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2023-12-22
La Corte Ue fa l’assist alla Superlega e infilza l’Uefa e la Fifa
Aleksander Ceferin (Getty Images)
Per la Corte di giustizia europea, Uefa e Fifa non hanno diritto al monopolio del calcio. La decisione dei giudici di Lussemburgo, che ieri hanno dato ragione alla Superlega. Sarà una rivoluzione simile a quella provocata dalla sentenza Bosman che nel 1995 stabilì la libera circolazione dei giocatori all’interno dell’Ue e abolì le «quote di nazionalità». Di certo, si tratta di una sconfitta storica per la Uefa di Aleksander Ceferin. La sentenza, inoltre, spalanca anche le porte ai sauditi che potranno organizzare un torneo con i club più importanti del mondo.
Ma partiamo dal verdetto: la Corte ha dichiarato «illegali le sanzioni ai club che partecipano a competizioni alternative». Fifa e Uefa stanno «abusando di una posizione dominante» e «la loro natura arbitraria, le loro norme in materia di approvazione, controllo e sanzioni devono essere ritenute valide restrizioni ingiustificate alla libera prestazione dei servizi». E ancora: «Le regole Fifa e Uefa che subordinano alla loro previa approvazione qualsiasi nuovo progetto calcistico interclub», si legge nella sentenza, «come ad esempio la Superleague e il divieto ai club e ai giocatori di giocare in quelle competizioni, sono illegali». La pronuncia non ha come conseguenza immediata la nascita della Superleague, però apre la strada a un modello organizzativo fondato non più sulle federazioni, ma sulle leghe create e gestite dalle stesse società.
La vicenda era iniziata il 19 aprile 2021, quando 12 grandi club europei (Real Madrid, Barcellona, Atletico Madrid, Manchester United, Manchester City, Chelsea, Arsenal, Tottenham, Liverpool, Juventus, Inter e Milan) avevano annunciato il loro accordo di principio per lanciare un progetto chiuso, appunto la Superlega, in concorrenza con la Champions league organizzata dalla Federcalcio europea. Di fronte alle protesta dei tifosi, soprattutto inglesi, e alle minacce di pesanti sanzioni da parte di Uefa e Fifa, il progetto si era rapidamente sgonfiato, con la retromarcia di nove club (l’ultima ad arrendersi è stata la Juventus, lo scorso luglio). Sono così rimaste Real Madrid e Barcellona, unite nella Società di Superlega europea. Supportata dall’agenzia di marketing A22, la Superlega ha portato il caso davanti al tribunale Mercantile della Capitale spagnola, che a sua volta ha deferito la questione alla Corte di Lussemburgo (tra l’altro, le due spagnole sono rappresentate dallo studio legale Dupont-Hissel, lo stesso della famosa sentenza Bosman).
Ieri sono arrivate le reazioni degli sconfitti: «Il calcio non è in vendita. Possono creare quello che vogliono, non proveremo a fermarli. Non abbiamo mai detto che non si possa andare fuori dal sistema, ma non si può uscire e voler giocare i campionati nazionali. Non c’è stato il semaforo verde per la Superlega, così com’era stata proposta nel 2021», ha detto il presidente dell’Uefa, Ceferin. Il sostegno all’Uefa è stato rinnovato dalla European club association (Eca). Quanto alla Fifa, il presidente, Gianni Infantino, minimizza: «La sentenza non cambia nulla. Continueremo a organizzare i tornei più spettacolari e competitivi e utilizzeremo i nostri ricavi per sviluppare il calcio in ogni angolo del globo, attraverso programmi di solidarietà».
Al netto delle dichiarazioni, la sentenza apre nuovi scenari anche nella gestione dei diritti tv. «Le norme Fifa e Uefa relative allo sfruttamento dei diritti mediatici sono tali da danneggiare le società calcistiche europee, tutte le società che operano nei mercati dei media e, in ultima analisi, i consumatori e i telespettatori, impedendo loro di godere di competizioni nuove e potenzialmente innovative o interessanti», è infatti uno dei passaggi della decisione della Corte. Non solo. La promessa di A22, la società promotrice della Superlega, è che tutte le partite, insieme a highlights e approfondimenti anche interattivi, saranno offerte «gratuitamente» ai tifosi di tutto il mondo su una nuova piattaforma streaming battezzata «Unify». Un progetto che si dovrebbe mantenere con la vendita diretta della pubblicità ma anche con gli abbonamenti premium, le partnership di distribuzione, i servizi interattivi e gli sponsor. Facendo così concorrenza a Dazn e Sky.
Dopo la sentenza di ieri gli equilibri potrebbero cambiare radicalmente anche in termini di geopolitica del pallone. Perché il verdetto coincide con l’avanzata del Pif (Public investment fund), il fondo sovrano dell’Arabia saudita del principe ereditario saudita Mohammad bin Salman, fondato a Riad nel 1971. Dopo aver acquisito nell’ottobre 2021 l’80% delle azioni del Newcastle, a giugno 2023 si è accaparrato anche il 75% delle azioni di quattro squadre della Saudi Pro league. Cui si è aggiunto lo shopping estivo nel mercato europeo per arricchire il proprio campionato con l’acquisto di giocatori di valore. Lo schema è simile a quello già seguito dagli Emirati Arabi (col Manchester City) e dal Qatar (col Paris St Germain) che hanno utilizzato la piattaforma dello sport e del calcio sia per sfruttare le nuove tecnologie sia per legittimarsi a livello internazionale lasciando sullo sfondo le ombre su diritti umani e modelli autocratici (il cosiddetto «sportwashing»). Con il «liberi tutti», l’Arabia Saudita potrebbe lanciare un’Opa sulle competizioni calcistiche europee o addirittura organizzare (e controllare) una Superlega globale, come è già successo nel golf.
La Serie A ora teme il declassamento
Cosa succederà adesso con le leghe nazionali? Verranno «svuotate» in termini di potere dalla sentenza dei giudici di Lussemburgo? Se lo chiedono i club, i tifosi e anche le istituzioni sportive. A caldo, in Italia, ieri sono arrivate le prime dichiarazioni. «Con la Superlega lo scudetto diventa carta straccia? Sicuramente non posso dirlo, ma il rischio che diventi marginale in termini di interessi esiste», ha detto il presidente del Coni, Giovanni Malagò, spiegando che «gli organismi preposti dovranno predisporre logiche di accorgimento e contromisure rispetto a quanto ha previsto la Corte europea. Ora dobbiamo capire quali contromisure prenderanno Fifa e Uefa».
Il ministro dello Sport, Andrea Abodi, ha sottolineato che «la Corte non ha detto che si giocherà la Superlega ma che l’assetto va rivisto. Il presupposto fondamentale per me è che ci sia inclusività della competizione, la tutela dei campionati nazionali, dei vivai e della nazionale». I ministri dei Paesi europei si vedranno il 10 gennaio a Bruxelles «per concordare la posizione e sostanziarla», ha poi aggiunto Abodi.
Fino a ieri sera mancava all’appello l’intervento del presidente della Figc, Gabriele Gravina, che si era schierato al fianco del capo della Uefa, Aleksander Ceferin. E che mercoledì alla vigilia del verdetto aveva lanciato un monito ai club italiani intenzionati a partecipare alla Superlega: «Esiste una norma federale per la quale chi aderisce a quel mondo esce dal sistema federale del calcio», erano state le sue parole. Nel tardo pomeriggio è comunque arrivata la nota ufficiale della Figc che già nel 2021 aveva inserito nel suo statuto una clausola per estromettere dai campionati nazionali i club che intendono partecipare al nuovo torneo. «Nel rispetto delle leggi nazionali e dei regolamenti internazionali», la Federcalcio «ritiene che la Superlega non sia un progetto compatibile con queste condizioni». Il riferimento è alla clausola anti fuga inserita nel 2021 nello statuto federale, su proposta dello stesso Gravina, che di fatto impedisce l’iscrizione ai campionati nazionali per i club che partecipino a competizioni organizzate da organismi privati non riconosciuti da Uefa e Fifa. Quanto alla Lega di Serie A, in una dichiarazione ufficiale è stata ribadita «la centralità del campionato nazionale e dei suoi tifosi» con l’auspicio che «i successivi sviluppi vedano un pieno coinvolgimento delle leghe e dei club».
Ma i big del nostro campionato come hanno accolto la rivoluzione innescata ieri dalla Corte? La Roma si schiera contro la Superlega. In una nota, la società dei Friedkin «ribadisce la propria posizione in rispetto dei valori e del futuro del calcio europeo», sottolinea di «non appoggiare in nessun modo alcun progetto di cosiddetta Superlega che rappresenterebbe un inaccettabile attacco all’importanza dei campionati nazionali e alle fondamenta del calcio europeo» e «crede che il futuro e il benessere del calcio europeo possano essere assicurati solo con il lavoro congiunto dei club attraverso l’Eca, in stretta collaborazione e in partnership con Uefa e Fifa». Stessa linea in casa dell’Inter: «Il futuro del calcio europeo può essere garantito solamente dalla collaborazione tra i club all’interno dell’Eca e in partnership con Uefa e Fifa», si legge nel comunicato del club nerazzurro, inizialmente tra i promotori del progetto lanciato nell’aprile del 2021. Un’apertura arriva, invece, dal Napoli. Il patron Aurelio De Laurentiis si era espresso in passato su posizioni simili a quelle della sentenza di ieri e sarebbe pronto a partecipare a un dialogo con altri grandi club europei per costruire insieme il progetto.
A esultare, sono Andrea Agnelli - grande fautore della Superlega - e la Juve che, tra l’altro, ha visto il suo titolo balzare in Borsa di oltre il 5%. «Fino alla fine», ha scritto l’ex presidente bianconero su X citando un celebre brano degli U2: «Voglio correre, voglio nascondermi, voglio abbattere i muri che mi trattengono».
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I giudici condannano il «monopolio illegale». Una sentenza che permetterà agli arabi (col fondo Pif) di papparsi il pallone.Gabriele Gravina minaccia: «Chi aderisce è fuori dal sistema federale». Giovanni Malagò: «Lo scudetto rischia di diventare carta straccia». Entusiaste Juve e Napoli, contrarie Roma e Inter.Lo speciale contiene due articoli.Per la Corte di giustizia europea, Uefa e Fifa non hanno diritto al monopolio del calcio. La decisione dei giudici di Lussemburgo, che ieri hanno dato ragione alla Superlega. Sarà una rivoluzione simile a quella provocata dalla sentenza Bosman che nel 1995 stabilì la libera circolazione dei giocatori all’interno dell’Ue e abolì le «quote di nazionalità». Di certo, si tratta di una sconfitta storica per la Uefa di Aleksander Ceferin. La sentenza, inoltre, spalanca anche le porte ai sauditi che potranno organizzare un torneo con i club più importanti del mondo.Ma partiamo dal verdetto: la Corte ha dichiarato «illegali le sanzioni ai club che partecipano a competizioni alternative». Fifa e Uefa stanno «abusando di una posizione dominante» e «la loro natura arbitraria, le loro norme in materia di approvazione, controllo e sanzioni devono essere ritenute valide restrizioni ingiustificate alla libera prestazione dei servizi». E ancora: «Le regole Fifa e Uefa che subordinano alla loro previa approvazione qualsiasi nuovo progetto calcistico interclub», si legge nella sentenza, «come ad esempio la Superleague e il divieto ai club e ai giocatori di giocare in quelle competizioni, sono illegali». La pronuncia non ha come conseguenza immediata la nascita della Superleague, però apre la strada a un modello organizzativo fondato non più sulle federazioni, ma sulle leghe create e gestite dalle stesse società. La vicenda era iniziata il 19 aprile 2021, quando 12 grandi club europei (Real Madrid, Barcellona, Atletico Madrid, Manchester United, Manchester City, Chelsea, Arsenal, Tottenham, Liverpool, Juventus, Inter e Milan) avevano annunciato il loro accordo di principio per lanciare un progetto chiuso, appunto la Superlega, in concorrenza con la Champions league organizzata dalla Federcalcio europea. Di fronte alle protesta dei tifosi, soprattutto inglesi, e alle minacce di pesanti sanzioni da parte di Uefa e Fifa, il progetto si era rapidamente sgonfiato, con la retromarcia di nove club (l’ultima ad arrendersi è stata la Juventus, lo scorso luglio). Sono così rimaste Real Madrid e Barcellona, unite nella Società di Superlega europea. Supportata dall’agenzia di marketing A22, la Superlega ha portato il caso davanti al tribunale Mercantile della Capitale spagnola, che a sua volta ha deferito la questione alla Corte di Lussemburgo (tra l’altro, le due spagnole sono rappresentate dallo studio legale Dupont-Hissel, lo stesso della famosa sentenza Bosman). Ieri sono arrivate le reazioni degli sconfitti: «Il calcio non è in vendita. Possono creare quello che vogliono, non proveremo a fermarli. Non abbiamo mai detto che non si possa andare fuori dal sistema, ma non si può uscire e voler giocare i campionati nazionali. Non c’è stato il semaforo verde per la Superlega, così com’era stata proposta nel 2021», ha detto il presidente dell’Uefa, Ceferin. Il sostegno all’Uefa è stato rinnovato dalla European club association (Eca). Quanto alla Fifa, il presidente, Gianni Infantino, minimizza: «La sentenza non cambia nulla. Continueremo a organizzare i tornei più spettacolari e competitivi e utilizzeremo i nostri ricavi per sviluppare il calcio in ogni angolo del globo, attraverso programmi di solidarietà». Al netto delle dichiarazioni, la sentenza apre nuovi scenari anche nella gestione dei diritti tv. «Le norme Fifa e Uefa relative allo sfruttamento dei diritti mediatici sono tali da danneggiare le società calcistiche europee, tutte le società che operano nei mercati dei media e, in ultima analisi, i consumatori e i telespettatori, impedendo loro di godere di competizioni nuove e potenzialmente innovative o interessanti», è infatti uno dei passaggi della decisione della Corte. Non solo. La promessa di A22, la società promotrice della Superlega, è che tutte le partite, insieme a highlights e approfondimenti anche interattivi, saranno offerte «gratuitamente» ai tifosi di tutto il mondo su una nuova piattaforma streaming battezzata «Unify». Un progetto che si dovrebbe mantenere con la vendita diretta della pubblicità ma anche con gli abbonamenti premium, le partnership di distribuzione, i servizi interattivi e gli sponsor. Facendo così concorrenza a Dazn e Sky.Dopo la sentenza di ieri gli equilibri potrebbero cambiare radicalmente anche in termini di geopolitica del pallone. Perché il verdetto coincide con l’avanzata del Pif (Public investment fund), il fondo sovrano dell’Arabia saudita del principe ereditario saudita Mohammad bin Salman, fondato a Riad nel 1971. Dopo aver acquisito nell’ottobre 2021 l’80% delle azioni del Newcastle, a giugno 2023 si è accaparrato anche il 75% delle azioni di quattro squadre della Saudi Pro league. Cui si è aggiunto lo shopping estivo nel mercato europeo per arricchire il proprio campionato con l’acquisto di giocatori di valore. Lo schema è simile a quello già seguito dagli Emirati Arabi (col Manchester City) e dal Qatar (col Paris St Germain) che hanno utilizzato la piattaforma dello sport e del calcio sia per sfruttare le nuove tecnologie sia per legittimarsi a livello internazionale lasciando sullo sfondo le ombre su diritti umani e modelli autocratici (il cosiddetto «sportwashing»). Con il «liberi tutti», l’Arabia Saudita potrebbe lanciare un’Opa sulle competizioni calcistiche europee o addirittura organizzare (e controllare) una Superlega globale, come è già successo nel golf.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/corte-ue-uefa-fifa-superlega-2666764078.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-serie-a-ora-teme-il-declassamento" data-post-id="2666764078" data-published-at="1703197372" data-use-pagination="False"> La Serie A ora teme il declassamento Cosa succederà adesso con le leghe nazionali? Verranno «svuotate» in termini di potere dalla sentenza dei giudici di Lussemburgo? Se lo chiedono i club, i tifosi e anche le istituzioni sportive. A caldo, in Italia, ieri sono arrivate le prime dichiarazioni. «Con la Superlega lo scudetto diventa carta straccia? Sicuramente non posso dirlo, ma il rischio che diventi marginale in termini di interessi esiste», ha detto il presidente del Coni, Giovanni Malagò, spiegando che «gli organismi preposti dovranno predisporre logiche di accorgimento e contromisure rispetto a quanto ha previsto la Corte europea. Ora dobbiamo capire quali contromisure prenderanno Fifa e Uefa». Il ministro dello Sport, Andrea Abodi, ha sottolineato che «la Corte non ha detto che si giocherà la Superlega ma che l’assetto va rivisto. Il presupposto fondamentale per me è che ci sia inclusività della competizione, la tutela dei campionati nazionali, dei vivai e della nazionale». I ministri dei Paesi europei si vedranno il 10 gennaio a Bruxelles «per concordare la posizione e sostanziarla», ha poi aggiunto Abodi. Fino a ieri sera mancava all’appello l’intervento del presidente della Figc, Gabriele Gravina, che si era schierato al fianco del capo della Uefa, Aleksander Ceferin. E che mercoledì alla vigilia del verdetto aveva lanciato un monito ai club italiani intenzionati a partecipare alla Superlega: «Esiste una norma federale per la quale chi aderisce a quel mondo esce dal sistema federale del calcio», erano state le sue parole. Nel tardo pomeriggio è comunque arrivata la nota ufficiale della Figc che già nel 2021 aveva inserito nel suo statuto una clausola per estromettere dai campionati nazionali i club che intendono partecipare al nuovo torneo. «Nel rispetto delle leggi nazionali e dei regolamenti internazionali», la Federcalcio «ritiene che la Superlega non sia un progetto compatibile con queste condizioni». Il riferimento è alla clausola anti fuga inserita nel 2021 nello statuto federale, su proposta dello stesso Gravina, che di fatto impedisce l’iscrizione ai campionati nazionali per i club che partecipino a competizioni organizzate da organismi privati non riconosciuti da Uefa e Fifa. Quanto alla Lega di Serie A, in una dichiarazione ufficiale è stata ribadita «la centralità del campionato nazionale e dei suoi tifosi» con l’auspicio che «i successivi sviluppi vedano un pieno coinvolgimento delle leghe e dei club». Ma i big del nostro campionato come hanno accolto la rivoluzione innescata ieri dalla Corte? La Roma si schiera contro la Superlega. In una nota, la società dei Friedkin «ribadisce la propria posizione in rispetto dei valori e del futuro del calcio europeo», sottolinea di «non appoggiare in nessun modo alcun progetto di cosiddetta Superlega che rappresenterebbe un inaccettabile attacco all’importanza dei campionati nazionali e alle fondamenta del calcio europeo» e «crede che il futuro e il benessere del calcio europeo possano essere assicurati solo con il lavoro congiunto dei club attraverso l’Eca, in stretta collaborazione e in partnership con Uefa e Fifa». Stessa linea in casa dell’Inter: «Il futuro del calcio europeo può essere garantito solamente dalla collaborazione tra i club all’interno dell’Eca e in partnership con Uefa e Fifa», si legge nel comunicato del club nerazzurro, inizialmente tra i promotori del progetto lanciato nell’aprile del 2021. Un’apertura arriva, invece, dal Napoli. Il patron Aurelio De Laurentiis si era espresso in passato su posizioni simili a quelle della sentenza di ieri e sarebbe pronto a partecipare a un dialogo con altri grandi club europei per costruire insieme il progetto. A esultare, sono Andrea Agnelli - grande fautore della Superlega - e la Juve che, tra l’altro, ha visto il suo titolo balzare in Borsa di oltre il 5%. «Fino alla fine», ha scritto l’ex presidente bianconero su X citando un celebre brano degli U2: «Voglio correre, voglio nascondermi, voglio abbattere i muri che mi trattengono».
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
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Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
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