Capitali creino una sorta di monopolio?
«Si tratta di fenomeni che hanno un avvio molto lento, ma poi c'è il rischio che prendano, in un secondo momento, un abbrivio molto veloce, che abbiano una crescita esponenziale. Bisogna che noi interveniamo prima che questo fenomeno diventi appetibile. Il dato interessante è che da quanto risulta da studi non a carattere scientifico, laddove soggetti investitori hanno comprato le farmacie il vicino non si è mai lamentato».
Cosa intende?
«Che la forza del rapporto fiduciario tra farmacista e clientela non è stato ancora surrogato dalla capacità organizzativa e dalle economie di scala del Capitale. Questo secondo me però è solo una questione di tempo, nel senso che poi la tendenza potrebbe invertirsi e non avremo questo vantaggio competitivo in eterno».
Dovete quindi usare questo tempo per riorganizzarvi…
«Alla luce della perdita di reddittività sono due scelte che si possono fare. Diventare la farmacia drugstore, se si ha superficie sufficiente e posizione. In questo caso però c'è una perdita di ruolo e il rischio è di mettersi a competere sul terreno in cui le società di Capitali e i grandi gruppi sono molto più organizzati. La seconda scelta è puntare su un recupero della professionalità e mettere al centro il ruolo del farmacista attraverso i servizi che verranno correlati alla dispensazione del farmaco. In questo modo si ha la possibilità di spostare l'attenzione da una risposta richiesta-prodotto, tipica del delivery, a una centralità della persona che poterà la farmacia a rispondere a un bisogno con una soluzione. In economia soluzione per definizione è prodotto + servizio, quindi è l'accoppiata di prodotto + servizio che fa soluzione, tutta fondata sulla professionalità del farmacista. Da questo secondo me può derivare una redditività nuovamente soddisfacente».
Si parla di Farmacia dei servizi: cos'è?
«Si tratta di una serie di servizi per gestire completamente il paziente. In questa gestione del paziente post-medico la farmacia eroga servizi cognitivi, di aderenza alle terapie, di presa in carico del paziente. Così si potranno portare più ricavi e saremo più competitivi sul mercato».
Passiamo alla remunerazione: come funziona oggi?
«Attualmente la prestazione del farmacista è legata al prezzo del farmaco e rappresenta il 20-25% di esso. In un sistema deflattivo, che cala dal 2010 in maniera sensibile, questo meccanismo penalizza fortemente le farmacie. Dobbiamo perciò cambiare remunerazione. Non è pensabile che i prezzi riprendano a crescere, quindi la remunerazione deve andare sulla prestazione professionale del farmacista. Al ministero della Salute c'è un tavolo aperto in cui si sta discutendo di questo».
Sono sempre di più le farmacie che chiudono e che falliscono: il motivo è solo questo?
«Io sono nato e cresciuto nella farmacia e ho notato che già dai primi anni Settanta, quando si sono consolidate le mutue, la logica su cui si reggeva il sistema farmacie non era di mercato. C'era il medico che prescriveva il farmaco, il farmacista che vendeva, il cliente che prendeva, ma chi pagava? Nessuno dei tre, perché c'era un quarto che lo faceva e cioè lo Stato. Questa era una dinamica commerciale distorta che ha all'epoca ha creato benessere nel settore. Nel frattempo nei primi anni Duemila le cose sono iniziate a cambiare, quando la marginalità si è ridotta notevolmente per una serie di interventi statali, e i farmacisti sono stati costretti ad attingere al credito. Poi con la crisi economica le banche hanno cominciato a stringere la cinghia e le farmacie si sono trovate in difficoltà finanziaria».
Cosa è accaduto?
«Le banche non prestavano più soldi alle condizioni di prima e la farmacia, da quel momento, è iniziata a essere considerata un'azienda a tutti gli effetti. Il titolare ha dovuto aggiungere alle proprie competenze professionali, per le quali ha studiato, anche quelle da imprenditore, ma non tutti erano preparati per questa metamorfosi».
La farmacia ai tempi di Amazon e delle grandi catene

Con la legge sulla concorrenza (n. 124 del 2017), nel mondo della farmacia è cambiato lo scenario. Dall'entrata in vigore della norma, anche le società di capitali e chi non è farmacista può detenere quote di una farmacia. Il testo permette a questi soggetti di possedere fino al 20% delle farmacie di una regione, ma è un limite non limite, in quanto nessuno impedisce a una singola società di porsi in una sorta di monopolio locale di fatto, per esempio in una singola città di quella regione. La Verità ne ha parlato con Marco Cossolo, presidente di Ferderma, che ha spiegato quanto sia cambiato il panorama della farmacia italiana di fronte a una norma che è stata troppo generosa con le società di capitali e va ripensata creando qualche forma di sbarramento, perché appunto quelli attuali sono limiti troppo leggeri. Per esempio nel solo Lazio un singolo soggetto potrebbe avere 320 farmacie e tutte a Roma. Come si potrebbe risolvere? L'idea del numero uno del sindacato datoriale è di fissare un limite territoriale più ristretto, su base non più regionale ma comunale, per arginare il rischio di monopolio di pochi che concentri gli investimenti solo in zone appetibili con una continua e progressiva marginalizzazione delle farmacie rurali e un conseguente e grave depauperamento del servizio nelle zone economicamente meno vantaggiose a livello commerciale del Paese. Passando ai temi legati alla Rete, il farmacista può vendere online liberamente tutti i prodotti del parafarmaco (prodotti igienici, dietetici, cosmetici o in qualche modo considerati connessi alla salute, venduti prevalentemente nelle farmacie, ndr), mentre i farmaci da banco possono essere venduti previa registrazione al ministero della Salute con il vincolo di dover applicare gli stessi prezzi della sua farmacia fisica. Agli italiani tuttavia non piacciono molto le farmacie online, per ora preferiscono quella fisica. Arrivando alla questione Amazon, a una farmacia oggi è vietato mettere un proprio spazio di vendita sul marketplace e a proposito del rischio, in prospettiva, che le cose cambino e che un domani possa non esserci più solo il tema delle società di capitali e i colossi della grande distribuzione dilaganti, ma che forse anche Amazon vorrà vendere i farmaci, secondo Cossolo ogni pericolo lo si affronta non competendo sul terreno del concorrente, ma sul proprio. Inseguire un competitor in un mercato in cui è più forte, dunque, sarebbe un errore. La farmacia non è un negozio e inoltre si sta trasformando da farmacia del prodotto a farmacia della relazione. Già oggi e tradizionalmente la farmacia si basa proprio sulla relazione come risposta ai bisogni delle persone. Ma il farmacista è pronto per la sfida degli scenari che cambiano? Lo è , ma ovviamente deve formarsi, deve studiare, anche per venire in contro alle esigenze del cliente che è prima di tutto paziente. Si tratta di una innovazione culturale che sta andando di pari passo con l'implementazione dei servizi nelle farmacie e tutto questo va anche negli interessi dei cittadini.
Continua a leggereRiduci
L'evoluzione del comparto grazie agli istituti di credito specializzato. Tra le richieste anticipo del credito verso le Asl, finanziamenti a medio e lungo termine per la ristrutturazione dei debiti di fornitura e acquisto, credito per apertura di nuove sedi, leasing e finanziamenti per esigenze di cassa o approvvigionamento. Per crescere non basta più la conoscenza tecnica, ci vuole la leva finanziaria. Il presidente di Credifarma Maurizio Manna: «Ci stiamo impegnando per contrastare la colonizzazione del sistema farmacia da parte delle grandi catene». Marco Cossolo, presidente di Federfarma sullo stato di salute delle farmacie italiane: «Fatturati in calo, ma lavoriamo al rilancio». Store online su Amazon: agli italiani non piace l'online, per ora preferiscono i luoghi fisici e a oggi è ancora vietato mettere uno spazio di vendita sul marketplace. Lo speciale contiene quattro articoli. In questo contesto il ruolo da protagonista ce l'ha Credifarma, la finanziaria che dal 1987 sopporta le farmacie, che oggi si inserisce in una generale trasformazione dell'azienda farmacia. Il farmacista è ormai anche imprenditore e il consumatore è anche un paziente, con nuovi stili di vita e abitudini. Le dinamiche socio-culturali sono mutate anch'esse alla luce dell'invecchiamento della popolazione e della pervasiva trasformazione digitale. La farmacia, dunque, si sta trasformando e si sta aprendo a nuovi servizi e a un'offerta diversificata rivolta al cittadino-paziente. Credifarma, per stare al passo con i tempi, si propone come punto di riferimento per il supporto finanziario al servizio del settore delle farmacie, anche con l'utilizzo di strumenti innovativi. Credifarma non è solo finanza, ma fa anche consulenza ed è partner dell'imprenditore-farmacista nelle sue sfide di business. Tra i suoi fiori all'occhiello c'è il progetto Inspiring The future Pharmacy, presentato da poco a Roma, che nasce da alcuni focus group condotti su tutto il territorio nazionale con i farmacisti. Dalla raccolta dei loro bisogni e dalla volontà del Gruppo Banca Ifis - che controlla il 70% di Credifarma - si è arrivati ad azionare nuove leve anche nei confronti delle farmacie, così come già accade per i clienti Pmi e le imprese della manifattura e del Made in italy. Si tratta di progetti ad hoc per stimolare nuove idee e possibili scenari per una metamorfosi della farmacia come ambiente, ma anche dei suoi prodotti e servizi. Un altro progetto è Credifarma on the road, in partnership strategica con Federfarma. Esso è nato per far conoscere sul territorio la forte specializzazione della società per la farmacia e permette ai farmacisti di approfondire il contesto sociale ed economico, ricevere suggerimenti di gestione finanziaria e di conoscere le migliori soluzioni per le esigenze del settore. Si tratta di un tour in tutta Italia, nelle associazioni provinciali di Federfarma, che permette un dialogo diretto con il territorio. Il punto di partenza del futuro della Farmacia italiana, con 50 tappe già fatte in tutta Italia. In Italia il ricambio generazionale in azienda rappresenta spesso un problema e certamente non aiuta il livello dimensionale delle imprese stesse: più la società è piccola, minore è la propensione a preparare il "piano di successione". La Farmacia italiana rientra pienamente nella tipologia di aziende di dimensioni contenute e a perimetro familiare; circa 59% delle farmacie è costituito da ditte individuali. Credifarma ha messo in piedi Next Generation Pharmacy, un finanziamento fino a 5 anni dedicato a supportare le farmacie nel conferimento aziendale in occasione del passaggio generazionale e non solo. La soluzione serve a coprire l'imposta sostitutiva dovuta all'erario in caso di affrancamento dell'avviamento di aziende conferite in società, sfruttandone i vantaggi fiscali. Dati finanziari: Credifarma è tornata all'utile con il Bilancio 2018. La società ha archiviato il 2018 con un risultato positivo netto di 1 milione e 759.000 euro, evidenziando un buon andamento di gestione soprattutto a partire dal terzo trimestre dello scorso anno, grazie all'acquisizione della maggioranza della società da parte di Banca Ifis completata a luglio 2018. Nel 2018 è stata strutturata un'offerta di prodotti ampia e completa sia di breve sia di medio lungo termine, in grado di accompagnare anche i momenti di discontinuità aziendale, con progetti di digital trasformation orientati al miglioramento della customer experience del farmacista. Le nuove sinergie sia di costo sia di ricavi hanno permesso a Credifarma di presentarsi al mercato delle farmacie - che nel 2018 ha registrato una contrazione del giro d'affari dell'1,8% - in modo più dinamico, evoluto e completo. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/credifarma-2641567090.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="mettiamo-a-disposizione-soluzioni-finanziare-per-difendere-il-patrimonio-sociale-di-una-farmacia" data-post-id="2641567090" data-published-at="1765817636" data-use-pagination="False"> «Mettiamo a disposizione soluzioni finanziare per difendere il patrimonio sociale di una farmacia» Maurizio Manna Maurizio Manna è il presidente di Credifarma, una finanziaria nata da un'idea di Federfarma, la Federazione nazionale dei titolari di farmacia italiani, con l'obiettivo di sostenere i farmacisti nella scelta del finanziamento più adatto alle loro esigenze.Dottor Manna, cos'è esattamente Credifarma e in che modo sostiene le farmacie italiane?«Credifarma è una società del gruppo Banca Ifis, specializzata nel credito alle farmacie. Fondata nel 1987 da un'idea di Federfarma (Federazione nazionale dei titolari di farmacia) nasce proprio per dare soluzione ad un momento critico della farmacia; per consentirle, cioè, in quegli anni difficili, di attraversare indenne la lunga e gravosa stagione della sottostima dei finanziamenti della spesa farmaceutica e i conseguenti, endemici ritardi dei pagamenti da parte delle Asl».Ma quello della farmacia è un settore da sempre travagliato, esposto alle mutevoli dinamiche politiche come alle contingenti "intemperie" economiche…«Alla farmacia italiana, negli ultimi 30 anni, non è mai mancato un deserto da attraversare. Allo stesso modo non le è mai mancato il supporto della propria finanziaria e la sua costante assistenza dedicata. L'ingresso di Banca Ifis nella compagine sociale ha sancito un'alleanza strategica tra il gruppo bancario e Federfarma, per promuovere il ruolo di Credifarma in favore degli associati al sindacato nazionale e del mercato delle farmacie».Con la crisi della farmacia come è cambiato il ruolo di Credifarma negli anni?«Il ruolo, come la sua vocazione, resta aderente alla missione originaria di sostenere la farmacia italiana, accompagnandone l'evoluzione e adeguandosi, con flessibilità, alle mutate necessità del settore. In questa ottica mette, oggi, a disposizione della categoria un arsenale completo di soluzioni finanziarie per fronteggiare la forza d'urto del capitale e difendere il patrimonio sociale di una farmacia libera e indipendente».In che modo la vostra Finanziaria può essere protagonista del futuro di una farmacia italiana libera e indipendente?«All'indomani della Legge 124 del 2017, che ha modificato le dinamiche del mercato, i grandi gruppi, nazionali e multinazionali, sono in marcia per conquistare il settore. La più facile chiave di accesso alla proprietà della farmacia è il debito, commerciale e finanziario, che le imprese hanno accumulato negli anni. Il 'vaccino' per prevenire il contagio del capitale di acquisizione è rappresentato dalla ristrutturazione del debito, terapia in grado di rimettere in salute la farmacia consentendole di difendere e sviluppare la propria autonoma gestione professionale. Le soluzioni proposte da Credifarma supportano a 360 gradi l'attività dei farmacisti attraverso l'accesso a prodotti specializzati e a un team di professionisti esperti».Quali sono le sfide per il futuro?«La sfida è già cominciata, anzi non è mai finita e mette in campo, oggi, un catalogo di servizi finanziari tagliati su misura in funzione delle diversificate esigenze dei colleghi, privilegiando l'attività a medio e lungo termine (con mutui fino a 15 anni) necessaria per contrastare la colonizzazione del sistema farmacia da parte delle grandi catene. In questa logica, Credifarma è anche impegnata in una strategica azione di supporto alle attività di cooperazione nonché di collaborazione con Federfarma per realizzare una rete di protezione contro la penetrazione delle catene di farmacie e, soprattutto, per impedire che le farmacie finiscano in catene».In che modo l'entrata di Banca Ifis nel capitale di Credifarma ha cambiato la sua mission? «Il suo ingresso nella compagine sociale è stato provvidenziale nella misura in cui è intervenuto in un momento cruciale per la categoria. Pressoché coetanea di Credifarma, Banca Ifis ha messo a fattor comune una lunga specializzazione, maturata negli anni, sul fronte dell'assistenza finanziaria in favore della piccola e media impresa. Ma, soprattutto, ha reso possibile la necessaria conversione e la attualizzazione dei servizi finanziari erogati dalla società, dotandola di congrue linee di credito, coerenti con la innovata esigenza di offrire al mercato prodotti di medio e lungo periodo destinati a rendere sostenibile l'indebitamento delle farmacie, al fine di prevenire fenomeni di penetrazione e mettendo in sicurezza proprietà e indipendenza del sistema farmaceutico italiano». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/credifarma-2641567090.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="lo-stato-di-salute-delle-farmacie" data-post-id="2641567090" data-published-at="1765817636" data-use-pagination="False"> Lo stato di salute delle farmacie Marco Cossolo (Ansa) Marco Cossolo, 54 anni, torinese, è presidente di Federfarma dal maggio del 2017. Il numero uno della Federazione nazionale che rappresenta le oltre 16.000 farmacie private convenzionate con il Servizio sanitario nazionale fa un bilancio sullo stato di salute delle farmacie italiane.Dottor Cossolo, qual è lo stato di salute delle farmacie italiane alla luce delle ultime novità legislative?«Da un punto di vista economico la situazione delle farmacie italiane non è più la stessa di alcuni anni fa, ma ciò non è sempre chiaro né al decisore pubblico né ai farmacisti. Purtroppo la Farmacia ha subito la legittima riduzione del fatturato del Servizio sanitario nazionale derivante dalla legittima aspirazione di risparmio».La cosiddetta entrata dei Capitali nella Farmacia che impatto ha avuto?«In realtà non ha influenzato molto il mercato delle farmacie se pensiamo che le farmacie acquistate dal Capitale sono sì e no il 2%. Le farmacie in cui la maggioranza è detenuta da non farmacisti è circa il 2% e in queste rientrano anche le famiglie in cui magari il padre è farmacista e i figli no, quindi non si può parlare esattamente di capitale. Escludendo le farmacie già di proprietà del Capitale a seguito della vendita delle comunali, quelle che sono veramente di proprietà delle catene oggi sono intorno a un centinaio, anche meno». Quindi non c'è pericolo che i Capitali creino una sorta di monopolio?«Si tratta di fenomeni che hanno un avvio molto lento, ma poi c'è il rischio che prendano, in un secondo momento, un abbrivio molto veloce, che abbiano una crescita esponenziale. Bisogna che noi interveniamo prima che questo fenomeno diventi appetibile. Il dato interessante è che da quanto risulta da studi non a carattere scientifico, laddove soggetti investitori hanno comprato le farmacie il vicino non si è mai lamentato».Cosa intende?«Che la forza del rapporto fiduciario tra farmacista e clientela non è stato ancora surrogato dalla capacità organizzativa e dalle economie di scala del Capitale. Questo secondo me però è solo una questione di tempo, nel senso che poi la tendenza potrebbe invertirsi e non avremo questo vantaggio competitivo in eterno». Dovete quindi usare questo tempo per riorganizzarvi… «Alla luce della perdita di reddittività sono due scelte che si possono fare. Diventare la farmacia drugstore, se si ha superficie sufficiente e posizione. In questo caso però c'è una perdita di ruolo e il rischio è di mettersi a competere sul terreno in cui le società di Capitali e i grandi gruppi sono molto più organizzati. La seconda scelta è puntare su un recupero della professionalità e mettere al centro il ruolo del farmacista attraverso i servizi che verranno correlati alla dispensazione del farmaco. In questo modo si ha la possibilità di spostare l'attenzione da una risposta richiesta-prodotto, tipica del delivery, a una centralità della persona che poterà la farmacia a rispondere a un bisogno con una soluzione. In economia soluzione per definizione è prodotto + servizio, quindi è l'accoppiata di prodotto + servizio che fa soluzione, tutta fondata sulla professionalità del farmacista. Da questo secondo me può derivare una redditività nuovamente soddisfacente». Si parla di Farmacia dei servizi: cos'è?«Si tratta di una serie di servizi per gestire completamente il paziente. In questa gestione del paziente post-medico la farmacia eroga servizi cognitivi, di aderenza alle terapie, di presa in carico del paziente. Così si potranno portare più ricavi e saremo più competitivi sul mercato». Passiamo alla remunerazione: come funziona oggi?«Attualmente la prestazione del farmacista è legata al prezzo del farmaco e rappresenta il 20-25% di esso. In un sistema deflattivo, che cala dal 2010 in maniera sensibile, questo meccanismo penalizza fortemente le farmacie. Dobbiamo perciò cambiare remunerazione. Non è pensabile che i prezzi riprendano a crescere, quindi la remunerazione deve andare sulla prestazione professionale del farmacista. Al ministero della Salute c'è un tavolo aperto in cui si sta discutendo di questo». Sono sempre di più le farmacie che chiudono e che falliscono: il motivo è solo questo?«Io sono nato e cresciuto nella farmacia e ho notato che già dai primi anni Settanta, quando si sono consolidate le mutue, la logica su cui si reggeva il sistema farmacie non era di mercato. C'era il medico che prescriveva il farmaco, il farmacista che vendeva, il cliente che prendeva, ma chi pagava? Nessuno dei tre, perché c'era un quarto che lo faceva e cioè lo Stato. Questa era una dinamica commerciale distorta che ha all'epoca ha creato benessere nel settore. Nel frattempo nei primi anni Duemila le cose sono iniziate a cambiare, quando la marginalità si è ridotta notevolmente per una serie di interventi statali, e i farmacisti sono stati costretti ad attingere al credito. Poi con la crisi economica le banche hanno cominciato a stringere la cinghia e le farmacie si sono trovate in difficoltà finanziaria». Cosa è accaduto?«Le banche non prestavano più soldi alle condizioni di prima e la farmacia, da quel momento, è iniziata a essere considerata un'azienda a tutti gli effetti. Il titolare ha dovuto aggiungere alle proprie competenze professionali, per le quali ha studiato, anche quelle da imprenditore, ma non tutti erano preparati per questa metamorfosi». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem3" data-id="3" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/credifarma-2641567090.html?rebelltitem=3#rebelltitem3" data-basename="la-farmacia-ai-tempi-di-amazon-e-delle-grandi-catene" data-post-id="2641567090" data-published-at="1765817636" data-use-pagination="False"> La farmacia ai tempi di Amazon e delle grandi catene Con la legge sulla concorrenza (n. 124 del 2017), nel mondo della farmacia è cambiato lo scenario. Dall'entrata in vigore della norma, anche le società di capitali e chi non è farmacista può detenere quote di una farmacia. Il testo permette a questi soggetti di possedere fino al 20% delle farmacie di una regione, ma è un limite non limite, in quanto nessuno impedisce a una singola società di porsi in una sorta di monopolio locale di fatto, per esempio in una singola città di quella regione. La Verità ne ha parlato con Marco Cossolo, presidente di Ferderma, che ha spiegato quanto sia cambiato il panorama della farmacia italiana di fronte a una norma che è stata troppo generosa con le società di capitali e va ripensata creando qualche forma di sbarramento, perché appunto quelli attuali sono limiti troppo leggeri. Per esempio nel solo Lazio un singolo soggetto potrebbe avere 320 farmacie e tutte a Roma. Come si potrebbe risolvere? L'idea del numero uno del sindacato datoriale è di fissare un limite territoriale più ristretto, su base non più regionale ma comunale, per arginare il rischio di monopolio di pochi che concentri gli investimenti solo in zone appetibili con una continua e progressiva marginalizzazione delle farmacie rurali e un conseguente e grave depauperamento del servizio nelle zone economicamente meno vantaggiose a livello commerciale del Paese. Passando ai temi legati alla Rete, il farmacista può vendere online liberamente tutti i prodotti del parafarmaco (prodotti igienici, dietetici, cosmetici o in qualche modo considerati connessi alla salute, venduti prevalentemente nelle farmacie, ndr), mentre i farmaci da banco possono essere venduti previa registrazione al ministero della Salute con il vincolo di dover applicare gli stessi prezzi della sua farmacia fisica. Agli italiani tuttavia non piacciono molto le farmacie online, per ora preferiscono quella fisica. Arrivando alla questione Amazon, a una farmacia oggi è vietato mettere un proprio spazio di vendita sul marketplace e a proposito del rischio, in prospettiva, che le cose cambino e che un domani possa non esserci più solo il tema delle società di capitali e i colossi della grande distribuzione dilaganti, ma che forse anche Amazon vorrà vendere i farmaci, secondo Cossolo ogni pericolo lo si affronta non competendo sul terreno del concorrente, ma sul proprio. Inseguire un competitor in un mercato in cui è più forte, dunque, sarebbe un errore. La farmacia non è un negozio e inoltre si sta trasformando da farmacia del prodotto a farmacia della relazione. Già oggi e tradizionalmente la farmacia si basa proprio sulla relazione come risposta ai bisogni delle persone. Ma il farmacista è pronto per la sfida degli scenari che cambiano? Lo è , ma ovviamente deve formarsi, deve studiare, anche per venire in contro alle esigenze del cliente che è prima di tutto paziente. Si tratta di una innovazione culturale che sta andando di pari passo con l'implementazione dei servizi nelle farmacie e tutto questo va anche negli interessi dei cittadini.
i,Hamza Abdi Barre (Getty Images)
La Somalia è intrappolata in una spirale di instabilità sempre più profonda: un’insurrezione jihadista in crescita, un apparato di sicurezza inefficiente, una leadership politica divisa e la competizione tra potenze vicine che alimenta rivalità interne. Il controllo effettivo del governo federale si riduce ormai alla capitale e a poche località satelliti, una sorta di isola amministrativa circondata da gruppi armati e clan in competizione. L’esercito nazionale, logorato, frammentato e privo di una catena di comando solida, non è in grado di garantire la sicurezza nemmeno sulle principali rotte commerciali che costeggiano il Paese. In queste condizioni, il collasso dell’autorità centrale e la caduta di Mogadiscio nelle mani di gruppi ostili rappresentano scenari sempre meno remoti, con ripercussioni dirette sulla navigazione internazionale e sulla sicurezza regionale.
La pirateria somala, un tempo contenuta da pattugliamenti congiunti e operazioni navali multilaterali, è oggi alimentata anche dal radicamento di milizie jihadiste che controllano vaste aree dell’entroterra. Questi gruppi, dopo anni di scontri contro il governo federale e di brevi avanzate respinte con l’aiuto delle forze speciali straniere, hanno recuperato terreno e consolidato le proprie basi logistiche proprio lungo i corridoi costieri. Da qui hanno intensificato sequestri, assalti e sabotaggi, colpendo infrastrutture critiche e perfino centri governativi di intelligence. L’attacco del 2025 contro una sede dei servizi somali, che portò alla liberazione di decine di detenuti, diede il segnale dell’audacia crescente di questi movimenti.
Le debolezze dell’apparato statale restano uno dei fattori decisivi. Nonostante due decenni di aiuti, investimenti e programmi di addestramento militare, le forze somale non riescono a condurre operazioni continuative contro reti criminali e gruppi jihadisti. Il consumo interno di risorse, la corruzione diffusa, i legami di fedeltà clanici e la dipendenza dall’Agenzia dell’Unione africana per il supporto alla sicurezza hanno sgretolato ogni tentativo di riforma. Nel frattempo, l’interferenza politica nella gestione della missione internazionale ha sfiancato i donatori, ridotto il coordinamento e lasciato presagire un imminente disimpegno. A questo si aggiungono le tensioni istituzionali: modifiche costituzionali controverse, una mappa federale contestata e tentativi percepiti come manovre per prolungare la permanenza al potere della leadership attuale hanno spaccato la classe politica e paralizzato qualsiasi risposta comune alla minaccia emergente. Mentre i vertici si dividono, le bande armate osservano, consolidano il controllo del territorio e preparano nuovi colpi contro la navigazione e le città costiere. Sul piano internazionale cresce il numero di governi che, temendo un collasso definitivo del sistema federale, sondano discretamente la possibilità di una trattativa con i gruppi armati. Ma l’ipotesi di una Mogadiscio conquistata da milizie che già controllano ampie aree della costa solleva timori concreti: un ritorno alla pirateria sistemica, attacchi oltre confine e una spirale di conflitti locali che coinvolgerebbe l’intero Corno d’Africa.
Continua a leggereRiduci
Il presidente eletto del Cile José Antonio Kast e sua moglie Maria Pia Adriasola (Ansa)
Un elemento significativo di queste elezioni presidenziali è stata l’elevata affluenza alle urne, che si è rivelata in aumento del 38% rispetto al 2021. Quelle di ieri sono infatti state le prime elezioni tenute dopo che, nel 2022, è stato introdotto il voto obbligatorio. La vittoria di Kast ha fatto da contraltare alla crisi della sinistra cilena. Il presidente uscente, Gabriel Boric, aveva vinto quattro anni fa, facendo leva soprattutto sull’impopolarità dell’amministrazione di centrodestra, guidata da Sebastián Piñera. Tuttavia, a partire dal 2023, gli indici di gradimento di Boric sono iniziati a crollare. E questo ha danneggiato senza dubbio la Jara, che è stata ministro del Lavoro fino allo scorso aprile. Certo, Kast si accinge a governare a fronte di un Congresso diviso: il che potrebbe rappresentare un problema per alcune delle sue proposte più incisive. Resta tuttavia il fatto che la sua vittoria ha avuto dei numeri assai significativi.
«La vittoria di Kast in Cile segue una serie di elezioni in America Latina che negli ultimi anni hanno spostato la regione verso destra, tra cui quelle in Argentina, Ecuador, Costa Rica ed El Salvador», ha riferito la Bbc. Lo spostamento a destra dell’America Latina è una buona notizia per la Casa Bianca. Ricordiamo che, alcuni giorni fa, Washington a pubblicato la sua nuova strategia di sicurezza nazionale: un documento alla cui base si registra il rilancio della Dottrina Monroe. Per Trump, l’obiettivo, da questo punto di vista, è duplice. Innanzitutto, punta a contrastare il fenomeno dell’immigrazione irregolare. In secondo luogo, mira ad arginare l’influenza geopolitica della Cina sull’Emisfero occidentale. Vale a tal proposito la pena di ricordare che Boric, negli ultimi anni, ha notevolmente avvicinato Santiago a Pechino. Una linea che, di certo, a Washington non è stata apprezzata.
Continua a leggereRiduci
Getty Images
Nel 2025 la pirateria torna a imporsi come una minaccia fluida, che si adatta ad ogni situazione, capace di sfruttare ogni varco lasciato aperto nel fragile equilibrio della sicurezza marittima globale. Due aree, più di altre, raccontano questa nuova stagione di attacchi: il Golfo di Guinea e l’Oceano Indiano. Non si tratta più di fenomeni isolati come mostrano i report di Praesidium, società che si occupa di intelligence marittima, né di improvvise fiammate criminali. È un ecosistema in movimento, che segue logiche precise, approfitta delle lacune statali, cavalca il maltempo o il suo contrario, e ridisegna continuamente la mappa del rischio.
Nel Golfo di Guinea, l’andamento dell’anno ha mostrato un susseguirsi di incursioni che sembrano quasi seguire una traiettoria invisibile. All’inizio la pressione è stata particolarmente intensa nel settore orientale, tra Gabon, Guinea Equatoriale e São Tomé e Príncipe. L’attacco del 31 gennaio al peschereccio Amerger VII ha inaugurato la stagione. Tre membri dell’equipaggio sono finiti nelle mani dei pirati a poche miglia da Owendo, un episodio che ha posto subito il tema dell’audacia dei gruppi criminali e della loro capacità di muoversi vicino alle acque territoriali. Interessante notare che la stessa imbarcazione era già stata attaccata nella stessa area nel 2020.
Pochi giorni dopo, l’abbordaggio della Jsp Vento, nella Zona economica esclusiva (Zee) della Repubblica della Guinea Equatoriale, ha mostrato un altro tratto distintivo della pirateria del 2025: attacchi rapidi e condotti contro navi senza scorta, dove gli equipaggi sono spesso lasciati a loro stessi visti i lunghi tempi di reazione delle autorità locali. In questo caso i pirati hanno abbandonato la nave dopo essere stati avvistati dall’equipaggio. A marzo l’escalation si è fatta più chiara. L’incursione alla petroliera Bitu River, al largo di São Tomé, è durata ore e ha incluso la violazione della cittadella, con i pirati che sono riusciti a prendere in ostaggio diversi membri dell’equipaggio e a fuggire. Il trasferimento degli ostaggi in Nigeria e il loro rilascio settimane dopo suggeriscono canali consolidati, territori di appoggio e una filiera criminale ben riconoscibile.
La traiettoria della minaccia è poi scivolata verso ovest, raggiungendo il Ghana, dove a fine marzo il peschereccio Meng Xin 1 è stato assaltato e tre marittimi sono stati rapiti e trasportati nel Delta del Niger, cuore storico delle milizie locali. In quest’area, simili episodi ai danni di pescherecci sono stati in passato ricondotti a dispute locali o ad azioni di ritorsione. Tuttavia, il fatto che gli assalitori comunicassero in pidgin english nigeriano richiama il modus operandi tipico dei sequestri a scopo di riscatto riconducibili alla pirateria nigeriana, lasciando aperta l’ipotesi di un’evoluzione dell’evento in tale contesto.
Il vero punto di svolta è arrivato il 21 aprile, quando la Sea Panther è stata abbordata a oltre 130 miglia da Brass. L’episodio ha segnato il ritorno ufficiale della pirateria all’interno della Zee nigeriana, un territorio che non registrava attacchi confermati dal 2021. Per gli analisti si è trattato della prova definitiva che la pressione militare degli anni precedenti si è attenuata, lasciando di nuovo spazio a cellule in grado di spingersi in acque profonde. Poche settimane dopo, a fine maggio, l’assalto alla Orange Frost nella zona di sviluppo congiunto tra Nigeria e São Tomé ha completato il quadro, mostrando come i gruppi criminali siano capaci di colpire anche aree formalmente pattugliate da due Stati.
L’estate ha portato una calma apparente, dissoltasi con l’arrivo di nuovi episodi a partire da agosto, quando il tentativo di sequestro della Endo Ponente è stato sventato dalla pronta ritirata nella cittadella da parte dell’equipaggio, che è rimasto all’interno fino all’intervento delle forze navali avvenuto comunque ore dopo l’attacco. Un altro tentato attacco è stato registrato nella regione occidentale del Golfo in ottobre contro la Alfred Temile 10 al largo del Benin. A novembre la minaccia è tornata a concentrarsi a est, dove la Ual Africa è stata presa di mira al confine tra la Zee di São Tomé e Principe e quella della Guinea Equatoriale: l’equipaggio ha resistito chiudendosi in un’area blindata all’interno della nave - un locale protetto, sigillato e dotato di comunicazioni indipendenti - progettata per consentire all’equipaggio di mettersi al sicuro durante un attacco. Non riuscendo a fare breccia nelle difese, i pirati hanno devastato ponte e alloggi prima di ritirarsi.
Se il Golfo di Guinea racconta una pirateria che cambia posizione ma non perde incisività, l’Oceano Indiano nel 2025 ha dato vita a uno scenario ancora più inquietante. La regione somala è tornata teatro di sequestri e attacchi con una frequenza che ricorda i periodi più bui della pirateria del decennio precedente. La stagione è iniziata a febbraio con una serie di dirottamenti per mezzo di dhow yemeniti, piccole imbarcazioni utilizzate dai pirati come piattaforme mobili per proiettarsi molto a largo. Il sequestro dell’Al Najma N.481 ha rivelato un modus operandi ormai consueto: catturare un peschereccio, impossessarsi delle piccole imbarcazioni, rifornirsi a bordo e ripartire verso obiettivi più remunerativi. Anche gli altri casi registrati tra il 15 febbraio e il 16 marzo mostrano lo stesso schema, con dhow impiegati come basi avanzate e poi abbandonati dopo l’intervento delle forze navali internazionali o a seguito del pagamento di riscatti.
Il periodo dei monsoni, tra maggio e settembre, ha rallentato l’attività, ma non l’ha soppressa. Appena il mare è tornato praticabile, gli avvistamenti sospetti sono ripresi con un’intensità che ha sorpreso perfino le missioni navali. Tra ottobre e novembre si è assistito a un ritorno deciso dei gruppi somali in acque profonde, con tentativi di abbordaggio a centinaia di miglia dalla costa, un dettaglio che ricorda i livelli operativi raggiunti nel 2011-2012. Il primo attacco avvenuto nel 2025 contro una nave commerciale è stato registrato il 3 novembre alla petroliera Stolt Sagaland, a oltre 332 miglia nautiche da Mogadiscio: quattro uomini armati hanno aperto il fuoco prima di ritirarsi, segno di una rinnovata audacia. Pochi giorni dopo, la Hellas Aphrodite è stata addirittura abbordata a più di 700 miglia nautiche dalla Somalia, un dato che conferma l’utilizzo di «navi madre» capaci di sostenere missioni lunghe e complesse. Proprio in questo contesto si inserisce il misterioso dhow iraniano Issamamohamadi, sequestrato a fine ottobre e ritrovato abbandonato l’11 novembre: secondo gli investigatori è molto probabile che sia stato utilizzato come base per gli attacchi alla Stolt Sagaland e alla Hellas Aphrodite.
Il mese di novembre ha proposto un crescendo di avvicinamenti sospetti, scafi non identificati che si accostano a mercantili per poi allontanarsi all’improvviso, petroliere che segnalano la presenza di droni in aree dove solo pochi anni fa sarebbe stato impensabile. Le due regioni – Golfo di Guinea e Oceano Indiano – raccontano, seppure con dinamiche diverse, una stessa verità: la pirateria non è affatto un fenomeno residuale. È una minaccia che continua a mutare, sfrutta gli spazi lasciati liberi dalla sicurezza internazionale e approfitta delle fragilità degli Stati costieri. Nel 2025, il mare torna a parlare il linguaggio inquieto delle rotte clandestine, dei sequestri silenziosi e dei gruppi armati che conoscono perfettamente le pieghe della geografia nautica e delle debolezze politiche di intere regioni. Una minaccia che non chiede di essere osservata: semplicemente, ritorna.
«La lotta agli Huthi ha sottratto risorse. Contro i sequestri i mezzi sono limitati»
Stefano Ràkos, è manager del dipartimento di intelligence e responsabile del progetto M.a.r.e. di Praesidium.
In che modo la pirateria nel Golfo di Guinea nel 2025 dimostra una crescente capacità organizzativa rispetto agli anni precedenti?
«La crescente capacità organizzativa emerge soprattutto dall’elevata adattabilità dei pirati al contesto di sicurezza. I gruppi dimostrano di monitorare costantemente l’evoluzione delle misure di protezione, inclusa l’estensione progressiva delle aree coperte da scorte armate o navi militari, e di raccogliere informazioni attraverso canali aperti e circuiti informali. Le aree di attacco vengono quindi selezionate in modo sempre più mirato, privilegiando i settori dove le scorte armate non sono consentite per motivi legali o di scarsa presenza di asset militari. Gli assalti risultano basati su informazioni preventive sui movimenti delle navi e non più su opportunità casuali, indicando un livello di pianificazione e coordinamento superiore rispetto al passato».
Quali fattori hanno consentito ai gruppi criminali dell’Oceano Indiano di tornare a operare a distanze così elevate dalla costa somala, arrivando a colpire navi a oltre 700 miglia?
«A partire dalla fine del 2023, il ritorno delle attività pirata a distanze superiori alle 700 miglia dalla costa somala è stato favorito dallo spostamento dell’attenzione navale internazionale verso il Mar Rosso e il Golfo di Aden a seguito della crisi legata agli Huthi, con una conseguente riduzione della pressione di controllo nell’Oceano Indiano. La fine del monsone ha ripristinato condizioni meteomarine favorevoli alle operazioni offshore. Sul piano operativo, si è registrata una persistente limitata capacità di interdizione effettiva da parte degli assetti navali internazionali. Nel caso del dirottamento della Ruen nel dicembre 2023, così come in un più recente episodio con dinamiche analoghe, le forze presenti si sono limitate ad attività di monitoraggio a distanza, senza procedere a un’azione diretta di interruzione prima del rientro delle unità verso le coste somale. Questo approccio ha di fatto confermato ai gruppi criminali l’esistenza di ampi margini di manovra operativa, rafforzando la percezione di un basso livello di rischio nelle fasi successive al sequestro».
Che ruolo ha giocato la cooperazione regionale degli Stati dell’Africa occidentale nella gestione dei sequestri e nella risposta agli attacchi, e quali limiti emergono da questi interventi?
«Nella pratica, la cooperazione regionale tra gli Stati dell’Africa occidentale ha inciso in modo molto limitato sulla gestione dei sequestri e sulla risposta agli attacchi. I principali quadri di riferimento, tra cui Ecowas e l’Architettura di Yaoundé con i relativi centri di coordinamento regionali, hanno prodotto soprattutto meccanismi formali di cooperazione e scambio informativo. Tuttavia, tali strutture non si sono tradotte in una capacità operativa realmente integrata. Le risposte restano nazionali, frammentate e spesso tardive, con forti disomogeneità tra le marine locali».
In che misura l’utilizzo di dhow come «navi madre» rappresenta un salto qualitativo nelle operazioni dei pirati somali, e quali rischi introduce per le rotte commerciali globali?
«L’impiego dei dhow come navi madre non rappresenta una tattica nuova, ma una strategia già utilizzata dai pirati somali in passato e oggi tornata pienamente operativa. Questo schema consente di superare i limiti degli skiff, che per autonomia di carburante e condizioni del mare non possono spingersi troppo lontano dalla costa. L’uso di un’imbarcazione più grande permette invece di operare a grande distanza, trasportando uomini, carburante e mezzi d’assalto in aree di mare molto più estese. Una volta avvicinato il bersaglio, vengono poi impiegati gli skiff, più rapidi e adatti alla fase di abbordaggio. Ne deriva un ampliamento diretto dell’area di rischio e una maggiore esposizione delle rotte commerciali globali, anche in settori che in passato erano considerati marginali rispetto alla minaccia pirata. Negli anni d’oro della pirateria somala il loro raggio operativo raggiungeva addirittura le Maldive».
Quali segnali osservabili indicano che nel 2025 la pirateria non è un fenomeno residuale ma un ecosistema in evoluzione che sfrutta lacune statali e vuoti di sicurezza internazionale?
«Nel contesto dell’Oceano Indiano, l’assenza di un controllo statale effettivo su ampie porzioni del territorio somalo continua a costituire un fattore strutturale di instabilità, che facilita la riorganizzazione delle reti criminali. Le missioni navali internazionali, tra cui le componenti europee e le task force multinazionali, non esercitano più il livello di deterrenza raggiunto negli anni precedenti. La Marina indiana mantiene una presenza attiva nella regione, ma gli interventi risultano spesso legati alla presenza di cittadini indiani a bordo delle unità coinvolte. Nel Golfo di Guinea, il quadro appare ancora più critico. I gruppi criminali nigeriani operano con crescente frequenza al di fuori della zona economica esclusiva della Nigeria, spesso in aree dove l’impiego di scorte armate non è consentito. I tempi di risposta delle marine locali risultano generalmente elevati e frammentati, in assenza di un dispositivo internazionale strutturato analogo a quello attivo in Oceano Indiano».
Continua a leggereRiduci
(Ansa/Arma dei Carabinieri)
Si tratta in particolare di truffatori che ricorrevano al trucco del «finto carabiniere» per sottrarre denaro soprattutto a persone anziane. Tra gli indagati, uno era già detenuto per altra causa; sei sono stati portati in carcere, nove agli arresti domiciliari e cinque sottoposti all’obbligo di dimora.
Il provvedimento nasce da un’indagine convenzionalmente denominata «Altro Mondo», condotta dal Nucleo investigativo di Milano e avviata a partire dal 2023, come risposta alla recrudescenza di furti, rapine e truffe commessi prevalentemente in danno di soggetti vulnerabili, mediante la tecnica del «finto carabiniere».
Continua a leggereRiduci