2024-08-18
Costner sfida il woke col buon vecchio west
Kevin Costner (Getty Images)
La star di Hollywood Kevin Costner si svena per realizzare «Horizon», un’epopea cowboy che racconta l’America delle tradizioni e delle frontiere. Un cazzotto in faccia all’ideologia dominante che costerà una fortuna all’attore, ma che il Festival di Venezia non vuole perdersi.La Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, giunta alla sua ottantunesima edizione, si chiuderà il prossimo 7 settembre con il secondo capitolo di Horizon: an american saga di Kevin Costner. Si tratta, nello specifico, di una prima mondiale fuori concorso. Sempre nello stesso giorno, del resto, al Lido di Venezia verrà proiettato anche il primo capitolo di questa grandiosa tetralogia western, che Costner ha già presentato in anteprima lo scorso maggio al Festival di Cannes.Il celebre attore americano - che di questa coraggiosa pellicola è protagonista, regista, sceneggiatore e produttore - non ha fatto nulla per nascondere la sua emozione: «Il mio sogno era quello di presentare Horizon: an american saga - Capitolo 2 alla Mostra del cinema di Venezia. Il fatto che ora al Lido saranno proiettati prima il Capitolo 1 e poi la prima mondiale del Capitolo 2 dimostra non solo il modo in cui i due film si legano, ma anche il sostegno alla visione di un regista», ha dichiarato Costner. Che poi ha ringraziato pubblicamente il direttore del festival: «Sono in debito con Alberto Barbera per il coraggio che ha dimostrato nell’impegnarsi in questo viaggio cinematografico. È con gratitudine ed emozione che torno alla Mostra. Lunga vita ai film e a chi li vuole sostenere». Lo stesso Barbera si è detto entusiasta dell’iniziativa: «È un grande piacere e un onore ospitare la prima mondiale del Capitolo 2 di Horizon: an american saga, insieme al suo Capitolo 1», ha dichiarato il direttore della kermesse lagunare. «Questa new entry nel programma della Mostra di Venezia», ha aggiunto, «rende un sentito e rispettoso omaggio al progetto visionario di un grande attore e regista, che si è impegnato nella ricostruzione epica degli anni cruciali della fondazione del suo Paese, scavando oltre il mito in cerca di quell’autenticità capace di restituire un pezzo di storia nella sua realtà complessa e contraddittoria». In effetti, Horizon è un progetto davvero ambizioso: una tetralogia ambientata nel vecchio West per una durata complessiva di circa 11 ore (il solo Capitolo 1 ne dura tre). Ma Kevin Costner ci crede talmente tanto da aver partecipato in prima persona - e in maniera assai cospicua - alla produzione: dei 100 milioni stanziati per il primo film, il regista ha confermato di aver speso di tasca propria qualcosa come 38 milioni di dollari. Di più: «Ho ipotecato 10 acri a Santa Barbara, dove avrei dovuto costruire la mia ultima casa», ha confessato il divo di Hollywood. «Ma l’ho fatto senza pensarci due volte. Questa scelta, ovviamente, ha fatto imbestialire il mio commercialista. Ma è la mia vita e credo sia nell’idea che nella storia». A tanta passione, tuttavia, non ha fatto seguito un successo commerciale. Anzi. Se la critica si è divisa, il botteghino ha parlato chiaro: il primo capitolo di Horizon è stato un vero e proprio fiasco. A fronte di una spesa da 100 milioni di dollari, infatti, nelle sale statunitensi il film ha raccolto appena 29 milioni. Calcolando anche il mercato internazionale, si è arrivati a non più di 32 milioni di dollari: un’ecatombe. Tanto che il secondo capitolo della saga non uscirà neanche al cinema, ma sarà visibile solo in streaming. Eppure, nonostante questi numeri sconfortanti, Kevin Costner si è detto sicuro della bontà del progetto: «Al di là di questi risultati al botteghino», ha dichiarato in un’intervista a E! News, «io so che questo film andrà in onda per i prossimi 50 anni». Insomma, lui ci crede davvero e, a giudicare dalle parole rilasciate a GQ qualche mese fa, in Horizon Costner ha messo molto di sé stesso: «Questo è il messaggio che voglio mandare ai miei figli, affinché capiscano chi sono e che faccio ciò in cui credo».A ben vedere, Costner ha corso un bel rischio e non si può certo accusarlo di aver avuto poco coraggio. Per fiondarsi in questa nuova avventura, ha chiuso alla quinta stagione Yellowstone, che è stata una delle serie tv più apprezzate dal pubblico. Da Yellowstone - che è un neo-western, ed è quindi ambientato in epoca contemporanea - il divo di Hollywood è tornato direttamente al western classico. E cioè all’era dei pionieri, dei cowboy, della guerra civile tra nordisti e sudisti, degli scontri con gli indiani. In una parola, è tornato all’Ovest più selvaggio, nudo e crudo. Forse a pesare su questo insuccesso è soprattutto la natura seriale del progetto: una tetralogia che ha l’ambizione di raccontare la storia dell’America ottocentesca, ma in un intreccio di trame e personaggi che si dipanano in quattro capitoli, con rimandi e cesure che possono spaventare chi è abituato a «consumare» pellicole prêt-à-porter. Ma al di là di questo, Yellowstone aveva funzionato perché Costner ha trasposto nell’età contemporanea i valori del vecchio West (e dell’America profonda, o meglio dell’America bianca), trasformando la mera nostalgia per il «piccolo mondo antico» in un poderoso pugno nello stomaco della Hollywood colonizzata dalle truppe woke. In un ambiente ormai assuefatto alle lagne neofemministe e alle quote etniche, Kevin Costner ha riportato sul piccolo schermo i codici di condotta di un’America che rischia di sparire, trasmutando così un ethos in un vero e proprio epos: l’amore per la natura selvaggia e i paesaggi, il mito della frontiera, l’attaccamento alla famiglia e alla tradizione, il valore dell’amicizia virile, una società in cui gli uomini fanno gli uomini e le donne fanno le donne. Non a caso, la serie è piaciuta tantissimo al pubblico, molto meno ai critici con monocolo e tessera di Ultima generazione.Ecco, forse il salto dal piccolo al grande schermo è stato troppo azzardato, soprattutto se pensato per una saga di 11 ore. Ma il western, si sa, è particolarmente caro a Costner, che conobbe la sua consacrazione internazionale grazie a Balla coi lupi (1990), una pellicola che - insieme a Gli spietati (1992) di Clint Eastwood - rilanciò un genere che al tempo sembrava defunto. Magari ha ragione Kevin: oggi lo prendono in giro, ma tra 50 anni Horizon potrebbe davvero essere ricordato come un cult.
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