2021-08-28
CR7 torna allo United dopo tre anni di gol con intorno una Juve meno grande di lui
L'operazione Ronaldo a Torino è fallita: ha segnato sempre ma la squadra si è via via indebolita. Anche per scelte aziendali Se fosse la sceneggiatura di un film, il regista comincerebbe dalla fine: CR7 scende dalla sua auto portentosa, percorre a passo deciso la strada che conduce al campo d'allenamento della Continassa, arresta la marcia, il mento alto, lo sguardo che scruta il sole del mattino senza indulgere in nostalgie. Nei calciatori della sua schiatta - come lui in attività sono rimasti Leo Messi e Zlatan Ibrahimovic - le emozioni sono un tassello per completare un mosaico in ridefinizione costante. Poi incontra i compagni, li saluta con rituali retorici, qualcuno è dispiaciuto, qualcun altro magari sollevato nel levarsi il fardello di una presenza tanto ingombrante, un'occhiata all'armadietto che fu suo per tre annate, e via, direzione aeroporto. Lisbona, casa. Poi Manchester, sponda United, ritorno alle origini. Ventotto milioni di euro alla Juve e 25 a stagione a lui con un contratto biennale. Dopodiché le telecamere mostrerebbero un flashback: il suo arrivo a Torino, anno 2018. Interrogando lo spettatore su un tema: Cristiano Ronaldo è stato o no decisivo, nel periodo bianconero? Dati alla mano, la risposta è sì, tutto sommato lo è stato: 134 presenze, 101 gol, 22 assist, due Scudetti, una Coppa Italia, due Supercoppe italiane, impatto mediatico sopra la norma, catalizzatore, a volte soverchiatore cannibale del gioco della squadra. Manca la conquista della Champions, più che una ciliegina sulla torta, una torta sognata da decenni in mezzo a tante ciliegine. I maligni a Torino già incasellano Cristiano tra i reperti archeologici: non è così forte, non è servito. Dimenticano un aspetto cruciale della faccenda. Il portoghese fu acquistato dopo un'annata sfolgorante, culminata con la vittoria del campionato - titolo di cui la Juve ha fatto indigestione - e una sconfitta nella massima competizione continentale solo in finale. Poi però sono mancate le strategie di rinforzo. La scelta di ingaggiare CR7 contemplava un orizzonte: con lui non si avranno problemi a vincere in Europa l'anno prossimo, aggiungendo prestigio internazionale, infiammando i tifosi, garantendo a quel geniaccio 31 milioni netti a stagione, mica bruscolini, e però la gloria ha un prezzo, soprattutto nel calcio odierno. L'entusiasmo iniziale intercettava l'onda giusta. Quella Juventus aveva una difesa di ferro, il centrocampo solido, davanti c'erano un Mandzukic vispo, Dybala, Higuain ancora affamato dopo l'ambigua parentesi milanista. Ronaldo produce, segna, lo scudetto arriva, la Champions sfuma ai quarti di finale, un Ajax baldanzoso mette paura ai ragazzi di Allegri, allenatore con cui CR7 si intende poco. Uno è arrembante, l'altro guardingo nel definire le strategie. L'anno dopo però fioccano scelte discutibili. Allegri si congeda, arriva Maurizio Sarri, separato in casa. Il mister è un alchimista tattico, visionario, però è ruvido, incazzoso, indossa la tuta, Andrea Agnelli non ne farebbe mai l'emblema dello «stile Juve», l'hanno voluto Paratici e Nedved, si dice, e Cristiano non lo ama, abituato com'è a trattare con tecnici dal curriculum blasonato. Vengono scritturati Aaron Ramsey e Adrien Rabiot, buoni pedatori, ma non proprio Platini e Pogba. In difesa arriva De Ligt dall'Ajax, ottimo prospetto sebbene ancora da svezzare. Ennesimo scudetto vinto con il fuoriclasse lusitano deus ex machina in Italia, ma il sogno Champions si infrange agli ottavi di finale. Il numero 7 strapagato comincia a soffrire l'ambiente, si insinua in lui il sospetto che a Torino, Serie A a parte, la coppa dalle grandi orecchie sia simile alla Fata Morgana, un'illusione per profeti che predicano nel deserto. L'anno successivo ennesima rivoluzione. In panchina siede Andrea Pirlo, ex giocatore dal piede stupendo che non ha mai allenato in vita sua. Le cose vanno maluccio pure in campionato, il quarto posto è acciuffato per il rotto della cuffia. Ronaldo è capocannoniere, ma inizia a pensare a sé stesso. Contro il Benevento decide di riposarsi, non viene manco convocato, la Juventus pareggia una partita che con lui in campo avrebbe vinto, evidenziando una falla nella logica societaria. Quando CR7 era al Real, era sì un grande campione, ma era solo uno dei giocatori - il più forte - di un Real compatto. Qui sembrava la Juve a essere una società - talvolta - troppo a disposizione delle volizioni del fenomeno, patendo l'ombra di un uomo-azienda a sé stante, con i profili social più seguiti del Web. Nella ricetta per palati gourmet, è come se gli chef si fossero dimenticati qualche ingrediente. Resta da capire il rimpiazzo: Icardi, Kean, Scamacca alcune ipotesi, e pure nella verifica di tali profili si saggerà la consistenza europea dei bianconeri del prossimo futuro. Intanto il fuoriclasse trentaseienne tornerà all'ovile dei Red Devils per rintuzzare i suoi appetiti pantagruelici. Salutando i fan dal suo profilo Instagram con un «Grazzie Italia e tiffosi», scritti con due zeta e due effe. Nemmeno i suoi social media manager hanno legato granché con il Belpaese, pare.
(Totaleu)
Lo ha dichiarato l'europarlamentare della Lega Roberto Vannacci durante un'intervista al Parlamento europeo di Bruxelles.