Così i populisti hanno scalato il potere in Stati Uniti, Francia, Germania e Austria
In realtà non si può neppure definirlo, come si illudono di poterlo fare le sinistre per marginalizzarlo e ghettizzarlo, un partitino di estrema destra. No, sono semplicemente giovani populisti, popolari, identitari e magari conservatori (specie sulle questioni bioetiche). O più esattamente, perché i concetti non si equivalgono, antiprogressisti e antimodernisti. E ovviamente guardano a destra, senza rancori ma anche senza eccessivi timori.
Ma anche la vittoria mutilata di Norbert Hofer in Austria ha lo stesso senso ed esprime una medesima volontà di cambiare politica. Al di là dei riconosciuti brogli che hanno fatto vincere a tavolino il candidato dei verdi, un politico identitario ha avuto almeno il voto del 50% degli elettori austriaci dopo che per mesi era stato presentato dalla stampa di regime più o meno come un dittatore sadico e incapace. Hofer in realtà rappresenta il popolo che vuole riprendersi la sua storia e non subire le decisioni di Bruxelles in ginocchio. E stavolta la gente vuole cambiare politica davvero, non come da decenni promettono i partitini pseudo-rivoluzionari degli ecologisti e dei radicali, più o meno chic. Per non parlare di Viktor Orbán in Ungheria.
La affermazione recente del partito di Vladimir Putin va nella stessa logica, come anche il successo finora virtuale ma comunque emblematico di Donald Trump negli Stati Uniti. Consenso popolare vasto e radicato (specie tra i ceti non padronali e meno rappresentati dai mass media dominanti): amore della nazione, rifiuto dei diktat delle varie fabbriche del consenso e opposizione alle ricette socialiste-obamiane sembrano essere i connotati che caratterizzano la corrente populista in Europa e in America. Tutto questo sembra coincidere con un risveglio della politica e un riavvicinamento dei giovani alla lotta per il bene comune delle rispettive patrie.
La Francia però mantiene il primato del populismo europeo dal punto di vista sia elettorale sia storico. Infatti, il partito fondato da Jean-Marie Le Pen oltre 40 anni fa è tra i più vecchi partiti nazionalisti del mondo e oggi rappresenta, in base non a sondaggi ma nei voti, la prima forza politica francese. Estrema destra? Difficile sostenere l'aggettivo dopo che il Front ha preso, e ripetutamente, più voti dei républicains di Manuel Valls e dei socialisti di François Hollande messi insieme. D'altra parte, l'Fn nel passaggio chiave da Jean-Marie a Marine Le Pen ha rappresentato anche una sorta di correzione di rotta, almeno tattica, o secondo alcuni anche strategica e storica. Si potrebbe dire che si è passati da un partito nazionalista forte e radicato (che però raramente superava il 15-20% dei voti, tipo vecchio Movimento sociale in Italia) a un movimento populista moderno (guidato da una giovane donna) che ingloba ormai tutte le categorie del popolo e della nazione (specie operai, artigiani e contadini): tutte appunto, purché si sentano «della nazione».
Il nemico principale è diventato negli anni non più il comunismo o la politica statalista della sinistra, ma l'immigrazione di massa ormai sempre più ingestibile e che tende alla sostituzione più o meno rapida del popolo francese con altre etnie, culture e religioni (specie arabo-islamiche). Gli attentati ripetuti in terra francese non potevano che esasperare le cose e rimettere la questione dell'immigrazione e dell'islam al centro dei dibattiti. I cittadini francesi ormai non si fidano più né di Hollande né di Valls, i fratelli-nemici simbolo comune della decadenza e dell'incapacità di trovare soluzioni da parte di gollisti e socialisti.
Essendo il problema fortemente culturale e religioso, proprio lo scorso 15 settembre è stato presentato in una conferenza stampa a Parigi un nuovo piccolo partito che nasce nell'ambiente cattolico tradizionalista dell'Istituto Civitas(civitas-institut.com). Civitas, presieduto da Alain Escada, aveva già fatto parlare di sé in occasioni di manifestazioni abbastanza riuscite in difesa della famiglia naturale, cancellata dalla Costituzione da Hollande, e contro le offese al sentimento religioso cristiano (come lo spettacolo blasfemo di Romeo Castellucci e le vignette di Charlie Hebdo).
La cosa interessante, in un'ottica populista, è che ormai sono proprio le basi laiche-demagogiche della République, venerata dai transalpini come una dea, a essere chiamate in causa e globalmente respinte, e sempre più dalle giovani generazioni disilluse dal progressismo ancora egemone. Così nel programma illustrato da Escada si parla di abolizione del «Mariage pour tous» (ovvero delle nozze gay), della legge Veil che ha permesso milioni di aborti in Francia, della legge di separazione tra Chiesa e Stato (del 1903) che ha di fatto favorito la trasformazione di un Paese cattolico, già faro della cristianità, in una società laicista fino all'inverosimile e apertamente ostile a tutto ciò che sa di religioso (salvo se di tradizione islamica). Le altre idee di Civitas vanno nel senso della diffidenza verso l'Ue e l'euro, ma anche nel blocco dell'immigrazione e nell'inasprimento delle pene per i reati (maggiori e minori), con la costruzione di nuove carceri di sicurezza, la lotta per la libertà dalla droga, dalla violenza (specie gli stupri femminili) e contro la criminalità organizzata.
L'episcopato francese non ha mai solidarizzato con Civitas né con le istanze populiste. La cosa non stupisce. Chissà se alcuni prelati apriranno gli occhi davanti alle esasperazioni del terrorismo islamico (che sorge e si mantiene nelle retrobotteghe delle moschee aperte a migliaia in Francia con l'appoggio dei socialisti) e alla violenza culturale del laicismo, ormai imposto nelle scuole di ogni ordine e grado, come fosse l'unica vera religione.
Di sicuro anche in Francia, come in Germania, in Austria e in America, il futuro volente o nolente sarà dei populisti.