2020-03-25
Ci danno le multe, non le mascherine
Nuovo, fumoso, discorso del premier, che si atteggia a guru: «Riflettiamo sui valori». Poi annuncia la stretta. Ma le protezioni sanitarie basilari restano tuttora introvabili.Stai a vedere che, alla fine della fiera, questa epidemia è un toccasana. Una medicina amara che, però, ci temprerà. «È una prova durissima, ci renderà migliori», dice il naso arrossato di Giuseppe Conte in conferenza stampa. Più che un presidente del Consiglio, sembra un consulente spirituale: «Ognuno di noi sta riflettendo sulla propria vita e sulla scala di valori», sermoneggia, «e questa è un'occasione per fermarsi per fare riflessioni che uno con il tran tran frenetico non riesce a fare. Ne approfitteremo per trarne il giusto insegnamento». Ma certo, ci voleva proprio, questo coronavirus. Così, tappati in casa, avremo l'opportunità di migliorare noi stessi, di fare un po' di «self empowerment», come lo chiamano gli autori americani di bestseller a buon mercato. Ne usciremo migliori, come no: a parte quelli che non ne usciranno. Tutti gli altri, che si godano la purga. E stiano tranquilli, perché pensa a ogni cosa lui, Giuseppi l'Infallibile, il Siddharta di Volturara Appula. Solo che, nell'aria assieme al virus, aleggia anche il fantasma di antiche smargiassate: «Stai sereno», ve lo ricordate? Il fatto è che non stiamo sereni per niente, specie osservando il comportamento di questo esecutivo che vuol fare il coreano con il corona degli altri. Adesso mostra il volto marziale: multe da 500 fino a 4.000 euro per chi viola le disposizioni, «chiusura dell'esercizio o dell'attività da 5 a 30 giorni» per i commercianti che sgarrano. Droni che volteggiano per seguire i cittadini, app per controllarne i movimenti. «Stiamo cercando delle applicazioni anche per il tracciamento», dichiara enfatica Paola Pisano, ministro per l'Innovazione tecnologica e la digitalizzazione. «La call che abbiamo lanciato oggi rimarrà aperta tre giorni e in queste ore stiamo già valutando le prime applicazioni arrivate». Roba da Seul, appunto (o da Pechino). Piccolo problema: questo governo così attrezzato e tecnoefficiente, che ci bastona per il nostro bene, ancora non è riuscito a farci avere le mascherine per proteggere noi stessi e gli altri. Con le multe non ha problemi, con le fanfaronate ha la massima confidenza. Però non è stato in grado di muoversi per tempo al fine di procurarci i dispositivi di sicurezza necessari. «Le mascherine non sono come la pasta», fa sapere Domenico Arcuri, commissario straordinario per la gestione dell'emergenza coronavirus, in conferenza alla Protezione Civile. Pensa te, ma davvero? «Siamo all'interno di una guerra commerciale, molto dura, con tanti speculatori. Ma ci sono anche Paesi che sono amici dell'Italia e che ci aiutano a dotarci di alcune munizioni». Fortuna che ci sono i nostri amici, magari cinesi, a farci un po' di elemosina. Ah, sì: c'è pure l'intervento italiano. «Sette giorni fa lo consideravo utopistico, non solo inaspettato», ha detto ancora Arcuri. «In pochissimi giorni, in un Paese che troppo spesso è piegato dai lacci della burocrazia, è arrivata l'autorizzazione a lanciare un incentivo che si chiama Cura Italia, online da stamattina, per finanziare con totali 50 milioni le imprese che riconvertono i loro impianti per produrre ancora altre mascherine». Capito? Ieri mattina è arrivato l'incentivo alle nostre imprese per fabbricare le tanto agognate protezioni. Anche questa, sappiatelo, è un'opportunità: «Spero, sono convinto, che molte centinaia di imprese italiane cercheranno di coglierla. Il tempo è la variabile decisiva», afferma Arcuri con serietà. Ecco, ma se il tempo è la variabile decisiva, perché non vi siete mossi prima? Perché qualcuno (Conte, per dire) non ha preso in mano la situazione spingendo subito le aziende a riconvertirsi? Abbiamo dovuto aspettare il 24 marzo, e adesso il commissario ci viene a dire che «tra 3 giorni un consorzio di produttori italiani inizierà a produrre le mascherine e a dotare il nostro sistema e il nostro Paese delle munizioni che ci servono per contrastare questa guerra ed evitare la nostra totale dipendenza dalle esportazioni». Il consorzio in questione è composto da meritevoli aziende di moda. Chissà, forse al Palazzo Chigi si sono resi conto ieri che la nostra nazione è piena di imprese così, e si poteva farle fruttare. «Siamo passati da circa 300.000 a una media di 1,8 milioni di mascherine distribuite ogni giorno», spiega Luigi Di Maio, con piglio da statista. Ci risulta, tuttavia, che qualche giorno fa sia stato proprio Giuseppe Conte a calcolare in 90 milioni di pezzi il nostro fabbisogno mensile di mascherine. A spanne, 1,8 milioni al dì moltiplicato per 30 fa 54 milioni al mese: poco più della metà di quello che ci serve. Nel frattempo, rimangono privi di protezioni facciali i lavoratori, gli autisti, i cassieri, gli addetti alle pulizie, le forze dell'ordine, persino qualche operatore sanitario. E di chi è la responsabilità di tutto questo? A sentire Giuseppi, di tutti tranne che sua. Delle Regioni, dei governatori che vogliono fare di testa loro, degli enti locali che non obbediscono, e ovviamente dei cittadini che, solo per mettere un piede fuori dalla porta, hanno bisogno di portarsi uno zaino pieno di moduli, per essere sicuri di estrarre quello giusto al momento opportuno. Lo ripetiamo con ostinazione: rispettare le norme si può e soprattutto si deve. Evitare contatti e gitarelle scriteriate è fondamentale. Frignare di fronte alle indispensabili limitazioni è infantile e pure un po' irritante. Ma se uno pretende militaresca obbedienza, allora deve fornire militaresca efficienza. Qui, invece, minacciano multoni e punizioni per chi non sta in casa a «riflettere sulla propria vita», ma non hanno saputo nemmeno dotarci del più basilare degli scudi. Ne usciremo migliori, dice Conte. Se invece fosse lui a uscire di scena, si migliorerebbe ancora di più.