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2023-08-04
L’addestramento Usa è un flop: Kiev resta impantanata
(Ansa)
Ormai non si può più negare l’evidenza. La controffensiva ucraina sta andando male. Due mesi di scontri sul campo che non hanno portato a nulla e di nuovo le autorità militari hanno deciso di cambiare tattica. Lo rivela il New York Times che spiega come le truppe ucraine equipaggiate con armi americane d’avanguardia si siano arenate all’interno dei campi minati russi, tartassate continuamente dal fuoco di artiglieria ed elicotteri da combattimento. Alcune unità si sono perse. Altre hanno ritardato gli attacchi, perdendo il vantaggio acquisito. Altre ancora sono andate così male da perdere completamente sul campo di battaglia.
Insomma non esattamente un successo, anzi. Nulla a che vedere con i successi ottenuti nelle città strategicamente importanti di Kherson e Kharkiv lo scorso autunno. Questo ha costretto ancora una volta i comandanti militari ucraini a cambiare tattica, concentrandosi sul logoramento delle forze russe con artiglieria e missili a lungo raggio invece di continuare ad avanzare nei campi minati sotto il fuoco nemico. L’addestramento occidentale non è servito a nulla di fronte allo sbarramento dell’artiglieria russa.
Questi risultati hanno fatto nascere una polemica interna agli Stati Uniti che, inevitabilmente, ricadrà a stretto giro sulla Nato e, quindi, in Europa. Ha avuto senso spendere decine di miliardi di dollari in armi e addestramento se questi sono i risultati? Non si può parlare di controffensiva fallita perché la guerra non è finita, ma è come quando il presidente russo Vladimir Putin diceva che avrebbe fatto una guerra lampo contro l’Ucraina: non è andata così. Oggi si può parlare di una guerra di logoramento senza aver paura di esser contraddetti. Putin ha più volte lasciato intendere che, avendo conquistato i territori che gli interessavano (almeno per ora), la sua strategia consisterà ora nell’attendere dietro le barricate l’azione di Kiev, aspettando che esaurisca le energie e i rifornimenti. Un piano che, per il momento, sembra funzionare. L’amministrazione Biden aveva sperato che le nove brigate addestrate dall’Occidente, circa 36.000 soldati, avrebbero dimostrato che il modo di fare guerra americano era superiore a quello russo. Strategie completamente diversa: mentre i russi hanno una struttura di comando rigidamente centralizzata, gli americani hanno insegnato agli ucraini a consentire ai soldati arruolati anziani di prendere decisioni rapide sul campo di battaglia e di schierare tattiche di armi combinate: attacchi sincronizzati di fanteria e forze di artiglieria.
Lo sforzo di riprendersi il proprio territorio «sta richiedendo loro di combattere in modi diversi», ha detto il mese scorso Colin H. Kahl che, recentemente, si è dimesso da alto funzionario politico del Pentagono. Ma le brigate addestrate in Occidente hanno ricevuto solo dalle quattro alle sei settimane di addestramento combinato alle armi e le unità hanno commesso diversi errori all’inizio della controffensiva, ai primi di giugno, che le hanno fatte arretrare, secondo funzionari e analisti statunitensi che hanno recentemente visitato le linee del fronte e hanno parlato alle truppe e ai comandanti ucraini.
Nelle prime due settimane della controffensiva, secondo i funzionari statunitensi ed europei, fino al 20% delle armi inviate dall’Ucraina sul campo di battaglia è stato danneggiato o distrutto. Il bilancio includeva alcune delle formidabili macchine da combattimento occidentali - carri armati e veicoli corazzati - su cui gli ucraini contavano per respingere i russi. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, alla fine di luglio, ha riconosciuto che la controffensiva stava avanzando più lentamente del previsto: «Avevamo in programma di avviarla in primavera, ma non l’abbiamo fatto perché, francamente, non avevamo abbastanza munizioni e armamenti e non abbastanza brigate adeguatamente addestrate - voglio dire, adeguatamente addestrate in queste armi», ha detto Zelensky, che ha aggiunto: «Poiché abbiamo iniziato un po’ in ritardo», la Russia ha avuto «tempo per costruire diverse linee di difesa».
Ad ogni modo, Zelensky crede che, prima o poi, questa pressione le truppe russe la subiranno, e riuscirà, nelle prossime settimane, a trovare un varco. Ma in questo momento non ci sono certezze che ciò avvenga, piuttosto lo scenario più probabile è che la controffensiva si spenga. Sono sempre più i droni in volo e quando la guerra si sposta nei cieli fa inevitabilmente più morti e coinvolge più attori. Tra l’altro c’è anche la minaccia dell’arma atomica. A Mosca, naturalmente, conviene che le cose rimangano così, per quello spera in una tregua, per consolidare i successi ottenuti. In questo momento, se davvero dovesse concretizzarsi il fallimento della controffensiva, sono solo tre gli scenari che possono aprirsi: il primo è quello di una trattativa che includa la possibilità di lasciare parte delle conquiste ucraine ai russi. Il secondo, è il peggiore: l’ingresso in campo di nuovi attori, come l’esercito della Nato. Il preludio a una catastrofe che deve a tutti i costi essere evitata. Infine, il terzo scenario: una guerra di anni, alla fine della quale l’Ucraina non esisterà più e non ci sarà più nulla da dover difendere.
La Polonia accusa i bielorussi: «Violato lo spazio aereo»
Tensione alle stelle ai confini dell’Ucraina. Tutto è nato il primo agosto quando la Polonia ha accusato la Bielorussia di aver invaso il proprio spazio aereo polacco con due elicotteri. Ieri l’ambasciatore polacco a Minsk, Martin Wojciechowski, è stato convocato dal ministero bielorusso degli Esteri. «Il diplomatico è stato informato che le frettolose dichiarazioni rilasciate da funzionari polacchi in merito alla violazione dello spazio aereo polacco da parte di due elicotteri bielorussi il 1° agosto 2023 non sono state confermate a seguito di un controllo completo effettuato dalla parte bielorussa», spiega il dicastero, «I dati di controllo oggettivo della traiettoria di volo degli elicotteri sono stati forniti per dimostrarlo».
Minsk ha quindi esortato Varsavia a non usare il caso come giustificazione per «un rafforzamento delle sue truppe» al confine. Minsk, infatti, ritiene che la leadership militare e politica polacca stia semplicemente cercando una scusa per aumentare le sue truppe vicino al confine. La risposta dell’Unione europea arriva pronta: ha imposto un divieto sull’esportazione di beni e tecnologie alla Bielorussia che possono contribuire al suo potenziamento militare e tecnologico.
Lo ha dichiarato la Commissione europea: «Le misure estendono il divieto di esportazione verso la Bielorussia a una serie di beni e tecnologie altamente sensibili che contribuiscono al potenziamento militare e tecnologico della Bielorussia. Il Consiglio impone, inoltre, un ulteriore divieto di esportazione di armi da fuoco e munizioni, oltre che di beni e tecnologie adatti all’utilizzo nell’aviazione e nell’industria spaziale». Secondo la Commissione, le nuove misure contribuiranno a garantire che le sanzioni contro la Russia «non possano essere aggirate attraverso la Bielorussia». La Ue ha aggiunto anche rappresentanti della tv di Stato bielorussa nella «lista nera» dei soggetti sottoposti alle sanzioni decretate in seguito all’invasione russa dell’Ucraina nonché a quelle relative alla repressione dell’opposizione da parte del regime di Minsk: 38 figure del regime e tre entità statali, tra cui i principali «propagandisti» della televisione di Stato, pubblici ministeri e funzionari penitenziari.
Il grano rimane sempre il tema più importante di queste settimane. E lo è da quando la Russia ha deciso di non rinnovarne l’accordo sull’export. Il segretario di Stato americano, Antony Blinken, ha accusato Mosca di «ricattare» il mondo con il blocco dell’accordo sui cereali. Allo stesso tempo, però, ha aperto uno spiraglio: «Se la Russia deciderà di tornare all’accordo sul grano», gli Stati Uniti faranno in modo che tutti, «inclusa la Russia», possano esportare cibo. Proprio questa è la richiesta di Mosca: la garanzia di poter esportare prodotti russi in tutto il mondo, cosa che finora le era impedita a causa del blocco dei pagamenti sul circuito Swift.
In Ucraina, intanto, la giornata di ieri si è concentrata principalmente su Zaporizhzhia dove è morta una donna di 58 anni a seguito dei numerosi bombardamenti. «Nell’ultimo giorno, il nemico ha effettuato 80 bombardamenti nella regione di Zaporizhzhia. I russi hanno attaccato 21 insediamenti nella regione», hanno riferito le autorità della zona. Infine, nella centrale nucleare, le autorità ucraine hanno individuato almeno due mine antiuomo lungo la strada che percorrono di solito gli esperti dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) per raggiungere il sito.
Le mine sono state disinnescate ma l’attenzione sulla centrale più grande d’Europa rimane naturalmente altissima.
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Il «Nyt»: «Controffensiva arenata nei campi minati». Le truppe ucraine cambiano strategia, mentre i negoziati restano lontani.La Polonia accusa: la Bielorussia ha violato lo spazio aereo. Minsk nega e Varsavia invia truppe al confine.Lo speciale contiene due articoli.Ormai non si può più negare l’evidenza. La controffensiva ucraina sta andando male. Due mesi di scontri sul campo che non hanno portato a nulla e di nuovo le autorità militari hanno deciso di cambiare tattica. Lo rivela il New York Times che spiega come le truppe ucraine equipaggiate con armi americane d’avanguardia si siano arenate all’interno dei campi minati russi, tartassate continuamente dal fuoco di artiglieria ed elicotteri da combattimento. Alcune unità si sono perse. Altre hanno ritardato gli attacchi, perdendo il vantaggio acquisito. Altre ancora sono andate così male da perdere completamente sul campo di battaglia.Insomma non esattamente un successo, anzi. Nulla a che vedere con i successi ottenuti nelle città strategicamente importanti di Kherson e Kharkiv lo scorso autunno. Questo ha costretto ancora una volta i comandanti militari ucraini a cambiare tattica, concentrandosi sul logoramento delle forze russe con artiglieria e missili a lungo raggio invece di continuare ad avanzare nei campi minati sotto il fuoco nemico. L’addestramento occidentale non è servito a nulla di fronte allo sbarramento dell’artiglieria russa.Questi risultati hanno fatto nascere una polemica interna agli Stati Uniti che, inevitabilmente, ricadrà a stretto giro sulla Nato e, quindi, in Europa. Ha avuto senso spendere decine di miliardi di dollari in armi e addestramento se questi sono i risultati? Non si può parlare di controffensiva fallita perché la guerra non è finita, ma è come quando il presidente russo Vladimir Putin diceva che avrebbe fatto una guerra lampo contro l’Ucraina: non è andata così. Oggi si può parlare di una guerra di logoramento senza aver paura di esser contraddetti. Putin ha più volte lasciato intendere che, avendo conquistato i territori che gli interessavano (almeno per ora), la sua strategia consisterà ora nell’attendere dietro le barricate l’azione di Kiev, aspettando che esaurisca le energie e i rifornimenti. Un piano che, per il momento, sembra funzionare. L’amministrazione Biden aveva sperato che le nove brigate addestrate dall’Occidente, circa 36.000 soldati, avrebbero dimostrato che il modo di fare guerra americano era superiore a quello russo. Strategie completamente diversa: mentre i russi hanno una struttura di comando rigidamente centralizzata, gli americani hanno insegnato agli ucraini a consentire ai soldati arruolati anziani di prendere decisioni rapide sul campo di battaglia e di schierare tattiche di armi combinate: attacchi sincronizzati di fanteria e forze di artiglieria.Lo sforzo di riprendersi il proprio territorio «sta richiedendo loro di combattere in modi diversi», ha detto il mese scorso Colin H. Kahl che, recentemente, si è dimesso da alto funzionario politico del Pentagono. Ma le brigate addestrate in Occidente hanno ricevuto solo dalle quattro alle sei settimane di addestramento combinato alle armi e le unità hanno commesso diversi errori all’inizio della controffensiva, ai primi di giugno, che le hanno fatte arretrare, secondo funzionari e analisti statunitensi che hanno recentemente visitato le linee del fronte e hanno parlato alle truppe e ai comandanti ucraini.Nelle prime due settimane della controffensiva, secondo i funzionari statunitensi ed europei, fino al 20% delle armi inviate dall’Ucraina sul campo di battaglia è stato danneggiato o distrutto. Il bilancio includeva alcune delle formidabili macchine da combattimento occidentali - carri armati e veicoli corazzati - su cui gli ucraini contavano per respingere i russi. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, alla fine di luglio, ha riconosciuto che la controffensiva stava avanzando più lentamente del previsto: «Avevamo in programma di avviarla in primavera, ma non l’abbiamo fatto perché, francamente, non avevamo abbastanza munizioni e armamenti e non abbastanza brigate adeguatamente addestrate - voglio dire, adeguatamente addestrate in queste armi», ha detto Zelensky, che ha aggiunto: «Poiché abbiamo iniziato un po’ in ritardo», la Russia ha avuto «tempo per costruire diverse linee di difesa».Ad ogni modo, Zelensky crede che, prima o poi, questa pressione le truppe russe la subiranno, e riuscirà, nelle prossime settimane, a trovare un varco. Ma in questo momento non ci sono certezze che ciò avvenga, piuttosto lo scenario più probabile è che la controffensiva si spenga. Sono sempre più i droni in volo e quando la guerra si sposta nei cieli fa inevitabilmente più morti e coinvolge più attori. Tra l’altro c’è anche la minaccia dell’arma atomica. A Mosca, naturalmente, conviene che le cose rimangano così, per quello spera in una tregua, per consolidare i successi ottenuti. In questo momento, se davvero dovesse concretizzarsi il fallimento della controffensiva, sono solo tre gli scenari che possono aprirsi: il primo è quello di una trattativa che includa la possibilità di lasciare parte delle conquiste ucraine ai russi. Il secondo, è il peggiore: l’ingresso in campo di nuovi attori, come l’esercito della Nato. Il preludio a una catastrofe che deve a tutti i costi essere evitata. 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Ieri l’ambasciatore polacco a Minsk, Martin Wojciechowski, è stato convocato dal ministero bielorusso degli Esteri. «Il diplomatico è stato informato che le frettolose dichiarazioni rilasciate da funzionari polacchi in merito alla violazione dello spazio aereo polacco da parte di due elicotteri bielorussi il 1° agosto 2023 non sono state confermate a seguito di un controllo completo effettuato dalla parte bielorussa», spiega il dicastero, «I dati di controllo oggettivo della traiettoria di volo degli elicotteri sono stati forniti per dimostrarlo». Minsk ha quindi esortato Varsavia a non usare il caso come giustificazione per «un rafforzamento delle sue truppe» al confine. Minsk, infatti, ritiene che la leadership militare e politica polacca stia semplicemente cercando una scusa per aumentare le sue truppe vicino al confine. La risposta dell’Unione europea arriva pronta: ha imposto un divieto sull’esportazione di beni e tecnologie alla Bielorussia che possono contribuire al suo potenziamento militare e tecnologico. Lo ha dichiarato la Commissione europea: «Le misure estendono il divieto di esportazione verso la Bielorussia a una serie di beni e tecnologie altamente sensibili che contribuiscono al potenziamento militare e tecnologico della Bielorussia. Il Consiglio impone, inoltre, un ulteriore divieto di esportazione di armi da fuoco e munizioni, oltre che di beni e tecnologie adatti all’utilizzo nell’aviazione e nell’industria spaziale». Secondo la Commissione, le nuove misure contribuiranno a garantire che le sanzioni contro la Russia «non possano essere aggirate attraverso la Bielorussia». La Ue ha aggiunto anche rappresentanti della tv di Stato bielorussa nella «lista nera» dei soggetti sottoposti alle sanzioni decretate in seguito all’invasione russa dell’Ucraina nonché a quelle relative alla repressione dell’opposizione da parte del regime di Minsk: 38 figure del regime e tre entità statali, tra cui i principali «propagandisti» della televisione di Stato, pubblici ministeri e funzionari penitenziari. Il grano rimane sempre il tema più importante di queste settimane. E lo è da quando la Russia ha deciso di non rinnovarne l’accordo sull’export. Il segretario di Stato americano, Antony Blinken, ha accusato Mosca di «ricattare» il mondo con il blocco dell’accordo sui cereali. Allo stesso tempo, però, ha aperto uno spiraglio: «Se la Russia deciderà di tornare all’accordo sul grano», gli Stati Uniti faranno in modo che tutti, «inclusa la Russia», possano esportare cibo. Proprio questa è la richiesta di Mosca: la garanzia di poter esportare prodotti russi in tutto il mondo, cosa che finora le era impedita a causa del blocco dei pagamenti sul circuito Swift. In Ucraina, intanto, la giornata di ieri si è concentrata principalmente su Zaporizhzhia dove è morta una donna di 58 anni a seguito dei numerosi bombardamenti. «Nell’ultimo giorno, il nemico ha effettuato 80 bombardamenti nella regione di Zaporizhzhia. I russi hanno attaccato 21 insediamenti nella regione», hanno riferito le autorità della zona. Infine, nella centrale nucleare, le autorità ucraine hanno individuato almeno due mine antiuomo lungo la strada che percorrono di solito gli esperti dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) per raggiungere il sito. Le mine sono state disinnescate ma l’attenzione sulla centrale più grande d’Europa rimane naturalmente altissima.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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