2020-03-11
Con l’indeciso Conte non vinceremo questa guerra
Riavvolgendo il nastro di ciò che è accaduto negli ultimi 20 giorni si capiscono tante cose. Soprattutto si comprende quanto l'esitazione di chi ci governa o ha compiti di indirizzo sia pericolosa. Lo scrivo pensando alla decisione presa ieri da Giuseppe Conte di non estendere a tutto il territorio nazionale le misure sollecitate dai rappresentanti del centrodestra. A Palazzo Chigi, Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Antonio Tajani si sono presentati con una richiesta chiara: chiudere tutto per almeno 15 giorni.Uffici, aziende, servizi: lasciando aperte solo le farmacie e i negozi di alimentari, cioè gli esercizi di prima necessità, per consentire agli italiani di curarsi e di nutrirsi. Un Paese in quarantena, ecco quello che ha sollecitato il centrodestra. Certo può sembrare una misura drastica, se non addirittura folle e controproducente, almeno per le finanze del Paese. Ma se non avessimo davanti l'esempio della Cina, se non avessimo già sperimentato sulla pelle di 10.000 persone che cos'è il Covid-19, ossia il virus che ha già portato alla morte oltre 600 contagiati, non appoggeremmo questa richiesta.Chiudere tutto per fermare tutto. Venti giorni di coronavirus dovrebbero avere insegnato questo, perché dopo tre settimane abbiamo capito che il Covid-19 si propaga a una velocità impressionante e non si tratta di un'influenza poco più grave di quella che colpisce milioni di italiani ogni anno, come molti ci hanno spiegato. Per combattere la malattia importata da Pechino non basta mettersi a letto, prendendo un'aspirina o uno sciroppo per la tosse. La malattia che abbiamo importato da Pechino è un killer silenzioso, che colpisce con determinazione, una determinazione che purtroppo è mancata a chi ci guida o per lo meno si è arrogato il compito di farlo.Non voglio fare qui polemiche o andare a caccia di responsabilità. Tuttavia, per comprendere se sia giusto o meno estendere a tutta Italia ciò che hanno detto i governatori di Lombardia e Veneto basterebbe ricordare ciò che è accaduto appena un mese fa. Alle prime avvisaglie di diffusione del virus, Attilio Fontana, Luca Zaia, Massimiliano Fedriga e Maurizio Fugatti, ossia i presidenti di tre regioni del Nord insieme con quello della Provincia autonoma di Trento, chiesero la quarantena per i bambini di ritorno dalla Cina. La lettera, indirizzata al ministro della Salute, fu subito tacciata di razzismo, in quanto proveniente da governatori leghisti. In realtà, l'isolamento delle persone arrivate da Pechino era la misura minima, forse la più lieve che fosse sensato adottare di fronte a un'epidemia che rischiava di contagiarci. In risposta alla richiesta dei quattro arrivarono messaggi tranquillizzanti, gli stessi che abbiamo sentito ripetere nelle settimane a venire. La situazione è grave, ma - dicevano da Palazzo Chigi e dintorni - abbiamo varato tutte le misure per arginare il contagio.I risultati che vengono elencati quotidianamente dal capo della Protezione civile dimostrano invece che la diffusione del coronavirus non è stata affatto fermata, ma anzi si è aggravata. Il che non stupisce. Dopo i primi ricoveri e le prime reazioni impaurite, i messaggi che sono stati diffusi agli italiani sono stati tranquillizzanti. Dovete lavarvi le mani, ma non vi dovete preoccupare. Sembrava che una perfetta igiene e qualche banale misura precauzionale mettessero al riparo dal contagio. Insomma, si poteva tornare a vivere come prima, senza paura. Milano non si ferma, recitava Giuseppe Sala con magliette e hashtag. In rete circolano ancora i post e le interviste di Nicola Zingaretti in cui il segretario del Pd sdrammatizzava la situazione. Anzi, nel mirino per eccesso di allarmismo, a un certo punto, c'è finito Attilio Fontana, perché in diretta e dopo il contagio di un suo assessore si era messo la mascherina. La realtà è che gran parte della classe politica e delle istituzioni ha sottovalutato il coronavirus, ignorando l'allarme di alcuni dei più importanti virologi. Il risultato è il bollettino di guerra che abbiamo quotidianamente sotto gli occhi. Purtroppo però, riavvolgere il nastro e rivedere gli errori compiuti non sembra bastare al governo per evitare di commetterne altri. Ieri, dopo aver detto no alle richieste di chiudere in tutta Italia uffici e negozi, come hanno detto Lombardia e Veneto, Palazzo Chigi ha fatto filtrare una velina per lasciar intendere che non è escluso un ripensamento nei prossimi giorni. Come diciamo da tempo, in guerra - e questa lo è - serve un comandante che con coraggio prenda le decisioni. Un presidente indecisionista, anche se ha la pochette, non ci serve.
Kim Jong-un (Getty Images)
iStock
È stato pubblicato sul portale governativo InPA il quarto Maxi Avviso ASMEL, aperto da oggi fino al 30 settembre. L’iniziativa, promossa dall’Associazione per la Sussidiarietà e la Modernizzazione degli Enti Locali (ASMEL), punta a creare e aggiornare le liste di 37 profili professionali, rivolti a laureati, diplomati e operai specializzati. Potranno candidarsi tutti gli interessati accedendo al sito www.asmelab.it.
I 4.678 Comuni soci ASMEL potranno attingere a queste graduatorie per le proprie assunzioni. La procedura, introdotta nel 2021 con il Decreto Reclutamento e subito adottata dagli enti ASMEL, ha già permesso l’assunzione di 1.000 figure professionali, con altre 500 selezioni attualmente in corso. I candidati affrontano una selezione nazionale online: chi supera le prove viene inserito negli Elenchi Idonei, da cui i Comuni possono attingere in qualsiasi momento attraverso procedure snelle, i cosiddetti interpelli.
Un aspetto centrale è la territorialità. Gli iscritti possono scegliere di lavorare nei Comuni del proprio territorio, coniugando esigenze professionali e familiari. Per gli enti locali questo significa personale radicato, motivato e capace di rafforzare il rapporto tra amministrazione e comunità.
Il segretario generale di ASMEL, Francesco Pinto, sottolinea i vantaggi della procedura: «L’esperienza maturata dimostra che questa modalità assicura ai Comuni soci un processo selettivo della durata di sole quattro settimane, grazie a una digitalizzazione sempre più spinta. Inoltre, consente ai funzionari comunali di lavorare vicino alle proprie comunità, garantendo continuità, fidelizzazione e servizi migliori. I dati confermano che chi viene assunto tramite ASMEL ha un tasso di dimissioni significativamente più basso rispetto ai concorsi tradizionali, a dimostrazione di una maggiore stabilità e soddisfazione».
Continua a leggereRiduci
Roberto Occhiuto (Imagoeconomica)