2021-07-24
Le informazioni sul numero di asintomatici e sulla percentuale di vaccinati fra le persone in ospedale sono poche e difficili da trovare. Forse perché non servono a giustificare la motivazione del green passSe l'obiettivo era ottenere più prenotazioni sulle piattaforme vaccinali, il premier Mario Draghi può ritenersi soddisfatto perché già all'indomani del suo discorso c'è stata un'accelerata di richieste in molte Regioni. Non sappiamo se la paura più grossa sia stata quella di non poter pranzare all'interno di un ristorante, perché piove anche d'estate, o di non poter andare in piscina con la prole senza salassarsi in tamponi, sta di fatto che le cupe parole del presidente del Consiglio stanno spaventando. C'è da esserne soddisfatti o fieri? In mancanza di obbligo e con la risoluzione del Consiglio d'Europa che raccomanda che «nessuno venga discriminato se non vaccinato», scandire come ha fatto Draghi «non ti vaccini, ti ammali, muori. Oppure fai morire» non è il mezzo più democratico e rispettoso delle libertà individuali per cercare di convincere cittadini scettici o contrari. Purtroppo non siamo come i francesi, che scendono in piazza se si sentono calpestati. Chiniamo il capo e corriamo a intasare i call center per prenotare la punturina. Non tutti però lo fanno, la conferenza stampa del premier ha gelato molte persone che non si possono etichettare come no vax nell'intento di screditarle a priori. Non basta invitare tutti gli italiani a vaccinarsi e a farlo subito, occorre essere convincenti non a parole bensì con i fatti. Questo governo, tramite il ministero della Salute e l'Iss, dovrebbe pubblicare almeno una volta alla settimana dati puntuali per ogni singola Regione sul numero dei positivi al Covid specificando la percentuale di asintomatici (senza sintomi ma che possono diffondere il patogeno) e di paucisintomatici (con sintomi blandi e che possono essere curati a domicilio). Deve indicare quanti dei positivi erano vaccinati con una o due dosi o non vaccinati affatto; precisare il numero dei ricoveri negli ospedali e in terapia intensiva di vaccinati, non vaccinati o parzialmente immunizzati, così da fornire agli italiani la fotografia puntuale di come sta funzionando il vaccino. Se invece di martellare con bollettini quotidiani su contagi, ricoveri e decessi - nemmeno fossimo ancora in piena emergenza - venisse organizzata una campagna comunicativa seria basata su numeri «utili», forse l'effetto sarebbe migliore di tanti spot con protagoniste pseudo celebrities inutilmente sorridenti. Non serve pubblicare sulla piattaforma dell'Istituto superiore di sanità (dove pochi cittadini solo soliti navigare quando aprono Internet) la tabella dei positivi al Covid differenziandoli tra non vaccinati, con una dose o due, perché questi dati (che andrebbero verificati dall'Iss senza includere tra i non vaccinati quelli che hanno fatto la dose entro 14 giorni dalla diagnosi) devono essere trasmessi ai giornali, alle televisioni, negli innumerevoli talk show sul Covid. Così come fa il ministero della Salute israeliano, che fornisce informazioni utili, non numeri e basta. Mercoledì tutti potevano sapere che dei 143 ricoverati in sei ospedali, da Tel Aviv a Gerusalemme, il 58% era vaccinato, il 39% no, il 3% aveva ricevuto una sola dose. Tre persone vaccinate con il ciclo completo erano in terapia intensiva, 15 delle 20 persone morte in luglio (alla data del 21) erano completamente vaccinate, riporta The Jerusalem Post. E bisogna parlare di cure territoriali, fare il punto: quanti sono i pazienti positivi seguiti a casa e in base a quale protocollo di cure? Con tachipirina e «vigile attesa» o con farmaci più idonei? Perché la variante Delta potrà anche circolare tanto, ma se la popolazione a rischio è in gran parte vaccinata e le persone con lievi sintomi Covid non hanno bisogno di essere ospedalizzate, si tratta di cambiare impostazione e considerare finalmente questo virus una brutta influenza e nulla più. Altrimenti è inutile terrorismo giocato su quattro numeri che non corrispondono alla realtà. Un esempio per tutti. In Lombardia a maggio, secondo le schede di dimissione ospedaliere (Sdo) dei 2.644 cittadini deceduti, quelli che sono morti non per Covid sono stati 2.330. Il coronavirus si è portato via «solo» 314 lombardi, mentre 2.330 sono morti per tumore, ictus, infarto o incidente. Nello stesso mese, in Italia i morti per Covid sono stati 5.095 e, se ipotizziamo la stessa incidenza dell'11,9% registrata in Lombardia, possiamo pensare che il totale dei decessi nel Paese abbia riguardato 37.720 persone che hanno finito di vivere per patologie diverse o per incidenti. Ovviamente l'Istat non ha ancora fornito i dati ufficiali sulle morti in Italia non per Covid. Numeri che devono far riflettere: non c'è solo il coronavirus e già abbiamo visto quanti morti abbia fatto indirettamente perché centinaia di migliaia di pazienti non sono stati seguiti, curati e operati durante la pandemia. Vogliamo considerare solo i ricoveri e non i decessi? Sempre a maggio, in Lombardia sono state dimesse poco più di 90.000 persone che erano state ricoverate per interventi e problemi di salute non legati al coronavirus, mentre quelle con diagnosi da Covid sono state 7.310. Rendiamoci conto della proporzione. Se questi dati non vengono forniti, per singola Regione e su base nazionale, dal terrorismo Covid non verremo più fuori. Nemmeno se il generale Francesco Paolo Figliuolo decidesse di vaccinare anche gli under 12 per il bene del Paese. E visto che si guarda sempre al Regno Unito, citandolo come esempio virtuoso per l'alto numero di immunizzati, ricordiamo che oltre Manica alla stragrande maggioranza dei bambini dai 12 ai 17 anni, considerati a basso rischio, non verrà dato il vaccino, consigliato solo a chi soffre di gravi patologie o ha un sistema immunitario compromesso.
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





